La nostra fede è l’anima del mondo. La sottomissione è fede e la fede verità. L’Apparato e il popolo sono TUTT’UNO, così come Yölah e Abi sono tutt’uno. A Yölah apparteniamo, ad Abi obbediamo.
Erano alcune di quelle novantanove massime chiave che imparavi a memoria fin dalla più tenera età e ripetevi per tutto il resto della vita.
Ati, il protagonista, è nato e vive in Abistan. L’Abistan occupa, in apparenza, l’intero pianeta, «la totalità del mondo», come si ripete ogni giorno e in ogni luogo, anche se si sussurra che esistano ancora dei confini, attraverso i quali tentano di infiltrarsi i miscredenti, i Makuf. L’Abistan è guidato da una teocrazia dotata di poteri assoluti, l’Apparato, non esiste alcuna separazione tra il potere religioso e quello politico, si parla un’unica lingua, l’abiling, dotata di parole di due, massimo tre sillabe, che ha sostituito tutte le lingue preesistenti, creando una forma mentis strettamente legata ai precetti religiosi. Non esiste storia, interamente sostituita dalla propaganda religiosa e non esiste geografia, dal momento che l’Abistan coincide con il mondo. E per quanto riguarda il diritto:
Se un ordine non viene rispettato, sono previste frustate, lapidazioni ed esecuzioni pubbliche ed eventuali dubbi, domande e riflessioni sono vietate. Agli uomini non resta, quindi, che “morire per vivere felici”, come recita il motto dell’esercito abistano. (da un’intervista a Sansal Boualem su Huffington post)
L’autore, Sansal Boualem – ex-funzionario statale algerino – dichiara apertamente il suo riferimento a 1984 di George Orwell:
ho preso come modello Orwell, perché lui è stato il più bravo a descrivere situazioni del genere. Sono giunto alla conclusione che quello che è successo [in Algeria] non deriva da comportamenti individuali dei singoli, ma dalla collettività: è come l’influenza, è un virus che circola nell’aria, non colpisce solo chi conduce un certo tipo di vita ma colpisce tutti. [ibidem]
Il racconto di Ati, colpito dalla tubercolosi, narra degli anni trascorsi in un sanatorio in alta montagna, vicino – si mormora – al confine esterno di Abistan, fino al giorno nel quale può ritornare alla città nella quale è nato. Qui riprende il suo lavoro anche se non ha più voglia di partecipare alle spedizioni organizzate dai Credenti Giustizieri Volontari contro gli empi, i miscredenti e i makuf, i miscredenti servi di Shaitan.
La permanenza in sanatorio ha reso tiepido il suo fervore religioso, lo ha spinto a farsi domande blasfeme, a giungere a conclusioni piene di dubbi sulla sua fede, finora vissuta da perfetto credente, senza domande né oscillazioni. I suoi interrogativi senza risposta provocano in lui ansie e desideri di conoscenza che lo spingono a frequentare luoghi sconvenienti e a conoscere personaggi assolutamente empi. In lui è profondamente entrato il desiderio di scoprire scopo, origine e funzione dell’abiling, la lingua che è stata imposta a tutti loro. E da quella domanda nascono le altre.
All’uomo non è dato sapere che cosa sia il Male e cosa sia il Bene, egli deve sapere che Yölah e Abi operano per la sua felicità.
Così recita il Gkabul, il libro sacro dell’Abistan, grottesca e allucinante parodia del Corano. E la domanda sul Bene e sul Male conduce Ati a pensare:
Ciò che la sua mente respingeva non era tanto la religione quanto l’oppressione esercitata sull’uomo dalla religione. […] [Ma] non c’è rivolta possibile in un mondo ermetico, dove non esiste alcuna via d’uscita. La vera fede consiste nell’abbandono e nella sottomissione.
Quasi a unire virtualmente 2084 con il suo antesignano, 1984, alla fine del romanzo i due testi si riuniscono simbolicamente creando un’unica modulazione di oppressione, basata sull’abbandono e sulla sottomissione.
Il mondo raccontato da Sansal Boualem è, ovviamente, il mondo teorizzato dal fanatismo musulmano, la sottomissione e la regola elevate a unica misura di vita.
Michel Houellebeq, autore di Sottomissione, discusso romanzo uscito nei giorni della strage di Bataclan ha definito il testo di Boualem «Molto peggiore del mio Sottomissione» e non è difficile dargli torto. La profonda conoscenza del mondo mussulmano dell’autore algerino rende il suo ritratto di un possibile mondo islamizzato tragicamente più efficace.
La ricerca di Ati non troverà una risposta definitiva e anche il suo mondo si rivelerà più grande e insieme più meschino di quanto lui avrebbe potuto prevedere. A rimanere e a colpire è la nostalgia per una lingua «bellissima, ricca, suggestiva», sostituita da una lingua che sottomette e annulla i desideri. Un libro da non perdere.
Sansal Boualem, 2084 La fine del mondo, Neri Pozza, Bloom 104 2016 [ed. orig. 2015], pp. 259, € 17,00, trad. dal francese di Margherita Botto
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