Anno 1919, la Grande guerra è finita da poco e la Turchia l’ha persa. La Grecia tenta di approfittare delle difficoltà del vicino per annettersi parte dei territori dell’Asia minore ottomana ma, dopo una rapida avanzata, l’esercito greco incontra una insospettata resistenza e subisce una pesantissima disfatta. Mentre già la maggior parte delle truppe è riuscita a imbarcarsi per la Grecia, una brigata al comando dell’anziano generale Nestor, morfinomane, distrutto dalla morte della moglie e dal senso di colpa per un’azione indegna, si perde nel deserto senza riuscire a raggiungere il mare. I contatti telegrafici con il Comando sono interrotti da settimane, il morale delle truppe è bassissimo, le provviste sempre più scarse, la disciplina si allenta, gli ufficiali sono bersagliati di piccoli furti e un «traditore» approfitta della notte per inondare l’accampamento di volantini sovversivi che inneggiano alla rivoluzione bolscevica. Con estrema difficoltà la brigata raggiunge finalmente una città, ma il contatto fra i soldati e i civili – cristiani benestanti e musulmani poverissimi – risveglierà tensioni, dubbi, rimorsi, conducendo molti a decisioni definitive.
Sospeso tra ricostruzione storica, avventura picaresca e romanzo di riflessione, percorso da echi del Deserto dei tartari e da un pizzico di vaudeville, il romanzo di Karnezis conduce il lettore per più di trecento pagine senza annoiarlo, tra episodi spassosi, momenti drammatici, autentico pathos e lucide considerazioni sulla vita. I pensieri, le poche speranze, i sogni e gli incubi dei militari che arrancano nel deserto, attraversandolo in assurde spirali che continuano a riportarli poco distanti dal punto di partenza, il telegrafo che tace, le uniformi che si coprono di polvere, i muli e i cavalli procedono sempre più lenti, gli avvoltoi che frugano nei mucchi di rifiuti che gli invasori ormai sperduti si lasciano alle spalle… «Le uniche cose di cui disponiamo in abbondanza in questo deserto sono la polvere e il tempo», dice Nestor, abbattuto dai furti e dal «tradimento». Durante le ore infinite del viaggio e le soste che non danno ristoro si rivelano le tante, piccole storie di vita di ognuno, i ricordi di una normalità che in tempo di pace sembrava insopportabilmente anonima e adesso dolorosamente simile a una irrecuperabile felicità, e nei sogni tornano le immagini dei volti familiari, delle stanze di un tempo, ora abitate dagli altri, quelli che non sono partiti.
Agli ufficiali disillusi, ai soldati provati da privazioni e marce, dal caldo e dalle mosche, amareggiati dall’inganno della grande impresa bellica, fa da contrappunto la gente adattabile della città, con le sue gerarchie e le sue miserie, il sindaco trafficone, il maestro innamorato infelice di Violetta, un’autentica «traviata» di lusso giunta da Parigi, fornita di maggior buon senso della sua omonima e di un’accattivante sensibilità.
Il labirinto è un contributo – anche più prezioso perché non troppo legato all’attualità – alla crudele ambiguità delle guerre: se le guerre di liberazione sono semplici da comprendere e chiunque ne intuisce il senso e può trovarvi un ruolo, le guerre di conquista richiedono segretezza e menzogne; sono guerre, come scoprono i personaggi di Karnezis, nelle quali i soldati perdono il senso e il significato del loro agire per scoprire che la «Lotta contro il Male» era una fregatura e che la «difesa della patria» è diventata vessazione e ingiustizia.
Sono guerre che lasciano alle persone oneste soltanto la scelta tra disertare o perdere la vita e l’anima per la causa sbagliata, a maggior gloria degli imperi e delle multinazionali.
Panos Karneris, Il labirinto
Guanda Narratori della Fenice 2004, pp. 342, € 15,00 (usato in Amazon.it € 9,50), trad. F. Oddera
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