Osama – questo il titolo originale del romanzo – è ormai poco accessibile ai lettori, un fatto che mi ha fatto dubitare del senso di recensirlo. Ma l’opera ha numerosi meriti:
con il romanzo, Tidhar vinse, a suo tempo, il World Fantasy Award, battendo Stephen King e George R.R. Martin; la storia ha una costruzione interessante, che alterna una vicenda noir (Joe, il protagonista, è un detective privato) a una serie di capitoli brevi e scritti in tono distaccato, quasi clinico, che, solo in seguito, chi legge riuscirà a collocare nel contesto; è un romanzo di storia alternativa del quale numerosi recensori hanno messo in luce il sapore dickiano.
N.B. poiché Gargoyle ha deciso di non ristampare Wanted (titolo francamente fuorviante, così come la copertina), userò il titolo originale.
Anche se vive a Vientiane (Laos), Joe è un detective quasi ricalcato su quelli di Chandler e di Hammett. Ha un ufficio anonimo, un po’ sfigato, che contiene l’essenziale:
«La scrivania era di legno grezzo, non verniciato, e un rialzo fatto con dei fogli piegati pareggiava il dislivello dei una delle gambe. Sopra c’erano dei documenti sparpagliati, […] Non c’era nessun telefono sulla scrivania. Nel primo cassetto c’erano una copia thailandese di una Smith & Wesson calibro.38, illegale, e una bottiglia di Johnnie Walker, Etichetta Rossa, mezza vuota».
È in quest’ufficio che una ragazza affascinante si materializza per affidargli un incarico: dovrà rintracciare Mike Longshott, autore di una serie di narrativa pulp, intitolata Osama bin Laden: Vigilante. La ragazza gli consegna anche una carta di credito ben rifornita, afferma che si farà viva lei e se ne va. A metterlo in guardia rispetto all’indagine è il libraio che ha fatto conoscere la serie a Joe: «Sei sicuro di volerlo scoprire?»
Non vi piace la narrativa pulp? Peccato: per comprendere questa vicenda complessa dovrete sorbirvi una decina di assaggi dell’opera di Longshott: pagine che trattano di terrorismo, scritte con stile essenziale e freddo che ci permette di tenere la violenza lontana. Talvolta, però, hanno un che di famigliare, qualcosa che ci ricorda storie già sentite.
Per prima cosa Joe vola a Parigi, dove ha sede Medusa Press, l’editore delle opere di Longshott. Mentre si reca all’aeroporto un uomo lo osserva a lungo. È il primo di una serie di sconosciuti con le scarpe di vernice nera che troverà sul suo cammino: il secondo lo semina e il terzo sale su un’auto, sporge il braccio dal finestrino e gli spara.
Dopo qualche giro a vuoto, Joe riesce a mettersi in contatto con Papa D, il redattore capo di Medusa Press, che lo informa che il suo rapporto con Longshott è soltanto epistolare:
«Non l’ho mai incontrato. Più o meno ogni sei mesi ricevo un nuovo manoscritto. Altre esplosioni, palazzi che crollano, aeroplani che si schiantano, gente che muore. [Longshott] ha una fervida immaginazione».
Nel romanzo, infatti, Osama bin Laden non è un terrorista di fama mondiale, ma piuttosto l’antieroe immaginario di una serie di romanzi pulp. Non viene mai catturato, riesce sempre a defilarsi, è una sorta di trickster, un illusionista. Serpeggia nel romanzo senza mai mostrarsi, un po’ come Mike, che comparirà solo verso la fine.
Joe cammina, fuma, beve ogni sorta di alcoolici, consuma una quantità smodata di caffè e si guarda attorno; viene coinvolto in risse e continua a intravvedere uomini con le scarpe di vernice nera. Nel frattempo, conosce un gran numero di persone che gli narrano pezzi di vita e gli regalano frammenti del loro tempo, facendo riflettere noi che leggiamo. Come la giovane prostituta conosciuta per strada, con la quale beve più volte nei bar perché: «c’era qualcosa [nella sua voce] che raccontava di solitudine, sofferenza e sincerità». Quando la incontra per l’ultima volta:
«Se ne stava appoggiata al muro, rannicchiata […] C’era qualcosa di strano in lei. La sua pelle scura sembrava sbiadita, e quanto lui le prese delicatamente la mano tra le sue e scrutò i suoi occhi, gli sembrò di guardare attraverso un muro, come se avessero perso tutta la loro corporeità e fossero diventati le finestre di una casa abbandonata […] Mentre la teneva fra le braccia, gli parve quasi che lì non ci fosse niente e nessuno».
La seconda tappa è Londra, dove si avvale di Mo, un altro detective, che ci va di mezzo durante un violento scontro di Joe con i federali. Mentre cerca di di scoprire cosa sia realmente accaduto, Joe comincia a farsi una domanda che giudica strana, e che è il cardine del romanzo:
«Non c’entrava nulla con il mondo reale, e tutto invece ruotava attorno a quello di finzione, quello di Mike Longshott […] Erano libri di guerra. Ma non comprendeva quella guerra […] l’omicidio di massa era un crimine o era un atto politico? E a chi spettava stabilirlo? […] dev’esserci di più nei libri di Longshott, rifletté».
Capitolo dopo capitolo, l’indagine di Joe riguarda un numero crescente di persone: Mike, Papa D, i federali, che a loro volta ricercano lui, Madame Seng, grande spacciatrice d’oppio, la ragazza che lo ha assunto e che si presenta spesso in panni diversi, un tale Rick… Confuso ma ostinato, quando Madame Seng gli chiede chi stia cercando, risponde inaspettatamente «Osama bin Laden».
A New York, il detective partecipa all’OsamaCon, una gentile presa in giro del mondo del fandom e dei riti delle convention, dove gli appassionati confondono consapevolmente realtà e finzione.
Eppure, Joe si rende conto che il viaggio compiuto dalla tranquilla Vientiane all’Europa e infine a New York lo sta trascinando in realtà sempre peggiori, dove le persone e il suo mondo scivolano via.
«I rifugiati erano allineati nel corridoio silenzioso. C’erano uomini, donne e bambini, ed erano del colore dell’ombra e del crepuscolo. Lo fissavano e le loro labbra si muovevano, sebbene non ne uscisse alcun suono […] percorse il corridoio e loro si aprirono al suo passaggio, come foglie d’autunno. Erano tanti. Troppi».
Questa non è una sterzata buonista ma un salto di livello del romanzo.
Intanto il detective scopre chi sono gli uomini vestiti di nero che continuano a seguirlo: fanno parte della Commissione CPD: Clear Present Danger [Pericolo imminente]. Gli parlano in modo ragionevole, oppure lo picchiano. Uno di loro, Capelli grigi, gli spiega spesso, e in modo sorprendentemente gentile, che deve piantarla di fare domande.
La svolta è la cattura di Joe. Nella cella il tempo non passa mai e Capelli grigi gli pone domande molto strane: cos’è un modem? Chi è James Bond? Cosa sono le automobili smart? E al-Jazeera? Descrivi le bombe intelligenti. Come funziona una rete senza cavi? Cos’è Nintendo? Come funzionano i telefoni cellulari? Cos’è un iPod? Come riuscite a costruire un computer grande quanto una valigetta?
Molti lettori e recensori hanno sottolineato la risonanza fra Osama e il romanzo di P. K. Dick The Man in the High Castle, pubblicato in Italia come La svastica sul sole. Non si tratta di una somiglianza tematica, ma di una comune struttura a incastro (storia dentro storia). Il romanzo di Dick presenta una realtà (differente dalla nostra) alla quale si affianca la possibilità di un’alternativa “migliore”. Osama è un romanzo molto diverso, postmoderno, in cui il noir è mescolato a elementi fantastici, e raccontato con una certa ironia. Benché narri una vicenda d’azione, la voce di Tidhar è delicata, lo stile più letterario, con una apprezzabile attenzione ai dettagli, alla descrizione dei personaggi, anche quelli di contorno, quasi che Joe stesse compiendo un viaggio interiore.
Ci sarebbe molto da dire sull’ultima parte di Osama, la più intensa, e fantastica, ma mi fermerò qui. Il finale è aperto. Troppo, forse, per chi ama la fantascienza e non apprezza le sfumature della letteratura dell’immaginario. Ma Osama gioca proprio sull’ambiguità: Le esperienze di Joe sono reali? O sono frutto della droga che assume a un certo punto? Anche il protagonista ha cominciato a chiederselo, molte pagine prima:
«Si rese conto che non sapeva più cosa fosse vero e cosa no, dove iniziasse la finzione e dove terminasse la realtà».
Un’incertezza molto umana, che tutti noi abbiamo provato. Un’avvertenza: Osama è un romanzo pieno di sfumature: dopo averlo letto d’un fiato, conviene sfogliarlo ancora.
Qui un’intervista A Lavie Tidhar pubblicata su Clarkesworld. https://clarkesworldmagazine.com/tidhar_interview_2020/
Lavie Tidhar, Wanted ,Gargoyle 2013, pp. 334, Trad L. Vetta, A. Campanozzi
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