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    Magazzino

    Gioventù senza Dio di Ödön Von Horvath

    • di Massimo Citi
    • Giugno 29, 2016 a 5:16 pm

    gioventù senza dio

    Si comprende subito che il nazismo si fonda soprattutto su moltissimi ragazzi (…) belli, decisi, puri ma awolti da un’implacabile aura che rende anche alieni, oscuri, non conoscibili.

    Così, nella partecipata introduzione, A.Faeti compendia il punto di vista iniziale del docente di storia trentaquattrenne, “intriso di weimarismo”, che scruta con interesse distaccato e quasi voyeuristico i suoi alunni quindicenni. Le occasioni di studiarli non gli mancano, è persino costretto ad accompagnarli alle esercitazioni militari e a vivere con loro giorno e notte. Potrà così assistere al crescere delle tensioni nel gruppo, fino alla crisi finale. Gioventù senza Dio è un libro a tesi, nel senso migliore del termine. Horvath ha una visione del mondo e un grido d’allarme da lanciare ai lettori e lo fa con passione e onestà. Come la migliore narrativa di questo tipo, non ha nulla da spartire con quel “politically correct” che costituisce una piccola ma invadente parte della produzione editoriale e va ben oltre la testimonianza, forse al di là delle intenzioni consapevoli dell’autore:

    Senza averne l’intenzione ho descritto per la prima volta il nazista roso dai dubbi, meglio ancora l’uomo nello stato nazista.

    E l’uomo qualunque cerca dapprima di adattarsi, di sopravvivere; il lavoro e la pensione sono garanzie troppo preziose per rischiarle in nome di astratti principi, meglio fingere di non vedere, non pronunciarsi nella vana illusione di restare sani in un mondo di pazzi. Ma, poiché non è mai possibile chiamarsi fuori, il professore è ben presto detestato dagli studenti perchè con la prudentissima ammissione che i negri, benché inferiori ai tedeschi, sono sempre uomini, ha incrinato l’immagine granitica e rassicurante di un popolo in marcia verso la conquista del mondo e padrone del proprio destino.

    gioventù senza dio a teatro

    La rappresentazione di Gioventù senza Dio messa in scena a Parma nel 2014

    L’insegnante tira dritto e intanto spia i ragazzi, apparentemente a loro agio in un mondo che ormai gli è estraneo. E mentre li scuta, dallo stupore distaccato scivola nella compassione. È uno spostamento lento, quasi inconsapevole, che accomuna il personaggio e lo scrittore e costituisce la vera ricchezza del libro: nemmeno Horvath comprende sino in fondo ciò che vede, ma coglie le avvisaglie di una malattia gravissima del tessuto sociale, che colpisce innanzitutto i giovani:

    Il fatto che questi ragazzi rinneghino tutto ciò che per me è sacro non sarebbe la cosa più grave. Grave è il modo come lo rinnegano, cioè senza conoscerlo. Ma il peggio è che non vogliono neppure conoscerlo.

    «il professore ci parlava sempre del mondo come dovrebbe essere e non come realmente è», ribatte uno studente.

    horvath

    Ödön Von Horvàth

    Faeti, sottolinea l’attualità e la futuribilità del libro, gli spunti che può ancora offrire per comprendere fenomeni apparentemente inspiegabili della nostra epoca, a patto di cambiare radicalmente il nostro punto di vista:

    spesso, nelle descrizioni che oggi si fanno dei lanciatori di sassi autostradali o dei cercatori di una morte post-discotecaria (…) c’è un’antropologia dell’horror, c’è una sociologia tanatologica, c’è una pedagogia della sofferenza annoiata che andrebbero interrogate nelle loro scaturigini.

    Ma l’aspetto fondamentale che il libro coglie, mi sembra una curiosità impietosa e priva di partecipazione – quanto diffusa oggi? – che spinge alcuni ragazzi a considerare la vita, e quindi la morte, come spiegabili, controllabili, osservabili, senza coglierne gli echi, indefinibili ma esperiti da ognuno, che ci accomunano e ci permettono di comprenderci nonostante la distanza.

    Tra la Gioventù senza Dio e coloro che li hanno preceduti c’è uno iato incolmabile, che i genitori non vogliono vedere e che può essere, se non compreso almeno accettato, solo da chi è onestamente riluttante, persino vagamente disgustato, come il professore, perché questi ragazzi sono davvero “altri”, anche quelli che, non sperando più niente dalla scuola, credono ancora nel potere salvifico della cultura:

    non dobbiamo soltanto leggere libri, ma vivere come i libri ci insegnano.

    gioventù

    Ödon Von Horvàth, Gioventù senza Dio, Bompiani Tascabili 2003 (ed. or. 1937), pp. 151, € 9,00, trad. B. Maffi.

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