Una casa infestata e un gruppo di studiosi di fenomeni paranormali che sperano di scoprire i suoi segreti. Nooo! L’ennesima rifrittura horror da B movie. Invece no perché, in epoca moderna, L’incubo di Hill House è una delle madri illustri delle storie di case possedute, un’opera raffinata che esorbita il genere per entrare a pieno diritto nella letteratura.
Cominciamo dall’autrice. Shirley Jackson, una laurea in lingua inglese (1940), negli anni universitari fu una intellettuale impegnata nelle cause civili e difese i diritti degli studenti, denunciando la scarsa presenza di iscritti afroamericani. Come ricorda Francesco Troccoli in un suo interessante articolo1, quando tre anni più tardi giunse in ospedale per partorire, la Jackson si definì «scrittrice»; l’impiegata dell’accettazione rispose: «ok, scriviamo casalinga». Benché «casalinga» di Bennington, Vermont, figlia complessata di una madre decisamente difficile e moglie disillusa, l’autrice scrisse racconti e romanzi che sono veri gioielli ed esplorano gli aspetti oscuri della provincia americana (basti ricordare il terribile racconto La lotteria)
E ora la storia. Il dr Montague, antropologo appassionato di soprannaturale, affitta Hill House, una grande casa sovrastata da colline che ha fama di essere posseduta, per studiarne scientificamente le eventuali perturbazioni psichiche. Nell’impresa si fa accompagnare da tre assistenti: Luke, futuro erede dell’edificio, e due ragazze con esperienze paranormali pregresse: Eleonor e Theodora. Eleanor è una trentenne chiusa e repressa che, avendo trascorso molti anni ad accudire fino alla morte una madre dispotica e malata, possiede minime competenze sociali; Theodora, più giovane e anticonvenzionale, è brillante e abituata a calamitare l’interesse maschile. Fra i quattro esploratori si instaura subito un rapporto molto cameratesco, venato di allegra complicità. L’atmosfera idilliaca è destinata a incrinarsi all’arrivo della moglie del professore, una spiritualista convinta di riuscire a comunicare con i morti, e del suo compagno di sedute spiritiche. Hill House – che grazie all’abilità dell’autrice diviene una vera deuteragonista – si rivela presto un osso duro a causa della bizzarra architettura imposta dal primo proprietario: file di stanze disposte a cerchi concentrici e collegate fra loro da una infinità di porte, angoli volutamente mai retti, pavimenti non a piombo rispetto alle pareti, una torre che viene percepita da alcuni ospiti ma non da tutti… Presto si verificano piccoli eventi inquietanti.
Messe le carte in tavola, Jackson comincia a far saltare le categorie del gotico: I visitatori di Hill House sono tutti “troppo”: prima troppo allegri, entusiasti come un gruppo di villeggianti e poi – dopo l’arrivo della signora Montague – troppo agitati e litigiosi. Presto le cose si complicano: le stranezze della casa, che non diventano mai vere e proprie manifestazioni terrorizzanti, corrodono i nervi degli studiosi… i due spiritisti scendono in lizza contro l’antropologo, Theodora si annoia e comincia a flirtare con il disponibilissimo Luke mentre Eleanor, sentendosi messa da parte, si convince di essere in particolare sintonia con Hill House, destinata a considerare «casa» quel luogo per altri molto insidioso.
Oltre al particolare legame fra i personaggi e alla peculiarità della casa, la forza del romanzo sta nella capacità di Jackson di descrivere i suoi personaggi con un’attenzione e una profondità che di solito si trova nel mainstream di qualità. Le vicende sono vissute sempre e solo dal punto di vista, chiaramente inaffidabile, di Eleanor, mettendo il lettore nelle condizioni di sapere e vedere solo ciò vede e sa lei e di dover accettare la sua interpretazione degli eventi. In altre parole, seguendo Eleanor noi non possiamo confrontare la sua (e nostra) interpretazione dei fatti con quella degli altri personaggi… E Jackson, come tutti i grandi autori di fantastico affida a noi la responsabilità di prenderle o meno per buone.
Haunting of Hill House cucina solo apparentemente ingredienti banali. Posto che la storia di fantasmi ha origini antichissime che riprendono miti sciamanici di accompagnamento nell’Aldilà e che, in epoca romana, già Plinio il giovane aveva narratoin una lettera la storia di una casa posseduta, l’incubo di Hill House appartiene alle storie moderne di fantasmi, quelle cioè il cui tema non è l’esorcismo del fantasma ma lo studio scientifico del fenomeno. L’opera di Shirley Jackson si pone in posizione centrale rispetto a questo nuovo punto di vista: è preceduta dalle storie di Algernon Blackwood su John Silence e di H.P.Lovecraft (La casa stregata, I sogni nella casa stregata), e precede, influenzandole, molte opere successive: Hell House di Richard Matheson (1971) e House of Leaves Di Mark Z. Danielewski (2000)
Illustre rappresentante della narrativa moderna sul soprannaturale, Haunting of Hill House divenne rapidamente un classico, ebbe due adattamenti cinematografici entrambi intitolati di Haunting. Il primo, del 1963, fu diretto da Robert Wise e divenne a sua volta un cult, rimanendo estremamente fedele al romanzo; il secondo, del 1999, fu diretto da Jan de Bont che trattò il tema più liberamente. Lodato dai critici, adorato da S. King, il romanzo, che non descrive mai nemmeno il più tenue dei fantasmi, ebbe un grande momento di gloria come finalista del National Book Award nel 1960, perdendolo onorevolmente a favore di Goodbye, Columbus di Philip Roth.

Shirley Jackson
Tra le opere dell’autrice, oltre a folgoranti racconti brevi, sono assolutamente da leggere Abbiamo sempre vissuto nel castello e Lizzie, che ha come protagonista una ragazza con personalità multiple.
1. Le signore del fantastico che ci mettono in guardia sui rischi del domani in La bottega del Barbieri, 12 giugno 2018
Shirley Jackson, L’incubo di Hill House, Adephi 2016 3, gli Adelphi, pp. 233, € 12,oo, trad. Monica Pareschi
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