Les Âmes grises del francese Philippe Claudel è la prima parte (2003) di una trilogia che comprende anche La nipote del signor Linh (2005) e Il rapporto (2007). Il tema portante della trilogia, suggerito nel primo titolo, è l’ambiguità morale, caratteristica che accomuna tutti noi umani e che si rivela soprattutto durante i momenti peggiori della storia, come le guerre; chi sopravvive a questi momenti non è mai innocente. Come afferma uno dei personaggi del romanzo:
Carogne, santi, non ne ho mai visti. Niente è tutto nero o tutto bianco, è il grigio che la vince. Idem gli uomini e le loro anime.
Questo primo romanzo prende l’avvio dall’assassinio di una ragazzina, avvenuto nel dicembre 1917, in una cittadina della Francia del Nord poco lontano dal fronte occidentale.
La storia è narrata vent’anni dopo da un poliziotto locale che, dopo aver partecipato alle prime indagini, non aveva potuto proseguire né presenziare al processo perché al capezzale della moglie morente. Convinto che l’indagine sia stata pilotata verso colpevoli di poco conto per non infastidire personaggi potenti e per chiudere rapidamente una brutta vicenda in un periodo particolarmente difficile del conflitto (all’epoca nell’esercito francese si verificarono numerosi ammutinamenti e gravi casi di indisciplina diffusa) il poliziotto insegue la pace interiore esplorando la possibilità di un colpevole alternativo.
Mentre il narratore, che resterà anonimo, rivisita i propri ricordi, traccia il ritratto di un paese ossequioso ai potenti e dominato da due realtà assolute: La Fabbrica e il Castello.
La Fabbrica, in funzione dal 1880, è gestita da capitale belga; è stata la Fabbrica a fare la differenza per la cittadina: fondamentale per la produzione bellica, ha permesso a tutti gli uomini che vi lavorano di essere destinati al servizio civile. Non tutti hanno avuto la medesima fortuna: i contadini dei dintorni hanno dovuto posare le vanghe e imbracciare il fucile, e così molti altri e questo ha diviso in due l’intera comunità.
La nostra cittadina sentì la guerra ma non la fece realmente. Si può anche dire senza tema di scandalo che ne visse […] Ottocento uomini che agli occhi di qualcuno non furono mai tali, e che ogni mattina, sarebbero usciti da un letto caldo, da braccia addormentate, e non da una trincea fangosa, per andare a spingere dei vagoncini anziché dei cadaveri.
Anche il maestro è stato mobilitato e così la piccola scuola è rimasta chiusa sino a quando Lysia, una giovane insegnante, affascinante e riservata, si è offerta di prendere il suo posto.
Il Castello è un vero castello, circondato da un grande parco e protetto da un lungo muro; è la dimora dell’ultimo discendente di una nobile famiglia, il procuratore Pierre-Ange Destinat, che – dopo gli studi a Parigi – ha rifiutato una prestigiosa carriera alla capitale per rimanere a lavorare nel tribunale di una città vicina. Il Procuratore,
[…] un uomo alto e magro,, che somigliava a un uccello freddo, maestoso e distante. Parlava poco. Impressionava molto […]
vive da solo, riducendo al minimo i contatti con i propri simili, dopo aver esercitato per trent’anni la professione
come un orologio meccanico che non si scompone e non si ferma mai. [… ] non si accaniva contro un criminale in carne ed ossa ma difendeva un’idea, soltanto un’idea, che si era fatta del bene e del male.
Raccontando l’indagine di un tempo, il poliziotto dà dei propri concittadini ritratti accurati che sono il vero pregio del libro; alcuni conducono indisturbati una vita piacevole e priva di sacrifici, ignorando completamente il fiume, lento e tortuoso quanto la Guerlante, di soldati che si muovono verso il fronte – consapevoli che la loro esistenza è appesa a un filo, che altri, che non vedranno mai stanno decidendo per loro – e i sopravvissuti che ne ritornano mutilati e in attesa di un destino anche peggiore. By a Slow River, titolo dell’edizione statunitense, evoca forse il movimento di questa umanità parallela e ignorata.
La bimba uccisa, che tutti chiamano Bella di giorno per la sua grazia, è figlia del proprietario del ristorante frequentato dalla “casta” locale: Destinat, compassato ed elegante, vi mangia dopo ogni arringa, elegante nei gesti, tagliando il pesce “come se lo accarezzasse”; il suo tavolo è a pochi passi da quello del giudice Mierck, vorace quanto un orco e gran bevitore di Borgogna, indifferente di fronte al cadavere della piccola, che sempre lo serviva a tavola. I due magistrati non si piacciono ma non mancano mai di salutarsi togliendosi il cappello.
Il romanzo è popolato di altri personaggi singolari, che restano impressi, come Lysia, che riesce a entrare in relazione con Destinat e a guadagnarsi l’affetto di tutti, ma non racconta a nessuno il proprio segreto, o il venditore Bassepin, capace di “vendere a caro prezzo ciò che andava a comprare molto lontano per due soldi”, uno che guadagna dalla guerra, commerciando con i reggimenti di passaggio, e che alla fine della guerra saprà sfruttare “la frenesia comunale di onorare i morti in guerra”.
Fra tutti, a segnare pesantemente il corso dell’indagine sarà il colonnello Matziev,
… un apollo graduato […] un cultore del sangue, ma che era dalla parte giusta, là dove si può farlo scorrere e berne senza urtare nessuno.
A fare da contraltare a questa capacità di ritrarre personaggi, ci sono l’andamento “letterario” della narrazione e la volontà di rendere epocale il confronto tra l’omicidio crudele e mirato della bimba e la morte anonima di migliaia di soldati mandati al macello dagli eserciti di mezza Europa, facendone una provocazione che spinga i lettori a interrogarsi sul senso di entrambe. E c’è il continuo interrogarsi del poliziotto sulla propria umanità grigia, sul dolore subito e provocato, sul grigiore che lo circonda, nel quale tutti sono immersi, vittime e carnefici, chi ha amministrato indegnamente la giustizia, scatenato la guerra e/o oliato i suoi ingranaggi, chi li ha subiti senza farsi domande, chi si è limitato a difendersi. Tutti grigi, tutti imperdonabili. Nella dimensione privata del poliziotto il finale giunge con un tocco sorprendente ma non illuminante: evitandolo, Claudel non avrebbe tolto forza alla propria narrazione, anzi l’avrebbe resa più nitida.
Comunque Anime grigie ha energia e coraggio nel penetrare oltre le apparenze, ritraendo una provincia profonda e isolata, piena di segreti crudeli e di dolori, che mi ha ricordato altre “indagini”: quella narrata da Jacques Chessex ne Il vampiro di Ropraz, o quelle raccontate da Friedrich Dürrenmatt o certe storie di George Simenon.
Anime grigie è stato tradotto in 28 lingue, ha vinto il premio Renaudot, ed è stato finalista al Goncourt e al Femina.
Ne è stato ricavato un film dal medesimo titolo per la regia di Yves Angelo. Di seguito il trailer del film
https://www.youtube.com/watch?v=CIdRZWdRQDQ
Philippe Claudel, Le anime grigie, Tea, 2009, pp. 217, € 10,00, Trad. F. Bruno
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