Anni Sessanta. In una villetta con giardino di un quartiere benestante della provincia americana vivono i Lisbon, padre docente alle scuole superiori, madre cattolica e ferocemente puritana e le loro cinque figlie, le “ragazze Lisbon”, tutte di età compresa fra i tredici e i diciassette anni, graziose e piene di una femminilità in boccio che nemmeno i vestiti a sacco confezionati dalla madre riescono a dissimulare.
Le sorelle sono molto unite, un gineceo fatto di chiacchiere e confidenze, biancheria appesa perennemente nel bagno, armadietti che straripano di tampax, cosmetici nascosti allo sguardo austero della madre, qualche sigaretta fumata di nascosto. Nonostante siano oggetto delle conversazioni e delle fantasie di tutti gli adolescenti maschi del quartiere, Le Lisbon sono delle emarginate, costrette dalle manie materne e dalla stanca e benevola indifferenza del padre – che si sente soffocare fra tutte quelle donne – a vivere in una simbiosi esclusiva.
I ragazzi percepiscono oscuramente questo legame e considerano le sorelle tutte ugualmente desiderabili, senza fare distinzioni. Eppure le differenze esistono e Cecilia, la più fragile, è la prima a gettare la spugna: dopo un primo tentativo di suicidio si uccide davvero, durante la prima e unica festa mai tenuta in casa.
Ormai ossessionati dalla realtà sfuggente delle “ragazze Lisbon”, i ragazzi tentano inutilmente di penetrare nel loro mondo e di salvarle. Nel suo diario Cecilia non racconta i motivi del suicidio ma solo i sogni, i desideri, la vita di una adolescente come tante, con in più, forse, una tendenza a dissolversi a confondersi con le sorelle…
Dopo la morte della sorella le ragazze sono ancora più unite e appartate,
Lux ridacchiava ancora come una stupida, Bonnie sgranava il rosario in fondo alla tasca della gonna di velluto, Mary indossava i tailleur che la facevano assomigliare alla moglie del Presidente, Therese girava per i corridoi con gli occhialoni protettivi: eppure rifuggivano dalla nostra presenza, da quella delle altre ragazze, del loro padre, e le vedevamo solo per caso, ferme in cortile, sotto una pioggerella minuta che mordevano la stessa focaccia guardando il cielo.
Vittime designate, già distaccate dal mondo, le razze, spiate o assisti amorevolmente da lontano dai loro ammiratori le vergine vivranno il loro dramma sfilacciato di fronte a tutto il quartiere diventando nel tempo un simbolo di purezza perduta dall’intera comunità e insieme e responsabili della cacciata dall’Eden.
Con qualche cedimento nel finale, Eugenides riesce a guidare la narrazione tra sogno e iperrealismo, nell’inafferrabile equilibrio di certi incubi: la casa pulitissima dei Lisbon, dove sempre aleggiano un sentore di pop corn stantii e il profumo inequivocabile di adolescenti che crescono.
Dal libro è stato tratto nel 1999 un film, Il giardino delle vergini suicide, girato da Sofia Coppola, con Danny De Vito, James Woods, Kirsten Dunst e Kathleen Turner.
Qui il trailer in lingua italiana
qui il film in versione integrale in italiano:
https://www.youtube.com/watch?v=pW6m40OAsbw
J. Eugenides, Le vergini suicide, Mondadori Oscar Contemporanea 2008, pp. 226, € 10,00 trad.C. Stella
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