- Retrofuturo: steampunk, steampulp e scientific romance – I padroni del vapore
- Retrofuturo #2 – Tassonomia di un genere che non esiste
- Retrofuturo #3 – Il padrone del mondo
Se la classificazione può diventare bizantina, classificare ed etichettare ci permette ancora una volta di sfiorare appena la superficie di un fenomeno estremamente vasto. E non limitato alla narrativa.
Il che sembrerebbe comunque confermare che questi generi – o sottogeneri – stanno acquistando una grande popolarità soprattutto attraverso mezzi visivi: fumetti, cartoni animati, film. Al limite, attraverso l’opera di quei fulminati che si fanno i costumi o i modding per il computer. È quasi come se i romanzi fossero diventati un’appendice a un fenomeno più grande.
Esiste, se non proprio una sottocultura, certo una moda molto diffusa nel mondo anglofono e – con altri modi e stili – in Giappone. Gente che si costruisce una piccola realtà steampunk. Come nel caso di Hieronymus Isambard «Jake» von Slatt (ma non è il suo vero nome) che da alcuni anni gestisce on line lo steampunk Workshop, in cui produce oggetti retro-futuribili quali tastiere per computer d’ottone, gioielleria e strani aggeggi. O come Haruo Suekichi (e questo è il suo vero nome), un artigiano giapponese che crea orologi da polso steampunk in ferro, ottone e cuoio, oggetti unici dal design tanto strampalato quanto retro-futuribile, ottenendo un grande successo personale ma rimettendoci il posto di lavoro in un laboratorio di orologeria.
E il Giappone si è rivelato negli ultimi anni un terreno quanto mai fertile per lo steampunk e il retrofuturismo. Il mio amico Massimo Soumaré ha recentemente sollevato un interessante problema classificativo, citando una varietà di opere narrative che, ambientate fra Seicento e Novecento, sfuggono all’etichetta di steampunk, e possono eludere anche la classificazione di base, in quello che si potrebbe in prima approssimazione definire «Edo-Meiji-Taisho steampulp». Ovvero opere più o meno steampunk in quanto si ritrovano elementi di tecnologia «a vapore», ma ambientate in Giappone e in Asia in un periodo che va, grosso modo, dal XVII secolo agli inizi del XX secolo quali Sakura Taisen, Master Mosquiton, l’ottimo Samurai 7 e il recente Gintama e in cui forse sono anche inseribili gli ultimi anime di Giant Robot (anche se questi potrebbero essere denominati «Japan Retrò pulp»).
Senza dimenticare gran parte della produzione di Hayao Miyazaki, ormai consacrato «grande artista» da un buon numero di premi internazionali, e che rimane un maestro dell’anacronismo.
E se nella vasta produzione giapponese Il Mistero della Pietra Azzurra può a buon diritto essere definito uno steampunk (o meglio ancora un «viaggio straordinario», vista la parentela verniana), Sakura Wars, in cui robot a vapore si prendono a spintoni in un mondo tardo ottocentesco non è certo uno scientific romance.
Il Giappone è anche l’unico paese nel quale finora si sia diffusa una vasta moda retrofuturibile e steampunk, non limitata agli orologi citati qui sopra, ma all’abbigliamento completo. Si formano così delle autentiche sottoculture (Gothic o Classic Lolita, Dandy), alimentate da abbigliamento copiato – o parodiato – dai cataloghi della nonna. Culture giovanili che hanno la loro musica e il loro linguaggio. E in campo musicale non mancano anche in occidente esempi di musica steampunk – dai Vernian Process, immersi in atmosfere retro-tecnologiche, agli Abney Park, che si spacciano per equipaggio ammutinato di un dirigibile, fino a certe uscite fra il pop e il trash di Sara Brightman. Insomma, una nube di vapore sembra in espansione sul mondo intero, e non solo sul fantastico.
Ma, non avevamo cominciato col lamentare la resa del fantasy davanti all’avanzare del Potterianesimo?
Che cosa c’entra tutta questa lunga disquisizione, con il fatto che il fantasy per lettori maturi sembri ormai scomparso?