
Da alcuni anni Shirley Jackson è al centro di una meritata riscoperta, di un vero e proprio revival, complice l’uscita del film Shirley (2020), incentrato sulla vita della scrittrice statunitense, e la ripubblicazione delle sue opere da parte di Adelphi. Il 28 ottobre 2021 è uscito nella splendida traduzione di Silvia Pareschi il romanzo La meridiana, inedito in Italia. Una scelta editoriale molto azzeccata quella di pubblicare nel periodo più pauroso dell’anno una nuova uscita della maestra del gotico, cui Stephen King ha dedicato il romanzo L’incendiaria con queste parole: «In ricordo di Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce», e che ha omaggiato in molte altre sue opere, da Le notti di Salem al celeberrimo Shining.
Dopo The Road Through the Wall (1948), Hangsaman (1951) e The Bird’s Nest (1954; tr. it. Lizzie), The Sundial (1958; tr. it. La meridiana) è il quarto romanzo di Shirley Jackson. Un anno dopo, nel 1959, pubblicherà The Haunting of Hill House (tr. it. L’incubo di Hill House) e nel 1962 We Have Always Lived in the Castle (tr. it. Abbiamo sempre vissuto nel castello), i suoi due scritti più celebri
dopo il racconto La lotteria, che da quando fu pubblicato sul New Yorker nel 1948 ha segnato e sconvolto intere generazioni di lettori, comparendo su centinaia di antologie. La scrittura, per Shirley Jackson, è sempre stata un momento di catarsi dalla realtà che la circondava (si era imposta di scrivere almeno 1000 parole al giorno), fatta di un marito infedele che non svolgeva alcuna attività pratica (era il critico letterario Stanley E. Hyman), quattro figli a cui badare, e i mali che la affliggevano: soffriva di agorafobia e depressione, attacchi di panico e dipendenza da alcol e anfetamine. Morì nel sonno per un arresto cardiaco a soli quarantotto anni.
Protagonisti de La meridiana sono gli stravaganti personaggi che popolano l’estesa villa Halloran (cognome che a qualcuno potrebbe ricordare quello del cuoco di Shining); tema, quello della grande magione di famiglia, che ritornerà più volte nei romanzi successivi dell’autrice. Il romanzo si apre con il funerale di Lionel Halloran, proprietario della villa fino a che, stando a quanto dice sua moglie Maryjane, non è stato spinto giù dalle scale dalla madre Orianna Halloran, che diventa così la perfida e dispotica padrona di casa. La vedova di Lionel ha una figlia, la dispettosa Fancy; la sua governante è Miss Ogilvie; c’è poi il vecchio Richard Halloran, marito di Orianna, costretto sulla sedia a rotelle come l’anziano zio Julian in Abbiamo sempre vissuto nel castello (1962); altri personaggi sono Essex, un giovane incaricato di catalogare la biblioteca, e Frances Halloran, sorella di Richard, detta zia Fanny. All’inizio il lettore deve prendere confidenza con nomi scelti per essere volutamente simili (Mrs. Halloran e la giovane Mrs. Halloran; zia Fanny e la piccola Fancy), ma una volta sormontato questo primo ostacolo il libro si farà leggere tutto d’un fiato.

A proposito, di cosa parla La meridiana? Come abbiamo detto, dopo il funerale del figlio Lionel, Mrs. Halloran prende possesso della grande villa, ma accade un fatto strano: zia Fanny incontra in giardino il fantasma del padre defunto, il primo Mr. Halloran, come lo spettro del padre di Amleto. Zia Fanny riferisce alla famiglia il messaggio ricevuto: «Dal cielo e dalla terra e dal mare c’è pericolo; dillo a quelli che sono in casa. Ci saranno fuoco nero e acqua rossa e la terrà si rivolterà urlando; questo verrà» (p. 37). In poche parole, la fine del mondo è alle porte e coloro che sono nella casa saranno gli unici a salvarsi, e una volta che la terra sarà purificata, diverranno i custodi un nuovo giardino dell’Eden, rigenerando la specie umana. In seguito a strani avvenimenti la famiglia decide di assecondare il furor profetico di zia Fanny, e la vicenda si arricchisce di nuovi personaggi che entrano in scena.
Che dire di tutto il resto? Ci troviamo di fronte a un’opera brillante, tra humour e grottesco, scritta con maestria, una lugubre commedia che verso la seconda metà assume tinte sempre più perturbanti. Il suo diabolico meccanismo a orologeria è ciò che più inquieta il lettore, in balia di una Shirley Jackson definita dall’editore «in stato di grazia», trascinato a un ritmo vorticoso e delirante fino alla fine (del mondo?). Si tratta di uno dei romanzi meglio riusciti di Shirley Jackson; un libro, credo, superiore persino ad Abbiamo sempre vissuto nel castello, il capolavoro riconosciuto dell’autrice; non a caso, La meridiana era il suo romanzo preferito: ciò che disorienta e spiazza è il tono divertito del romanzo, che traspare da ogni pagina – inusuale per un romanzo considerato di genere gotico o più in generale dell’orrore. Come confermano le sue parole: «Nulla mi ha procurato più piacere mentre lo scrivevo», e anche per il lettore, inutile negarlo, sarà una piacevole esperienza di lettura.
All’inizio pare che l’intera galleria di personaggi: la famiglia Halloran, Mrs. Willow e le sue figlie, Gloria, Essex, il capitano e Miss Ogilvie diano credito alle strampalate profezie di zia Fanny sull’imminente fine del mondo (rivelategli dall’infallibile Mr. Halloran) più per pura convenienza, per riservarsi un posto dopo l’apocalisse che per sincero credo, ma in seguito sembrano aderirvi con una tale convinzione e fermezza da rasentare l’assurdo e il paradossale. D’altronde, non ci dobbiamo stupire se nel clima di incertezza di quegli anni, in cui l’instabilità emotiva era una sottile linea pronta a cedere, nacque la leggenda secondo cui molti americani fossero stati presi dal panico di un’invasione aliena dopo aver ascoltato la lettura di Orson Welles de La guerra dei mondi di H.G. Wells sulla radio CBS nel 1938. Dieci anni dopo, il 26 giugno 1948 il New Yorker pubblicò un racconto di una scrittrice trentunenne che fece scalpore. Alla redazione arrivarono migliaia di lettere di lettori indignati, convinti che si trattasse del resoconto di un fatto realmente accaduto e non di una storia inventata: chi scrisse che La lotteria era «oltraggioso, raccapricciante e totalmente insensato», chi insultò l’autrice, chi chiese che il proprio abbonamento alla rivista fosse cancellato. Fu il racconto che ricevette più lettere in risposta nella storia del New Yorker: era intitolato The Lottery (La lotteria) di Shirley Jackson.

Il romanzo fornisce ritratti divertiti del fanatismo millenarista e delle manie apocalittiche di alcuni gruppi religiosi, come i “Veri Credenti”, perché, come scrive l’autrice:
«La questione di quello in cui si crede è curiosa, poiché vi si riflettono sia la meraviglia dell’infanzia che la cieca speranza propria della vecchiaia estrema; in tutto il mondo non esiste chi non creda in qualcosa. Si potrebbe suggerire, senza timore di smentita, che qualunque cosa, per quanto esotica, possa venire creduta. D’altra parte, le credenze astratte sono per lo più impossibili; è la concretezza, la realtà della coppa, della candela, della pietra sacrificale, che rafforza la credenza; la statua non è niente finché non piange, la filosofia non è niente finché il filosofo non diventa martire» (p. 44).
Gustosissima la scena in cui compare una delegazione di questo bizzarro gruppo religioso inventato dalla penna di Shirley Jackson che, non avendo altro da fare, si presenta in perfetto orario alla villa per affermare che la fine del mondo è vicina e che una volta giunta l’ora verranno portati su Saturno dai dischi volanti per essere elevati a uno stato superiore dell’essere.
Forse non tutti sanno che Shirley Jackson crebbe in una famiglia di adepti della Christian Science, associazione religiosa fondata nell’Ottocento da una tale Mrs. Eddy, che nel suo libro Science and Health affermò di poter guarire le malattie attraverso le preghiere. Più conosciuto è invece il suo interesse per l’occulto, tanto che circolò la voce che fosse una strega: la sua biblioteca era piena di libri sulla stregoneria e lei stessa praticava la divinazione, leggendo i tarocchi per amici e familiari.
Gli Halloran, dall’alto del loro rango, sono una famiglia altera e sprezzante, il simbolo decaduto di una aristocrazia perbenista: «Vorrei essere certa di portare con me in quel mondo pulito una famiglia armoniosa, affascinante e ben curata» si assicura Mrs. Halloran, mentre il pensiero di un’improbabile zia Fanny che si perde nell’immenso giardino della villa non può che essere: «magari sto impazzendo, però ho un aspetto da signora».
L’enorme villa diventa al tempo stesso rifugio dall’apocalisse e soffocante prigione, tanto da spingere i suoi abitanti a pensare che «là fuori non c’è niente […] è un mondo fittizio, fatto di cartone e di guai» (p. 192), mentre sprofondano lentamente nella follia. Basti pensare alle parole pronunciate dal personaggio di Gloria, degne di un romanzo di Philip K. Dick:
«[…] “Il mondo là fuori, Fancy, quel mondo che ci circonda dall’altra parte del muro, non è reale. Qui dentro è reale, noi siamo reali, ma ciò che è fuori è come se fosse fatto di cartone, di plastica o roba del genere. Là fuori niente è reale. Tutto è fatto di qualcos’altro, e tutto è fatto per sembrare qualcos’altro, e ti si disintegra fra le mani. Le persone non sono reali, non sono altro che infinite copie l’una dell’altra, tutti si assomigliano come bambole di carta e vivono in case piene di oggetti artificiali e mangiano cibo fasullo…”
“La mia casa delle bambole” disse Fancy, divertita.» (p. 191)

Il romanzo è scandito da un crudele gioco di déjà vu, come il raggio del sole scandisce le ore sulla meridiana che dà il titolo al romanzo, posta al perfetto centro del giardino, silenziosa e onnipresente protagonista, che fissa inerte tutto ciò che accade nella villa. Chissà se sopravvivrà alla fine del mondo? ci si chiede. Su di essa campeggia una scritta tratta da un verso del Knight’s Tale dei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, che qui cito in originale:
«What is this world? What asketh men to have?
Now with his love, now in his colde grave
Allone, withouten any compaignye.»
(The Knight’s Tale, vv. 2777-2779)
Ne fornisce una traduzione Essex, a p. 174 del romanzo:
«“Che cos’è questo mondo?” disse obbediente Essex. “Cosa chiedon gli uomini d’avere? Ora con l’amata, ora nella tomba fredda, soli, senza compagnia”». E il dialogo tra Essex e Mrs. Halloran continua così: «“Orianna,” disse Essex “credi che saremo felici laggiù?”. “No” rispose Mrs. Halloran. “Ma d’altronde non siamo felici neanche qui”».

Shirley Jackson, La meridiana, Adelphi, Milano 2021, [ed. or. 1958], pp. 251, € 19,00, trad. Silvia Pareschi,
Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Adelphi Edizioni per aver gentilmente fornito una copia del libro al recensore.
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