Ho appena terminato di leggere Sunset Limited, un breve dramma di Cormac McCarthy.
Svolta in forma teatrale, la vicenda si svolge nella stanza di un caseggiato popolare di New York: quartiere povero, appartamento povero, chiavistelli ovunque perché i vicini sono variamente dipendenti da alcool e droghe e arraffano tutto ciò che possono per tirar su due soldi. Sedute al tavolo di cucina due persone dialogano; di loro sappiamo soltanto l’essenziale. Bianco uno, nero l’altro. Il primo professore e ateo, il secondo ex galeotto illuminato da Dio. La loro conoscenza è recentissima: poco prima il nero ha agguantato il bianco mentre si lanciava sotto le ruote del Sunset Limited, un treno per pendolari; se l’è portato a casa e sta cercando di salvarlo. Per convincere il bianco a desistere dai suoi propositi il nero vede un solo modo: avvicinarlo a Dio.
Com’è immaginabile, il dialogo è uno scontro pacato fra due visioni del mondo. Ho cominciato la lettura spinta dalla curiosità che provo sempre verso una narrativa tanto ambiziosa da volersi confrontare con simili assoluti. Se scrivere storie significa soprattutto seminare dubbi, farlo facendo collidere la relatività del reale con la visione assoluta di un vero ateo e/o di un credente è un’impresa che, se condotta in maniera rigorosa, può approdare a risultati grandiosi; un nome per tutti: il Dostoevskij del Grande Inquisitore. Probabilmente, però, parte di questa propensione mi viene dall’educazione: ateo convinto (con una forte vena mistica) lui e sostanzialmente agnostica lei, i miei genitori scelsero di iscrivermi a una scuola religiosa: il mio apprendistato «strabico» al mondo è tra le cose più preziose che ho.
Come se la cava McCarthy nella grande sfida? Da dio, verrebbe voglia di rispondere. Intanto si tiene ben lontano dalle ovvietà: il nero non è un fanatico, le sue opinioni sul mondo e su Dio sono assai eterodosse e farebbero sussultare più di un uomo di chiesa; soprattutto non è un’anima candida, ma un cristiano evangelico che guarda il mondo dal basso e senza illusioni, semplicemente lo accetta con una profondità di sguardo che forse manca al suo interlocutore. Animati entrambi dall’onestà e dalla passione di McCarthy, i due duellano in punta di fioretto, senza animosità, con stima. Se non riescono a incontrarsi a mezza strada è solo perché le loro posizioni sono mutamente esclusive: o l’ordine, forse non comprensibile, del disegno divino o l’entropia senza scopo.
Leggendo le prime pagine nutrivo la recondita convinzione di stare dalla parte del professore: se interrogata su Dio, darei la medesima risposta data da Laplace a Napoleone: «non mi serve questa ipotesi, maestà». Inoltre ritengo lo zelo missionario soprattutto pericoloso (di qualunque colore religioso politico sia) e detesto chi vuole salvarmi mio malgrado.
A sorpresa non mi ha convinto nemmeno il professore, nonostante il fascino del suo nichilismo.
Ovvio, se mi avesse convinto non sarei più qui a battere sui tasti… Ma ciò che intendo dire è più sfumato: il mondo visto dal professore pare sbiadito e privo di profondità. Non ama i suoi simili (e questo non è certo un obbligo), ma non ne è neppure più incuriosito, non riesce più a percepire la natura umana che spartisce con loro.
In conclusione, sono ammirata, Sunset Limited è una grande prova di scrittura e di sensibilità.
Il dramma è stato più volte messo in scena (la prima volta nel 2006, a Chicago), anche in Italia.
Dall’opera è stato realizzato, nel 2011, un film televisivo omonimo, scritto dallo stesso McCarthy e diretto da Tommy Lee Jones, che interpreta anche il bianco, mentre Samuel L. Jackson interpreta il nero.
Cormac Mccarthy, Sunset Limited, Einaudi ET, 2008, pp. 119, € 10,00, Trad. M. Testa
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