La fine della Seconda guerra mondiale nel 1945 ci portò la Coca-Cola, la gomma da masticare e i libri dei grandi scrittori americani tradotti in italiano. Faulkner ed Hemingway apparvero nelle nostre librerie a colmare la lacuna culturale provocata dall’autarchia fascista che, in assenza di un suo pensiero – letterario o no – aveva vietato la conoscenza del pensiero internazionale. Fu la fortuna di Mein Kampf e dell’opera di Gabriele D’Annunzio. Inoltre, poiché nelle pagine dei Quarantanove racconti di Hemingway si poteva leggere a volta un «merda», iniziò la rincorsa tra i nuovi autori italiani per riuscire a scrivere «merda» più volte del vecchio Ernest, nella convinzione di essere così moderni e anticonvenzionali.
Qualche cosa di simile dev’essere successo a Gianluca Morozzi, autore di L’era del porco. Il giovanotto dev’essersi esaltato nella lettura delle opere di Charles Bukowski e di lì… «avanti con la spazzatura e il turpiloquio».
In questo suo romanzo, il cui titolo sembrerebbe riecheggiare le «maialate» agresti della Val di Chiana, nobilitate dal rosso vino Nobile di Montepulciano, oppure certe cene «grasse» dell’Emilia-Romagna a base di prelibatezze suine e di Lambrusco di Sorbara, l’unico che prova gusto e piacere è forse l’autore nell’estasi che gli procura il rivoltarsi nel fango di una prosa fatta di sodomia, di masturbazioni, di ansimare di personaggi come «l’Orrido» o «Lurida Baldracca» (sic!). Si intrecciano la storia di fondo di una band disastrata e le divagazioni sessuali dell’autore, in un vago sentore di contrasto generazionale tra un figlio «deragliato», per citare Sergio Forti della «Gazzetta del Mezzogiorno», e il suo genitore (scrittore famoso e riverito).
Ma il punto di forza dell’opera sono le volgarità gratuite, le situazioni sordide, i personaggi disgustosi, le considerazioni sulla vita senza senso che l’autore fa vivere a coloro che si muovono nel suo letamaio. Le cause di queste circa 300 pagine, che nessun lettore di buon gusto letterario potrà leggere sino alla fine, possono essere molteplici e si può azzardare:
– Gianluca Morozzi ha probabilmente seri problemi personali, ma in attesa che la scienza trovi la cura adatta, non è il caso di comprare il suo romanzo;
– tutto deriva da un giro di conoscenze perverse, ma il lettore non è tenuto a subirne le conseguenze;
– l’autore non ha capito che i motivi che indussero Pasolini e Bukowski a usare un linguaggio forte non erano il desiderio di vincere l’Oscar della parolaccia, ma piuttosto una volontà di rottura nei confronti dell’epoca ipocrita e bugiarda in cui vivevano.
Resta da comprendere come e perché un editore come Guanda abbia pubblicato questo L’era del porco, ma già… pecunia non olet. Di ragioni sensate per comperare il libro non se ne intravedono proprio
Gianluca Morozzi, L’era del porco
Guanda, 2005, pp. 294, € 15,00
idem in TEA, € 9,00
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