
Sono una motswana cresciuta in Botswana, e quando ero piccola ho ascoltato le storie che i miei familiari avevano da raccontare.
[Dalla postfazione di Tlotlo Samaase.]
In questa frase dell’autrice è compendiata l’anima di questo bel romanzo edito in originale nel 2020. Costituito da capitoli intensi nei quali la vita quotidiana e una posente realtà onirica si mescolano, il testo ci trascina in una genere di fantastico molto differente da quello occidentale tradizionale. La città dove avviene la vicenda è tagliata in due da una ferrovia molto particolare:
Nei nostri quartieri passa un treno su cui non sale nessuno. È decrepito e porta i suoi passeggeri speciali avanti e indietro, da qualche parte. In un luogo dove nessuno vuole andare.
Il treno torna ogni mese, e consente ai vivi e ai morti della parte est della città di continuare il loro dialogo. Solo i defunti possono salire sui vagoni e ricongiungersi ai familiari già trapassati.
I miei familiari preferisco vederli da morti, perché solo così li vediamo come sono davvero. L’unico momento in cui diventiamo noi stessi è quando moriamo, quando moriamo diventiamo l’inchiostro semprenero del cielo.
Vita e morte permeano l’intera esistenza: seguendo antiche leggi non scritte, ogni vivo attende la visita del proprio Sognopelle, unmessaggero dell’Aldilà che lo avvisa della morte imminente. Ma sono davvero immutabili queste leggi? E i Sognopelle, sono soltanto messaggeri di morte? Una notte, la narratrice riceve la visita del Sognopelle della nonna. Non è la prima volta che accade nella sua famiglia, ma da quel momento tutto, nella città, pare confondersi: le regole saltano, si capovolgono: la pelle e i capelli della giovane cominciano a perdere il loro colore, chiaro simbolo di identità culturale. Nei sogni, la ragazza non ricorda più il nome dei parenti e degli amici che, nel testo, vengono sostituiti dal ruolo: mio fratello, la mia ragazza, mia cognata, il vicino 4302. La città dove vive la narratrice è quindi l’allegoria di un mondo in conflitto, dove il colore della pelle, la lingua, i nomi subiscono violente trasformazioni:
La città era divisa in due dal treno: sul lato orientale sorgeva e tramontava il sole, sul lato occidentale sorgeva e tramontava la luna. In ogni metà viveva un popolo diverso e nessuno attraversava la ferrovia. Un popolo venerava l’altro. Non è difficile immaginare quale: tutti volevano vedere la luna, tranne me. Ustionava il nostro dialetto, ci faceva parlare con accento incerto, coagulava e deformava la nostra lingua madre.
Intorno alla narratrice e alla sua ragazza, il mondo cambia inesorabilmente: i terremoti distruggono la vita soltanto alla gente della zona est, mentre gli abitanti del Distretto sono immuni.

La filosofia affarista della parte ovest prende velocemente il sopravvento. Tutti i proprietari della parte est, spiega un emissario del Distretto, stanno vendendo, senza riuscire a rifiutare l’offerta degli affaristi. Rapidamente il quartiere dove abita la narratrice viene demolito e rimpiazzato. Gli altri, quelli del Distretto, dicono di sorvegliare il quartiere per garantire la sicurezza della gente. O forse per sorvegliarla? Anche il fratello della narratrice si lascia convincere dalla gente del Distretto: non vedono il treno, loro, vedono soltanto il muro che li separa dalla ferrovia. Forse, invece del treno, si potrebbe costruire un cimitero…
Il treno è un cimitero, nel quale sono ospitati i loro antenati, obietta la narratrice. Ma ormai il fratello non ci crede più:
– Non. Sono. I nostri. Antenati. – proclama. Sono solo dei morti. Non dovremmo vedere i nostri antenati in quel modo. E poi il treno è un luogo di passaggio.
Saamase racconta come un incubo horror il modo implacabile e irreale in cui il Distretto si impossessa dei quartieri del lato orientale:
Nella desolazione dell’alba, una nuvola di povere scoppia nel cielo limpido, il rumore della tempesta spacca la terra. Il terreno trema. All’orizzonte, un enorme coltello emerge dal profilo delle case di mattoni. Un’esplosione dell’universo dell’anima. Ci guardiamo, il silenzio è una lama che ci scortica il volto.
Non è il treno.
La demolizione è cominciata. La Nuova Architettura sta sorgendo.
Perfino la pelle dela gente del quartiere sta cambiando, si schiarisce, diventa simile a quella della gente del lato occidentale
Il Sognopelle della nonna, quindi, aveva posto alla narratrice la domanda giusta:
Se siete uguali agli abitanti della Città dall’Altra Parte, perché tra voi c’è un confine? Perché loro hanno più privilegi?
Come salvarsi dal cambiamento? Come difendersi?
Se nessuno mi vede, non sono vera. Se il nostro mondo riflette la gente del Distretto e non riflette noi, vuol dire che siamo insignificanti.
Dice la ragazza della narratrice. La narratrice rifiuta di accettare questa logica, ne contrappone un’altra, più forte:
Se vogliono questa terra, devono accettare ciò che chiamano superstizione.
Le armi dei quartieri est saranno tutto ciò che gli altri, quelli del Distretto, hanno disprezzato e rifiutato. Saranno l’irrazionale, l’inconscio.

Silenziosa sfiorisce la pelle è un romanzo onirico e potente, che mescola con maestria temi come la cultura, la forza della tradizione, la colonizzazione, il valore fondante della lingua e il gender.
Lavie Tidhar ha dato una splendida definizione del romanzo: “Un capolavoro surrealista”.
Davvero apprezzabili la traduzione scrupolosa e la nota partecipata di Giulia Lenti.
Un grazie a Nora Book & Coffee di Torino, dove ho sentito parlare per la prima volta di questo romanzo (e di molto altro), durante la chiacchierata GenereDeGenere – La letteratura queer reinventa il genere, da Giorgio Raffaelli, editore di Zona 42, Giulia Lenti e da numeros* appassionat* lettor*

Tlotlo Tsamaase, Silenziosa sfiorisce la pelle, Zona 42, 2022, pp. 138, € 13,90, Trad. Giulia Lenti
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