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    Corale alla fine del viaggio di Erik Fosnes Hansen

    • di Silvia Treves
    • Aprile 1, 2019 a 8:58 pm

    Il romanzo, scritto da Hansen a venticinque anni nel 1990, è la cronaca immaginaria degli ultimi cinque giorni vissuti dai musicisti dell’orchestra di bordo del Titanic. Decine di libri, articoli, studi, documentari e film hanno già evocato le suggestioni dell’unico viaggio del meraviglioso transatlantico: la crociera lussuosa terminata con la morte, i poveri della terza classe che – al contrario dei ricchi della prima – non si salvarono, il naufragio del sogno positivista di una tecnologia sempre più complessa e sottoposta alla volontà umana, persino il malinconico ultimo valzer suonato dall’orchestra. L’autore ci riprova con entusiasmo e generosità; l’esito è dignitoso, anche se non proprio all’altezza delle aspettative.

    Devo riconoscere che Il romanzo spinge alla lettura, costruito com’è sui ricordi dei musicisti; la vicenda scorre senza intoppi e senza che le situazioni drammatiche – pur profuse in abbondanza – la facciano scivolare nel mélo; molte pagine sono felici, a cominciare dall’incipit nitido ed efficace che conduce discretamente il lettore nella storia e l’infanzia dei musicisti è descritta con sensibilità.

    Ma la narrazione procede ingessata dai numerosi riferimenti letterari, appesantita dal desiderio di spiegare troppo, anche le sfumature che andrebbero solo suggerite. Se il libro ha una pecca è proprio quella di essere troppo consapevole, mai dimesso, obliquo, elusivo. Il passato fittizio dei musicisti è narrato per intero, dall’inizio alla fine, senza salti temporali o soluzioni di continuità. Il lettore è avvertito dai titoli del capitolo: «Storia di…», e non può evitare la frattura tra il qui e ora del viaggio e un prima che gli viene offerto senza prima aver solleticato la sua curiosità.

    Piuttosto che raccontare le vere storie dei musicisti, che ormai da tanto tempo si conoscono nei dettagli, l’autore sceglie di reinventare i suoi personaggi – qui cinque: un inglese, un tedesco, un austriaco, un russo e un italiano – assemblando frammenti di vite differenti. Le loro storie sono quindi inevitabilmente piene di riferimenti più o meno consci a cose già lette: il fallimento negli studi del direttore d’orchestra; i primi anni del pianista, enfant prodige della piccola nobiltà tedesca nel quale i genitori ripongono tutti i loro sogni di ascesa sociale; l’infelice passione amorosa di David, il più giovane del gruppo, innamorato inutilmente di una ragazza meno convenzionale di lui; la pazzia saggia del contrabbassista… tutto è un po’ deja vu. E tutto è familiare: il maestro del piccolo pianista è una via di mezzo tra Tartini e Salieri, la Vienna di David somiglia molto a quella descritta da Canetti ne La lingua salvata, lo spettacolo di marionette vista un tempo dal futuro contrabbassista evoca contemporaneamente Pierrot, i circhi lunari di Fellini e certe pagine di Chesterton. Il mare, invece, si vede e si sente poco; i personaggi di contorno sono un po’ sbiaditi; qualche descrizione sembra tratta da un vecchio sussidiario… peccato, perché altre, vivide e azzeccate, lasciano il segno e perché Hansen approfondisce anche temi universali come la responsabilità e il destino, la ragione e la fede.

    L’immaginario letterario di Hansen è in parte sovrapponibile al nostro (o almeno al mio) ma la tessitura è ancora troppo avvertibile e gli ingranaggi della sua macchina poderosa avrebbero bisogno di un po’ di lubrificante. La narrazione è onesta, a tratti ispirata, ma l’autore pare pressato da due problemi: la sovraesposizione del suo tema, già fin troppo rivisitato dai media, e la giovane età. Uno scrittore maturo, oltre ad aver assimilato gli inevitabili modelli, dovrebbe averli dimenticati; nelle sue storie sarebbe bene affiorassero solo ombre o citazioni intenzionali, possibilmente non fine a se stesse, o anche – ed è il caso dei migliori rappresentanti del genere steampunk – affettuose esplorazioni di quanto avrebbe potuto essere.

    Erik Fosnes Hansen

    In conclusione, se nella lettura cercate una sensazione di familiarità discreta, se leggete per ritrovare (e ritrovarvi), acquistate pure il romanzo di Hansen perché, al di là di alcune ingenuità stilistiche e piccole ovvietà, Corale… vi terrà compagnia. Se invece state cercando soprattutto occasioni di perdervi e di sorprendervi, questo libro non fa per voi: è un po’ troppo lineare e prevedibile e, soprattutto, è un’occasione persa per tentare di descrivere personaggi e vite assolutamente normali e prosaiche, che soltanto la sorte del Titanic – e del sogno di un secolo – illumina di significati, arricchisce di segni premonitori, innalza a una grandezza insospettata.

    Erik Fosnes Hansen, Corale alla fine del viaggio, Tropea, 2012, € 18,00, pp. 437, trad. Margherita Podestà Heir. Ed. precedente 1996, Mondadori

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    Tag: Erik Fosnes HansenistantaneeNarrativa scandinavaRecensioniTitanic

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