Bel titolo per un romanzo che mi ha lasciato francamente perplessa. La ricetta è simile a quella di Parti in fretta e non tornare: Adamsberg, commissario parigino dell’Anticrimine, affascinante quasi cinquantenne intuitivo e pieno di contraddizioni, alle prese con un’indagine difficile che s’intreccia con la sua vita privata, sullo sfondo di un passato che getta ombre oscure.
Questa volta Adamsberg è sulle tracce di un assassino complesso e spietato che lo ossessiona sin dall’infanzia; il passato riguarda direttamente la sua famiglia, tanto da gettare su di lui il sospetto di parzialità e di indebito coinvolgimento emotivo. Pochi giorni prima della partenza del commissario e dei suo più stretti collaboratori per uno stage di aggiornamento in Québec, Adamsberg viene casualmente a conoscenza dell’omicidio di una donna, compiuto con modalità che egli attribuisce a un presunto assassino seriale che in passato ha colpito nel suo villaggio natale, facendone ricadere la colpa sul fratello. Adamsberg, che ha seguìto per anni la lunga serie di omicidi simili e che dava il killer per morto e sepolto, è pronto a ricominciare la caccia, ma nessuno, alla polizia, è disponibile a credere a una resurrezione…
Poi, un’altra vittima, legata ad Adamsberg da una breve relazione, viene trovata morta e la spiegazione più semplice è la colpevolezza del commissario. Braccato da due polizie, la canadese e la francese, Adamsberg, aiutato dal solito razionalissimo e coltissimo Danglard e da una collaboratrice fidata dovrà affrontare, prima di chi intende incastrarlo, i fantasmi della giovinezza. A dargli una mano con saggezza e pragmatismo, ancora una volta la l’anziana Clémentine Courbet.
Promettente ma complicato ai limiti della credibilità, letteralmente zeppo di personaggi e di divagazioni personali, il romanzo gira in tondo, mettendo in campo un altro piccolo demiurgo dopo lo storico esperto di peste del volume precedente, ma Josette, fragile vecchietta in scarpe da tennis amica di Clementine che si rivela un’abilissima hacker è davvero al di là del buonismo.
La miscela di indagine pubblica più storia personale più spunto «storico», vincente di Parti in fretta e non tornare, qui ha un eccessivo sapore di vicenda privata per essere un romanzo di genere e si limita a un minuzioso e prolisso sismogramma emotivo per un romanzo mainstream ambizioso. Come e più che nel romanzo precedente il vero interesse della vicenda sta nei contorni: là la storia poco conosciuta dell’ultima visita di Peste in Europa, qui l’interessante deriva linguistica avvenuta in Québec dove il francese è scivolato lontanissimo dalla madrelingua, costringendo la traduttrice a un notevolmente riuscito funambolismo verbale.
Da leggere solo se affezionati al commissario o in un pomeriggio di reclusione a casa per influenza.
Fred Vargas, Sotto i venti di Nettuno
Einaudi Super ET, 2012, ed. Or. 2004, pp. 448, € 12,00, Trad. Yasmina Melaouah
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