L’ispettore Morse è il tipico investigatore inglese da serie televisiva: di mezza età, di abitudini tranquille, abbastanza agiato ma non certo ricco, indaga all’interno di una comunità urbana ma non metropolitana; il suo metodo consiste in poca azione, molta osservazione e una discreta dose di ironia. Potrebbe somigliare all’ispettore Barnaby.
Eppure, tipico com’è, l’ispettore Morse è un tipo bizzarro, o meglio, un bizzarro tipo di ispettore. Non è sposato, anzi è proprio solo – tanto solo da non sapere che farsene delle vacanze, ad esempio – ha una vera fobia per gli incidenti stradali e soffre di vertigini in maniea patologica; forse è un po’ troppo colto per essere un buon investigatore, i molteplici riferimenti che gli vengono in mente durante un’indagine sono per lui fonte di distrazione e una sorta di maledizione per i suoi colleghi. Morse ha un rapporto complesso con la religione e, da agnostico, esamina la fede altrui con una curiosità scientifica non esente da un filo di rimpianto. Adora la musica classica, la buona birra ed è molto sensibile al fascino femminile. Si immerge nell’ambiente in cui indaga lasciandosi coinvolgere come un buon investigatore non dovrebbe mai fare (e come invece, per nostra fortuna, i migliori di loro fanno sempre, a partire dal grande Sherlock Holmes). Testardo, scostante, rompiballe – come il suo vice, l’ottimo sergente Lewis, sa bene – l’ispettore Morse possiede il talento: fiuta fin la più piccola stranezza in una scena per il resto perfetta, e nota perfino la loro mancanza: l’eccessiva perfezione accende il suo sospetto.
In questo romanzo, un tempo pubblicato nel Giallo Mondadori e ormai introvabile, l’impareggiabile ispettore si getta anima e corpo in un’indagine già chiusa, di cui è venuto casualmente a conoscenza, semplicemente perché, come tante altre volte, non è riuscito a organizzarsi una vacanza. Del resto dove andare, se si è da soli? Meglio lavorare, tanto più che durante l’indagine, forse, potrà rivedere la signorina Ruth Rawlinson, quarantenne strana almeno quanto lui, probabilmente piena di guai e per nulla disposta a confidarsi.
Colin Dexter (classe 1930, ex docente di greco e latino, appassionato di musica e di cruciverba – proprio come Morse) costruisce la storia in modo inconsueto, con un inizio è divagatorio, molto più da romanzo mainstream che da poliziesco; la sua descrizione dei fedeli della parrocchia di St Frideswide, splendida chiesa gotica di Oxford North, è precisa e intrigante: il parroco Lawson, un ragioniere della fede di mezz’età, il suo amministratore, un ex militare che sopravvive tra lavoretti e puntate sui cavalli, sua moglie Brenda, bella donna insoddisfatta, l’organista vedovo, sensibile al fascino di Brenda ma anche a quello delle sue allieve, lo strano barbone che si aggira tra chiesa e sacrestia, la donna nubile che due volte la settimana si accolla la pulizia di St Frideswide… Come ogni comunità dove si svolgerà un’indagine di polizia, anche questa è percorsa da tensioni, ognuno, sotto il velo formale della rispettabilità nasconde segreti inconfessati ma fortemente sospettati da qualcun altro: forse tra l’organista e Brenda c’è una storia, forse l’amministratore sospetta di loro e forse lui stesso ha una storia con un’altra. Forse il barbone è parente del parroco, forse il parroco fa bene a sospettare che l’amministratore rubi, forse anche il figlioletto dell’organista e almeno una delle sue allieve hanno i loro segreti… Ma certo nessuno di loro merita di fare una brutta fine. Però sicuramente ci scapperà il morto, stiamo leggendo un poliziesco!
E intanto Dexter ci ha presi all’amo, ormai vogliamo conoscere la vittima, il movente, l’occasione… e soprattutto il colpevole. Perché questo è il fascino della narrativa poliziesca, ma anche perché tutta questa gente così ordinaria, pasticciona, concentrata sui suoi piccoli e grandi problemi ci somiglia abbastanza da volerne sapere di più.
L’indagine e le vicende personali di Morse si intrecciano in pagine godibili per lo strano metodo dell’ispettore, la pazienza del fedele sergente Lewis, la contesa tra Morse e la madre della piacente quarantenne; il «cattivo» è abbastanza interessante e St Frideswide è un personaggio a pieno diritto, che richiama alla mente altre chiese lette o visitate da chi legge (per me le cattedrali di Friburgo e di Ulma, tra l’altro, e la magnifica Ognissanti di Walter de la Mare. Lo scioglimento giunge, bizzarramente, a 60 pagine dalla fine, con due rilanci e il vero finale che il lettore si era augurato fin da metà del romanzo.
Lettura piacevole, con qualche pecca: la spiegazione degli omicidi è lievemente cervellotica e, senza essere né assurda né incredibile, ha un po’ il sapore di certi scioglimenti alla Agatha Cristie, dove tutto quqdra alla lettera, come in un cruciverba. Però Morse è proprio un bel tipo, di per sé e anche come «parente» di altri grnadi investigatori, Nero Wolfe, tanto per fare un nome; Non parliamo poi di Lewis, scudiero di Morse e cugino di Watson e dei vari sergenti di Barnaby.
Infine, per dare ad Agatha quanto le spetta, confesso che – se non mi ha appassionato il mitico “Dieci piccoli indiani – ho molto apprezzato Il ritratto di Elsa Greer.
Colin Dexter
Niente vacanze per l’Ispettore Morse
Sellerio, Memoria, 2012
pp. 384, € 14,00
Trad. Luisa Nera
idem edizione e-book, € 9,99
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