A una conferenza il giovanissimo pittore Jack Rathbone e sua sorella Gin fanno un incontro che condizionerà la vita di entrambi. L’oratore è infatti Vera Savage, pittrice appena trentenne ma già famosa per due capolavori dell’arte moderna figurativa. Jack e Vera si conoscono, discutono accanitamente, si rivedono… e Vera accetta di abbandonare l’amante del momento e di fuggire a New York con Jack per vivere di passione e di arte.
I due non potrebbero essere più diversi: appena diciassettenne Jack è già votato a una disciplina monacale, la pittura è il fulcro della sua vita. Vera, invece, è una donna vistosa e vitalissima nella quale convivono la ragazzina entusiasta e il «bucaniere», una nomade istintiva e incapace di rispettare qualsiasi patto, un’artista geniale e inconcludente che ha già bruciato tutte le cartucce. Da New York il monaco e il bucaniere passano alla provincia, scendono a sud, sostano a Cuba per rintanarsi infine a Port Mungo, «una città sul fiume che un tempo era stata prospera, ma che adesso era finita, appassita e fumante, fra le paludi di mangrovie del golfo dell’Honduras».
L’isolamento aiuta Jack a studiare accanitamente per migliorare la propria tecnica ma non fa per Vera; annoiata, frustrata, la donna tradisce il compagno, lo abbandona per mesi senza dare notizie di sé; va e viene e quando torna riporta nella vita claustrale di Rathbone la tempesta, la passione, la rabbia. Jack non può fare a meno di lei, del suo corpo e dei suoi giudizi lucidi e taglienti sull’arte. In qualche modo nemmeno lei può fare a meno di Jack, fa due figlie con lui, ma nemmeno la maternità è nelle corde di Vera, così è Jack a prendersi cura delle bambine con efficienza spartana quando mamma non c’è… Gli anni passano, il legame tra fratello e sorella si rinsalda e quando la tragedia lo colpisce, Jack rientra finalmente all’ovile, sotto l’ala protettiva di Gin che gli si vota come una vestale.
È Gin a raccontarci tutta la vicenda, tornando a spirale sui medesimi episodi, aggiungendo ogni volta qualche particolare che ci aiuta a comprendere meglio il complesso rapporto tra Vera e Jack. O forse ci depista, sposta in maniera quasi insensibile l’ago della bussola, dicendoci ogni volta un po’ di più ma mai abbastanza… Chi sono, in realtà, Jack e Vera? Chi di loro è l’aguzzino, chi la vittima? Chi l’irresponsabile e chi la persona matura? Gin non può aiutarci, anzi, mentre ancora si affanna a raccontare, comincia a lasciar trapelare i nostri stessi dubbi…
Ambiguo e parco di indizi proprio mentre ci fornisce centinaia di dettagli, anche il nuovo romanzo di McGrath, come gli altri che lo hanno preceduto, suscita partecipazione e malessere in chi legge. A differenza di altre sue opere, l’autore si concede maggiormente al piacere dell’intreccio, della descrizione, dell’invenzione ma alla fine, come in Follia, come in Grottesco e in Spider, l’universo dei personaggi si riduce a un punto: la «casa» ampia e comoda casa di Gin e, nel finale, quella sorprendente di Vera.
Port Mungo è in un certo senso un romanzo più «verista» di altri di McGrath, meno solipsista e meno ricco di humour nero; anche se Jack e Vera vivono con una passionalità e un’aggressività che eccede la nostra esperienza quotidiana, se sembrano corteggiare il pericolo, richiamare su di sé l’attenzione del destino, la vita è troppo complessa per essere attraversata senza soffrire; non esistono certezze, soltanto verità ambigue e tutti – gli artisti sregolati o maniacali di Port Mungo, le loro figlie poco equilibrate, la sorella meno dotata o più saggia che ha rinunciato all’arte – per continuare a vivere possono accettarne soltanto alcune, altre non le vedono o non possono tollerarle. Mentono o rifiutano di vedere per resistere, per continuare a vivere giorno per giorno. Come noi.
Patrick McGrath, Port Mungo, Bompiani 2004, ed. or. 2004, pp. 297, € 16,00, trad. Alberto Cristofori
idem, ed. 2006, tascabili Bompiani, € 9,00
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