
Emma, Myriam, Lélia, Anne e Clare: cinque figure femminili che, di madre in figlia, attraversano più di un secolo, lasciando l’una all’altra un’eredità millenaria, non materiale ma spirituale e sociale. Secondo la legge rabbinica, infatti, l’appartenenza alla comunità ebraica viene trasmessa per discendenza matrilineare.
Il 6 gennaio 2003, Lélia Bouveris riceve una cartolina raffigurante l’Opéra Garnier e recante i nomi dei quattro familiari della madre Myriam, morti ad Auschwitz nel 1942. Dopo lo sgomento iniziale per il presunto scherzo macabro, la cartolina viene conservata in un cassetto. Quasi vent’anni dopo, la nipote di Lélia chiede alla nonna spiegazioni riguardo una frase antisemita sentita a scuola. Così comincia La cartolina, un grande e intenso memoir, che colpisce per l’essenzialità e l’asciuttezza della scrittura di Berest, che non spreca mai una parola di troppo.
“Myriam ti impone il suo silenzio anche dopo essere scomparsa. Ma non dimenticare, mamma, che i suoi silenzi sono proprio quelli che ti hanno fatta soffrire. E non solo i silenzi, anche la sensazione che ti tenesse fuori da una storia che non ti riguardava.”
Myriam ha taciuto a lungo: in principio per proteggersi, poi per il dolore profondo, intraducibile in parole. Infine, per il senso di colpa di chi è sopravvissuto. La reticenza di Myriam si è trasmessa alla figlia Lélia attraverso un’educazione al silenzio, al volgere lo sguardo da un’altra parte. Ed è soltanto cercando di sviscerare e comprendere il silenzio della nonna materna che Anne può ricostruire la storia della propria famiglia.
Il libro guarda la Storia proprio attraverso la lente della memoria familiare, che delinea i contorni e li accentua rendendoli netti, impossibili da confondere e ignorare. I Rabinovitch non sono una massa indistinta che viene portata a morire, ma sono persone diverse l’una dall’altra, ciascuna con la propria incredulità verso un destino atroce che si fa spazio nelle loro vite quasi impercettibilmente, giorno dopo giorno.
«Mamma…ci sarà pure un momento in cui non si potrà più dire “non lo sapevamo”…»
«Verso chi sei indifferente oggi? Poniti la domanda. Quali vittime che vivono nelle tende o sotto i ponti dell’autostrada o relegati lontano dalle città sono i tuoi invisibili?»

Tutta la prima parte del libro segue le peregrinazioni di Ephraim ed Emma Rabinovitch, da quando lasciano la Russia con Myriam appena nata per raggiungere la Lettonia fino alla vita in Francia e poi l’arresto dei due figli minori e la deportazione. Sono dei capitoli molto duri, che feriscono per l’atrocità raccontata. L’autrice non si dilunga in descrizioni, ma spesso basta una frase accennata, la semplicità di un dettaglio che mette in moto una serie di sensazioni (prima) e di riflessioni (subito dopo) sulle quali, durante la lettura, diventa necessario fermarsi e prendersi del tempo. È una lettura che procede con passo pesante, che pone domande per le quali, forse, non ci sono risposte, perché mettono di fronte a contraddizioni e paradossi.
Nella seconda parte del libro si tira un sospiro, il ritmo diventa più andante e la narrazione si concentra sull’enigma da risolvere: chi ha spedito la cartolina con i nomi dei familiari di Myriam? L’indagine si sviluppa non solo all’esterno, come un cammino nel tempo, ma anche all’interno della coscienza di Anne, che per comprendere in fondo la storia di Myriam deve fare i conti con i propri interrogativi irrisolti: che cosa significa l’identità ebraica in una vita laica? L’analisi storica si trasforma quindi in uno scavo psicologico, e insieme risuonano nell’attualità e nel vivere civile nell’epoca contemporanea.
È questa la grande forza de La cartolina, riuscire a parlare di un tema totalizzante come la Shoah, lasciando che altri temi, come l’immigrazione e la memoria, trovino espressione e dignità, intrecciandosi a esso senza sminuirlo o banalizzarlo.
Anne Berest, La cartolina [La carte postale], e/o 2022 [ed.or. 2021], pp. 464, € 19,00, trad. Alberto Bracci Testasecca
Idem, e-book, € 13,99

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