- Retrofuturo: steampunk, steampulp e scientific romance – I padroni del vapore
- Retrofuturo #2 – Tassonomia di un genere che non esiste
- Retrofuturo #3 – Il padrone del mondo
Questo non è l’articolo che avrei dovuto scrivere. Non completamente, per lo meno.
L’idea era di dare finalmente un’occhiata a quel piccolo secchioncello quattrocchi, quell’Enrico Potter che da alcuni anni infesta i nostri scaffali e la nostra cultura, e poi passare ad analizzare gli effetti deleteri del potterianesimo sul mercato del fantastico. Bello, eh?
Ma poi quello che segue si è quasi scritto da solo. Ed è una buona idea. E chi sono io per cestinare una buona idea?
La mia vita di lettore di letteratura fantastica – fantascienza, fantasy, horror e tutte le permutazioni possibili – è passata attraverso tre fasi distinte. La prima, che coincide con la scoperta, è quella fase in cui leggevo più in fretta di quanto riuscissi a procurarmi libri. Ho già ammesso in passato di aver saltato più di un pasto e di aver rinunciato a più di un abbonamento tramviario per poter finanziare la mia furia di leggere fantascienza e fantasy. Erano gli anni d’oro della «Fantacollana» Nord, della Cosmo «Oro», dei bei volumi della Libra, di quei grossi tomi variopinti e un po’ surreali che stampava Fanucci.
E poi «Urania», naturalmente, che però mi acchiappava poco perché era palesemente creata per non durare, mentre a me i libri piace averli sullo scaffale.
Bob Howard e Jack Vance, Poul Anderson e Jack Williamson, Edmond Hamilton e Michael Moorcock, C.J. Cherryh e Gene Wolfe… In questa prima fase si formò il mio gusto (o la mia mancanza del medesimo). Ma non durò a lungo: si pubblicava poco, comunque, per quanto bene si pubblicasse.
Durante la seconda fase cominciai a leggere prevalentemente in inglese e potei così procurarmi libri a buon mercato molto più rapidamente di quanto riuscissi a leggerli. Gli editori italiani avevano rallentato i ritmi, passando a un regime sorretto dalle ristampe, mentre il mondo anglofono restava un panorama costellato di meraviglie. La terza fase, il post-Potterianesimo, vede una nuova esplosione di letteratura fantastica in italiano sugli scaffali, ma è tutta, drammaticamente, radicalmente, inesorabilmente diretta a un pubblico adolescenziale. È come se, per decenni tacciata di infantilismo ed escapismo, la letteratura fantastica avesse deciso di arrendersi e – complice il successo commerciale dei romanzi della Rowlings – si fosse attestata su una solida e continuativa produzione per giovani lettori.
Libri spesso confezionati con gusto e con trame sopraffine, badate bene, ma a quarant’anni suonati, i dolori adolescenziali del prossimo maghetto di turno non sono esattamente ciò che si desidera per passare una buona serata leggendo un romanzo. Ma è davvero così? O si tratta di una visione miope, influenzata dalla nostra solita editoria nazionale più interessata alla carta moneta che alla carta stampata?
Davvero il 90 per cento del fantastico prodotto negli ultimi dieci anni è mirato ai ragazzini, o è la nostra editoria a tradurre e a pubblicare solo libri per gli orfani del Pottarello? Che cosa è successo veramente al fantastico?
I Padroni del Vapore
Il giorno di Ferragosto 2007, una rete televisiva che non ho archiviato ci ha ripassato Viaggio al Centro della Terra, con James Mason, Pat Boone e Arlene Dahl. Liberamente tratto da Giulio Verne. Molto liberamente tratto. Brutto, tutto considerato.
Pessima la scelta di Pat Boone come comprimario, ridicola Arlene Dahl che affronta «mille braccia» di discesa in caverna con delle vezzose scarpette col tacco, patetiche le lucertole camuffate da rettili preistorici, agghiacciante il finale a baci e abbracci con matrimonio riparatore. Eppure…
Sarà che io Viaggio al Centro della Terra lo associo ai bei tempi delle scuole elementari, quando a Torino si teneva il Salone della Tecnica (cosa ne sarà mai stato?) e solo per la nostra città c’era la televisione anche al mattino (perché i banchi video al salone qualcosa dovevano pure captare) e passava film a rotazione. E Viaggio al Centro della Terra c’era sempre. E a me una sorta di feticcio per Arne Saknussem è rimasto. E poi io in questo periodo ho una specie di inespressa voglia di steampunk. Ho voglia di ussari e dirigibili, in un «futuro» vittoriano di ferro brunito e ottone polito, di macchinari neogotici e di «viaggi nell’etere», di professori oxfordiani al limite della stregoneria, di vampiri e signore dedite al laudano…
E si, perché no, di geologi che si calano in un vulcano in compagnia di un’oca, di un cantante e di una pettoruta bionda danese… Leggo narrativa più o meno steampunk da quasi quindici anni, e per primo ne parlai, nel 1995, in un articolo apparso sulla leggendaria fanzine torinese «Klaatu, Parole e mondi fantastici». Non che qualcuno se ne ricordi, naturalmente. E davanti alla povertà dell’offerta nazionale degli ultimi tempi, la voglia di tornare al passato si è fatta prepotente in questa estate arida.
Dipenderà probabilmente dal recente annuncio che la R. Talsorian ristamperà il manuale di Castle Falkenstein, uno dei più interessanti e sfortunati giochi di ruolo del secolo scorso.
O forse ho ascoltato troppo la musica degli Abney Park. O sono stato travolto dall’invidia per la vacanza di Massimo Citi al museo degli Zeppelin – un caso classico di invidia del dirigibile sulla quale caleremo un velo pietoso per non degenerare nel vaudeville (genere vittoriano, comunque). Certo è che, quasi come un segno del destino, nelle mie peregrinazioni ferragostane (e prima di vedere Viaggio al Centro della Terra, in un evidente caso di sincronicità) avevo messo le mani su un antico artefatto, un oggetto proveniente da un’epoca più civile, un tesoro del secolo scorso che credevo perduto e invece ora è qui fra le mie avide manine sudaticce.
Si tratta di Aventures Extraordinaires, uno dei Fuori Serie di «Casus Belli», leggendaria rivista ludica francese da qualche anno defunta, interamente dedicato a una ambientazione circa-steampunk di stampo puramente verniano e, ovviamente, quasi completamente francocentrica. Lo steampunk (o meglio ancora «steampulp», come lo ha definito recentemente un editor americano) offre moltissimi spunti, su tutto lo spettro, dal semplice divertimento alla satira politica massiccia, al commento sociale, alla speculazione. Credo che lo frequenterò – da utente o da perpetratore – finché campo.
Ma che cos’è, esattamente, lo steampunk?
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.