Nato nel 1956 in Georgia, Everett insegna scrittura creativa e letteratura alla University of Southern California. Possiede una laurea in filosofia, è stato chitarrista jazz, addestratore di cavalli e infine professore di liceo. Le sue opere hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti e sono state tradotte in molte lingue. Ha vissuto per la maggior parte del tempo nel West e spesso vi ha ambientato le sue storie. Ferito è una di queste ed esplora le tematiche della razza e del genere senza cavalcare l’indignazione o giungere a uno scioglimento buonista.
Il narratore, John Hunt, è un laconico addestratore di cavalli, proprietario di un ranch dalle parti di Highland, in Wyoming. Per quanto membro attivo della propria comunità d’adozione, John è un rancher inconsueto: è laureato in storia dell’arte, possiede qualche opera di Klee e Kandinsky e, soprattutto, è un afroamericano e come tale può guardare il suo mondo da un punto di vista diverso. Perché nel Wyoming, il meno popolato degli Stati Uniti, i bianchi sono la stragrande maggioranza. Sono bianchi i rancher che incontra nell’emporio cittadino, sono bianchi lo sceriffo e il suo vice, il medico e la ragazza della tavola calda… Qualche allevatore è nativo americano, ma non se la passa troppo bene.
John è vedovo da sei anni e rimpiange la moglie Susie, non vuole soffrire ancora ed evita la corte esplicita di Morgan, la proprietaria di un ranch vicino, anche se ne è attratto; vive con lo zio Gus, anziano e malato ma ancora in forze:
Il vecchietto zoppicava e si appoggiava soprattutto sulla gamba sinistra. Ma a settantanove anni era ancora una roccia e si vedeva dal modo in cui si muoveva: cauto ma deciso.
Gus, probabilmente il personaggio più riuscito del romanzo, è un tipo pieno di risorse con un passato difficile e si è stabilito dal nipote alla morte di Susie; i due apparentemente hanno poco in comune e forse è proprio la loro diversità a tenerli insieme, i loro battibecchi somigliano a quelli fra vecchi coniugi, insofferenti delle manie dell’altro ma certi del loro saldo legame.
Outsider e possibile bersaglio del razzismo dei vicini, ma rispettato per la sua esperienza di addestratore e la volontà di non innescare conflitti, John non nutre pregiudizi e non si fa illusioni; vuole solo starsene tranquillo con i propri animali – cavalli, un asino sbiellato e una cagna fidatissima – che palesemente ama più della maggior parte degli umani. Proprio perché non dà retta ai pregiudizi, Hunt assume il giovane Wallace Castlebury come aiutante.
Pensavo che Wallace fosse un tipo a posto: un po’ stupido, ma a posto. Non sapevo granché di lui e nemmeno me ne importava. L’avevo assunto nonostante il suo ovvio stupore nello scoprire che ero nero.
Un brutto giorno, nei dintorni della cittadina viene trovato il cadavere di un giovane gay, ucciso barbaramente (la vicenda rimanda chiramente al caso di Matthew Shepard, uno studente selvaggiamente massacrato a Laramie, Wyoming, nel 1998). Wallace viene accusato del delitto ma si proclama innocente; Hunt si mantiene defilato ma, quando il ragazzo si impicca in carcere, non se la sente di tirarsi indietro. La situazione peggiora quando il figlio gay di un vecchio conoscente di John giunge ad Highland per partecipare a una manifestazione organizzata contro l’omofobia…
Il romanzo non è un poliziesco ma uno studio d’ambiente: il clima della cittadina – che nelle prime pagine sembra una comunità di gente spiccia ma bendisposta – si precisa poco alla volta: in tempi normali il razzismo resta sottotraccia ma piccole beghe sulla proprietà di un terreno o lo sconfinamento di alcuni animali possono farlo emergere con violenza; i bianchi del posto sono in maggioranza redneck (bifolchi) e bigotti e sfogano la frustrazione di una vita dura e la paura di perdere il frutto del loro lavoro anche sugli animali, come dimostra la vicenda della piccola coyote bruciata per divertimento e salvata in ultimo da John. Nei dintorni della città si sono già verificati crimini d’odio che Hunt si è sforzato di ignorare, il precipitare degli eventi lo costringerà a fare i conti con se stesso, a interrogarsi sui propri sentimenti per la moglie e su ciò che prova veramente per Morgan e per il giovane David.
Oltre a quella di narrare un’epopea western ambientata in un luogo di confine, dove la neve e il deserto si sfiorano, Ferito ha altre ambizioni, sociali e politiche. Il mondo reale dove Everett ha collocato il suo protagonista è pieno di contraddizioni e tensioni: gli abitanti del Wyoming sono circa mezzo milione e tra loro solo il 6,5% sono ispanici e il 2,3% nativi americani. I neri come John sono soltanto lo 0,8%. L’autore, però, vuole affrontare anche temi personali e porre domande basilari: È giusto sbandierare i propri sentimenti e il proprio desiderio ai quattro venti – come fa, in modo un po’ indisponente, il fidanzato di David – anche a costo di urtare chi non è di ampie vedute, oppure è d’obbligo nasconderli come se fossero peccati? Qual è il limite tra i diritti di una maggioranza fin troppo consapevole di essere tale e quelli delle tante minoranze? E, per farla breve, quale responsabilità ha ognuno di noi verso chi gli vive accanto?
La fine del romanzo non può e non vuole essere una risposta, il lettore chiude il libro pieno di interrogativi, forse più consapevole che i possibili futuri di Hunt e della sua comunità sarebbero, purtroppo o per fortuna, simili a quelli che aspettano tutti noi.
Per quanto ricco di spunti importanti, il romanzo non è completamente riuscito: nella seconda parte il ritmo troppo veloce non garantisce ai personaggi piena libertà di espressione; se ogni narrazione è un esperimento (che cosa accadrebbe se…?) Ferito è un esperimento ben pilotato ma troncato prima del tempo: David, ingrediente fondamentale per aumentare la tensione e suscitare interrogativi etici, è un personaggio troppo autoreferenziale: potrebbe crescere pagina dopo pagina, invece rimane soltanto l’anello debole della catena. E Morgan, figura potente che riesce a sabotare dall’interno l’ostinata volontà di Hunt di restare fuori, non ha lo spazio che merita. Il finale, che giustamente non può essere la conclusione, non riesce a rilanciare la questione principale: vivi e lascia vivere è un accettabile, anzi auspicabile contratto sociale o semplicemente la soluzione più comoda fino a che il conflitto non esplode?
Con oltre venticinque tra romanzi, saggi, raccolte e tre opere di poesia, Percival Everett è uno dei più prolifici autori Usa della sua generazione. In Italia sono attualmente disponibili almeno una decina di titoli, quasi tutti pubblicati da Nutrimenti.
- Percival Everett di Virgil Russell, Nutrimenti, 2014
- Sospetto, Nutrimenti, 2013
- Il paese di Dio, Nutrimenti, 2011
- Non sono Sidney Poitier, Nutrimenti, 2010
- Deserto americano, Nutrimenti, 2009
- Ferito, Nutrimenti, 2009 – Premio Gregor von Rezzori ed. or. 2005
- La cura dell’acqua, Nutrimenti, 2008
- Cancellazione, Instar libri, 2007
- Glifo, Nutrimenti, 2007
Percival Everett, Ferito, Beat (biblioteca editori associati di tascabili) pp. 234, € 9,00 Trad. Marco Rossari
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