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    TerraNova

    Viva la spazzatura!

    • di Franco Pezzini
    • Aprile 1, 2012 a 7:20 pm

    Sul fantastico (popolare) italiano, 
    con tarda lettera aperta al Prof. Gabriele Pedullà


    Non è un paese per fantastici? – 4

     

    di Fabrizio Foni e Claudio Gallo

    Excusatio non petita, accusatio manifesta: le scuse non richieste sono accuse manifeste! Ed è vero. Alle volte, però, è cosa buona e saggia valutare fino in fondo chi accusa, chi si scusa, e specialmente il perché.

    Si potrebbe addirittura scoprire – colpo di scena – che chi accusa, a suo modo, si scusa (o si giustifica) perché si sente un po’ preso in castagna.
    «Il Sole 24 Ore», in data 14 febbraio 2010, ospitava la recensione di Gabriele Pedullà (Che fantastico, il Novecento!) a tre antologie sul fantastico letterario italiano. In ordine: Fantastico italiano (Rizzoli BUR, 2009) a cura di Costanza Melani, Racconti fantastici del ‘900 (Mondadori, 2009) a cura di Giuseppe Lippi e Ottocento nero italiano (Aragno, 2009) a nostra cura. Per inciso: il corposo volume organizzato da Lippi è la riproposta, con numerose e significative varianti, della raccolta omonima – due libri in cofanetto – apparsa nel 1987 per la stessa casa editrice.

    Merita spendere qualche riga precisando che il nostro Ottocento nero italiano non si arresta al diciannovesimo secolo, ma partendo dal 1827 si inoltra fino al 1927, coprendo simbolicamente l’arco di un secolo. Di fatto, la contraddizione tra titolo e corpus è fortemente voluta. Il motivo è presto detto: l’Ottocento «nero», grazie al mercato editoriale più popolare, si proietta e fa ombra almeno sui primi trent’anni del Novecento, con storie assai poco «intellettuali», ancor meno umoristiche o da ridere, con tanta suspense e voglia di emozionare il pubblico, ricorrendo a folli scienziati, creature vampiresche, sinistre coincidenze, macabri avvertimenti, automi assassini, sanguinarie perversioni, esperienze telepatiche. Questa letteratura, naturalmente, può essere risibile per noi lettori di oggi navigati e smaliziati; ma non lo era presumibilmente all’epoca e, soprattutto, non negli intenti di chi la fabbricava o la diffondeva.

    Gli interventi sul fantastico italiano, e in prevalenza quelli provenienti da una critica di matrice o affiliazione accademica, hanno ben pensato di assestarsi, impilarsi, stratificarsi nel tempo sopra una serie di riflessioni di Italo Calvino, inconfutabile nume del panorama letterario del ventesimo secolo.
    Ci riferiamo alla distinzione di Calvino – implicita dichiarazione di poetica – tra il fantastico dell’Ottocento e quello del Novecento; con il primo che si riassume in una produzione e fruizione «emozionale», e con il secondo contraddistinto da un «uso intellettuale», cioè «come gioco, ironia, ammicco»: un quadro che Calvino sintonizza sul proprio sentire e che aspira al fantastico come «lucida costruzione della mente», trovandone l’«eredità» nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. Un fantastico insomma che ritrae

    l’ordine che [il] fatto straordinario sviluppa in sé e attorno a sé, il disegno, la simmetria, la rete d’immagini che si depositano intorno ad esso come nella formazione d’un cristallo.

    Una linea novecentesca cui vanno ricondotti, sempre secondo Calvino, Aldo Palazzeschi, Massimo Bontempelli, Dino Buzzati e Tommaso Landolfi.
    Uno sguardo – anche distratto – alla successiva riflessione sul fantastico italiano può facilmente confermare come l’ottica calviniana sia stata in buona parte fatta propria dalla critica.

    Italo Calvino

    E la narrativa popolare, allora? A giudizio di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, curatori di quella che ancora resta la più importante raccolta di racconti fantastici italiani (Notturno italiano, 2 voll., Editori Riuniti, 1984), la linea predominante è quella «dell’ibridazione e del virtuosismo intellettuale» (cioè dei «racconti fantastici […] declinanti verso l’allegoria, l’apologo, la fiaba, e sempre più distanti dal polo estremo del fantastico che è il “visionario”»), proprio a causa della «mancanza in Italia di quell’artigianato letterario che altrove ha consentito l’imponente sviluppo della paraletteratura – all’interno della quale la narrazione fantastica ha conosciuto fino ai nostri giorni una sempre crescente fortuna (basti pensare ad autori come Lovecraft, Ray, Matheson)». Questo, per l’appunto, nel 1984. Nel 2009, con Fantastico italiano, Costanza Melani non pare distaccarsi da tale impostazione, sottolineando che

    «[a] complicare ulteriormente le cose […] sarà, nel Novecento italiano, la perenne instabilità morfologica del racconto fantastico che, sotto le spinte avanguardistiche ed eversive della commistione dei generi, porterà, molto spesso, a un’ibridazione del fantastico con la fiaba, l’allegoria, l’apologo, il surreale: molti degli scrittori di questo secolo, infatti, si allontaneranno dal fantastico visionario e simbolico dell’inconscio collettivo, per scrivere racconti virtuosisticamente intellettuali e, tutto sommato, anche poco angosciosi. / In Italia non ci sarà spazio per un Lovecraft o per un Matheson e gli autori che più si avvicinano al fantastico come lo abbiamo inteso rappresentare in quest’antologia si contano sulle dita di una mano».

    Howard Phillips Lovecraft

    Sin dal primissimo Novecento, però, l’Italia è stata la culla di una folta schiera di riviste popolari («La Domenica del Corriere» ne è stata la “punta di diamante”) che hanno regolarmente dato spazio, accanto alle narrazioni di autori stranieri, a tanti racconti fantastici di scrittori italiani. Su questi periodici il nostro fantastico ha avuto sviluppi e proporzioni inusitati, e poco importa se, in larga misura, si trattò di una produzione ai limiti del dilettantismo. L’artigianato ci fu, eccome… E circolò, per l’epoca, con tirature impressionanti. La sua qualità «letteraria», varia e differenziata, è un altro paio di maniche: si tratta, in primo luogo, di attestare l’esistenza di questo artigianato. Prima, censire; poi, recensire.
    Torniamo adesso alla recensione del «Sole 24 Ore». Pedullà valorizza l’antologia della Melani («molto bilanciata e dotta, che tratteggia con estrema lucidità la fase aurorale del fantastico italiano e include tutti i grandi autori che si sono confrontati con esso») e sminuisce le altre due, colpevoli a suo avviso di «muovere baldanzosamente all’assalto della tradizione letteraria», proponendo in sostanza «letteratura spazzatura» (si noti che Lippi si spinge fino ai nostri giorni, includendo tra i vari autori Vittorio Curtoni, Valerio Evangelisti e Alan D. Altieri. Spazzatura, questi ultimi?).
    Andiamo al sodo. A leggere la recensione si ha la netta impressione che Pedullà non stia realmente difendendo la “tradizione letteraria” cui fa riferimento.

    Tommaso Landolfi

    Dietro lo sconcerto di Pedullà per chi – come lui sostiene – vorrebbe tagliare «fuori» Bontempelli, Landolfi, Pirandello (intento che non abbiamo mai avuto), sembrano piuttosto emergere il sarcasmo e l’invettiva. Verso che cosa? Verso la letteratura fantastica popolare del nostro Paese. Ma siamo poi sicuri che, a fare da bersaglio, sia davvero la “letteratura spazzatura”?
    È degno di nota, e forse anche sintomatico, come Pedullà compia uno spostamento del dibattito (uno spostamento consapevole e assai poco freudiano) dal campo «ontologico» a quello «formale». Se in Ottocento nero italiano c’è qualche strale, non è indirizzato – a mo’ di «gesto iconoclasta» – a danno dei «maestri», con l’intento di rimpiazzarli con gli «sconosciuti di ieri» e la loro «inadeguatezza» di scrittura. Lo strale, semmai, va ai numerosi ricercatori e studiosi che non si sono presi la briga di controllare nelle biblioteche, nei sottoscala, dai rigattieri…, lasciandosi così sfuggire il diffuso fenomeno della narrativa popolare fantastica di casa nostra. Potremmo dire, si sono lasciati sfuggire l’elefante in salotto.
    Da qui, presumibilmente, la seccatura di chi si vede additare l’orrido e ingombrante pachiderma, e si sente pure, evidentemente, un po’ mettere in conto di non averlo visto. Non potendo più confutarne la presenza, l’elefante lo si deride per le poco aggraziate forme.
    La recensione di Pedullà, insomma, pare esprimere una reazione di stizza: il livore di chi, se non personalmente, si sente punto come appartenente a una categoria “intoccabile” che, esercitando per antonomasia la critica, tollera assai malvolentieri di essere criticata.
    La nostra ricerca – e, crediamo, anche quella di Lippi – si è mossa dalla necessità di uscire dalle piste battute e mappare anche il “continente trascurato”. Del resto, dal canto loro, gli stessi Ghidetti e Lattarulo auspicavano per il fantastico novecentesco del Belpaese una più «adeguata attenzione da parte della critica», «un mutamento di rotta» con «missioni esplorative di ampio raggio», e paragonavano la loro pionieristica antologia a «quelle carte geografiche dell’Africa che, in mancanza di più sicuri punti di riferimento, designavano le zone inesplorate con un fantasioso ed inquietante hic sunt leones».

    Nei giorni successivi all’uscita della recensione, nella speranza di poter lanciare una discussione «pubblica» sul fantastico popolare italiano – e non certo di dare adito a una sterile querelle «privata» – facemmo pervenire una lettera al «Sole 24 Ore», per posta elettronica, appellandoci al diritto di replica. Lettera che purtroppo non è stata presa in considerazione. Argomento giudicato privo di interesse? Mancanza di spazio? Altro? Chissà…

    Alla fine della corsa, sul giornale stampato, ha avuto cittadinanza soltanto il punto di vista del critico ”allineato”. L’altrofantastico del Novecento italiano, diciamo l’elefante, è rimasto “invisibile”.
    Riportiamo di seguito il testo della nostra replica.

    ***

    Gentile Gabriele Pedullà,

    pur credendo nella piena legittimità delle stroncature, avvertiamo la necessità di replicare alla sua recensione dello scorso 14 febbraio [2010] (Che fantastico, il Novecento!, sul «Sole 24 Ore») dal momento che, a nostro modesto parere, è in gioco non tanto la dignità della nostra antologia, Ottocento nero italiano, quanto qualcosa che ci sta molto più a cuore: la letteratura popolare del nostro Paese.
    Avremmo osato proporre, stando al suo articolo, «(presunti) maestri della letteratura popolare» la cui produzione, contrariamente a quanto da noi sostenuto, si rivelerebbe «dozzinale», gravata da «colpi di scena d’accatto, trame a dir poco fumettistiche, una prosa ridicolmente sciatta». Ci domandiamo se si esprimerebbe nello stesso modo a proposito di Cesare Zavattini, che di fumetti se ne occupò professionalmente, o per Dino Buzzati, che amava leggere «Topolino» e scrisse, per di più, un Poema a fumetti.

    Cesare Zavattini

    È chiaro, fin dal titolo, che le sue considerazioni si appuntano sul Novecento, e tralasciano volontariamente l’Ottocento. Anche perché, per quest’ultimo secolo, propriamente parlando, non ci sembra di aver inserito solo «sconosciuti» ed esempi di «scritture semi-dilettantesche»: di scribacchini o figure irrilevanti non si può certo parlare, con firme come Guerrazzi, Balbo, la Marchesa Colombi, Chelli, Jarro, De Marchi, la Serao, Bizzoni, Bersezio e – perché no? – il più importante romanziere italiano d’avventura, Salgari, o Mastriani e la Invernizio (l’«onesta gallina», come la definì Gramsci), naïfs quanto si vuole, ma indiscutibilmente celebri.

    la Marchesa Colombi

    No, è il Novecento che ci riguarda e, a questo proposito, ci domandiamo in quale parte, in quale pagina della nostra postfazione, avremmo proposto degli esimi sconosciuti, dei poveri dilettanti come alternativa efficace ai maestri «canonici» e riconosciuti. Ci risulta di avere espressamente impostato la discussione in termini di tirature, lettori, quantità, e di aver evidenziato la situazione di una «modernità che è sempre più attenta a integrare il sistema culturale con il mercato e il profitto, e che offre ai lettori i prodotti cui essi maggiormente reagiscono»; nello stesso tempo, abbiamo parlato (anche per l’Ottocento) di «tentativi […] goffi», di «qualcosa di farraginoso», ipotizzando «ragioni di natura estetica» per l’esclusione di questi testi dagli interessi della critica, e per la nostra scelta abbiamo omesso «ogni giudizio di valore» circa la forma e lo stile. Non capiamo, dunque, dove «in termini […] violenti» ci saremmo scagliati (è suo il verbo) «contro gli scrittori “di qualità”», nel «gesto iconoclasta di azzerare le gerarchie». Non le abbiamo abbattute, le abbiamo onestamente sospese e aggirate per un’antologia che, come scopo principale, dichiarato, non vuole proporre modelli alternativi, ma ricostruire un contesto oggi perlopiù ignorato (una Dark Side of the Moon, diremmo) ma, non per questo, esiguo o sporadico, come buona parte dei critici ha voluto far credere, e che ha senza dubbio influito sull’immaginario italiano perché ad esso ha costantemente attinto.
    Nel merito del fantastico italiano, la nostra opinione, in breve, è che prima di «imporre» una panoramica, un ritratto, uno «stato dell’arte», occorra effettuare una ricognizione ampia, se non esaustiva, raccogliere e verificare. Anche la «spazzatura», come la definisce lei.
    Spazzatura? E spazzatura sia: ci venga spiegato, però, perché di tutta questa spazzatura non ci si è sempre limitati a tacere, ma in più casi si è baldanzosamente – per usare un suo avverbio – asserito che si trattava, anche sul piano dei numeri, di poca cosa, o addirittura non esisteva. Illustri (e non illustri) studiosi potrebbero rimbeccare che sì, ovviamente di questo mare magnum erano al corrente, ma che per ragioni estetiche hanno optato per altra letteratura, altri scrittori più meritevoli e dignitosi. Tuttavia, la cosa non è così ovvia e scontata, specialmente quando si è voluto tracciare quadri e profili di natura storica, di storia dell’editoria e così via.
    Dei racconti della «Domenica del Corriere» o del «Giornale Illustrato dei Viaggi» si pascevano le masse, a dispetto dell’analfabetismo e dell’indigenza, con il risultato di conquistare un ampio pubblico di lettori che oggi farebbe invidia a numerose testate italiane (seriose e non). Perciò lei ha pienamente ragione quando in questa narrativa ravvisa la nascita dell’attuale industria culturale e delle sue leggi, e ha ragione da vendere a parlare di «trame a dir poco fumettistiche»: è esattamente così, è da quel sistema editoriale che sorgono le strisce del «Corriere dei Piccoli» nel 1908 e dell’«Avventuroso» nel 1935, la cui tiratura arrivò a sfiorare il mezzo milione di copie. È un passaggio del testimone, quello che avviene dalla narrativa al fumetto.
    Per quanto l’affermazione sia lapalissiana, crediamo che sia l’esistenza della letteratura a consentire la critica, che siano i lettori a consentire la letteratura. E non viceversa. Con le limitazioni e le imprecisioni del caso, Ottocento nero italiano – il titolo fu deciso dal compianto Raffaele Crovi, che apprezzava il nostro lavoro – è un tentativo di guardare alla storia della cultura attraverso i gusti dei lettori, attraverso il mercato popolare, e non attraverso scelte di derivazione più o meno crociana. Guardare, anche nel passato, a quel mercato popolare che oggi non disdegna gli Evangelisti, i Wu Ming, i Manfredi (Valerio Massimo e Gianfranco), e gli Altieri (pensando ai quali ci sentiamo in ottima compagnia).

    Una piccola precisazione, giusto per concludere. Dell’antologia sul fantastico italiano su cui si esprime assai positivamente, e di recente apparsa per i tipi della BUR, uno dei racconti, Il vampiro di Giuseppe Tonsi (1866-1930), esce per la prima volta sulla «Domenica del Corriere» nel 1902, e non, come invece indicato nel libro, nel 1904, allorché viene raccolto nell’eponimo volume edito dal catanese Giannotta. Non le pare che questo racconto stoni parecchio, qualitativamente, con gli altri inseriti dei grandi “maestri” o scrittori “per bene¨? Oppure, per non essere «spazzatura», è sufficiente che uno stesso testo figuri nel catalogo di un editore che, tra i vari, pubblicava Capuana e Verga?
    Chissà che questa non possa essere la volta buona per aprire un dibattito costruttivo sulla lunga e importante storia editoriale della letteratura popolare del nostro Paese.

     

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