Le venti giornate di Torino di Giorgio De Maria, è stato ripubblicato da Frassinelli nel 2018 dopo una prima pubblicazione nel 1977 da parte de Il Formichiere che fu sostanzialmente ignorata. Giorgio De Maria non era esattamente un carneade, avendo scritto altri tre romanzi pubblicati da Mondadori, essendo stato un critico teatrale per l’Unità, un commediografo, uno sceneggiatore per la RAI e un membro del gruppo Le Cantacronache, insieme, tra gli altri, a Italo Calvino. Il motivo per il fiasco della prima edizione de Le venti giornate va probabilmente cercato da un lato dell’insufficiente distribuzione dell’editore a suo tempo scelto che – lo so per esperienza personale – faticava a essere presente nelle librerie, dall’altro nel modo molto peculiare di affrontare il tema della narrazione scelto da De Maria.
Di ciò che è accaduto durante le Venti giornate è possibile apprenderne soltanto per frammenti, per accenni, per obliqui riferimenti, ovvero per quanto il protagonista riesce a ricostruire sulla base dei racconti narratigli da diversi personaggi: la sorella di uno dei morti in maniera misteriosa, un avvocato che morirà in circostanze enigmatiche, un altro avvocato che sembra fornirgli qualche elemento che spiega la persistenza del clima malato della città, uno sconosciuto con il quale avrà un curioso rapporto epistolare. Nel corso delle sue indagini emerge ben presto un’entità, la Biblioteca, aperta presso La Divina Casa della Divina Provvidenza – nota a Torino come il Cottolengo – una sorta di social network in netto anticipo sui tempi, dove ognuno è chiamato a scrivere di se stesso, nell’assurda speranza che qualcuno legga i suoi testi. E procedendo nella lettura ci si rende conto che ciò che è avvenuto – qualunque sia l’orrore avvenuto pochi mesi prima – può accadere di nuovo e che Torino non può che essere il Luogo nel quale tutto succederà ancora.
Un piccolo testo che sembra voler ricapitolare in forma di riferimento il fantastico del XX secolo, da Kafka a Borges, a Hope Hodgson, a H.P.Lovecraft, a Landolfi tutti citati con rapidi e celati riferimenti, fino alla chiusa del romanzo che sposta l’intero testo su un terreno ultraterreno, quasi a confermarci che dalle «venti giornate» non esiste salvezza.
Ho letto il libro per ben tre volte, ogni volta stupito dalla sua capacità di affascinare senza cedere ad alcuna osservazione razionale. Oltre a questo, dal momento che ogni giorno mi muovo nella metropoli raccontata da De Maria, in Corso Stati Uniti, in via Vincenzo Vela, in piazza Solferino, in via Castelfidardo (nella sua antica disposizione, ora obliterata dal passaggio di un grande viale che attraversa gran parte della città) è praticamente inevitabile portare con me le immagini sbiadite ma vagamente terrificanti dell’orrore che ha posseduto la città, una città che
«non è la Torino inoffensiva e po’ da cartolina fané […] ma la città [dove] i demoni covano sotto la cenere» (dalla postfazione di Giovanni Arduino).
Ne consiglio la lettura? Beh, certo, preavvisando però i lettori di non attendersi un romanzo a forte tinte e carico di sangue e di misteri urlati, quanto un breve romanzo (150 pagine, non di più, semmai di meno) in grado di spaventare anche e soprattutto a distanza di giorni.
Segnalo che durante l’estate presso il MuFant si è svolto lo spettacolo «Le venti giornate di Torino, spettacolo di voci e ombre». Qui di seguito ulteriori notizie.
Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino, Frassinelli 2017, 2018, pp. 142 + Postfazione di Giovanni Arduino, € 17,50. disp. in e-book.
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