Ormai affiancati, e spesso tallonati, dai notiziari e dalla stampa online, i quotidiani italiani si sforzano di guadagnarsi le preferenze dei lettori offrendo manuali, saggi, fumetti, film. Tra i tanti si è distinto nei mesi estivi Il Sole 24 ore per scelte non banali come la serie di pellicole in bianco e nero Comicamente, antologia della risata – che offre, accanto a film spesso passati in TV come quelli di Chaplin e di Laurel & Hardy, anche nomi come Buster Keaton, Harold Lloyd, Harry Langdon – e per l’iniziativa I libri della domenica, racconti d’autore, una scelta di buoni romanzi brevi e racconti ampia e variegata. Come questo Il commissario Pepe di Ugo Facco De Lagarda, un autore ingiustamente dimenticato, pubblicato per la prima volta da Neri Pozza nel 1965.
Gennaro Pepe, commissario facente funzione di questore (ma, purtroppo per lui, mai promosso al grado e al relativo stipendio) in una imprecisata città dell’Italia settentrionale, lombarda o forse veneta, è ormai quasi alla fine della carriera. La città che gli è stata affidata da un questore cagionevole di salute che, di fatto se non ufficialmente, si è ritirato con il beneplacito di tutti i pezzi grossi locali, è una città tranquilla e poco incline alla violenza, fornita di gagliardi anticorpi contro le tensioni sociali e le derive politiche, perfino austera. La regola seguita dal commissario durante il suo lavoro è quella di salvaguardare l’equilibrio cittadino: meglio agire poco, osservare molto e dare agli scossoni il tempo di acquietarsi; le lettere anonime non vanno prese sul serio, le “voci” di solito sono esagerate, e c’è sempre tempo per agire. Questa condotta attendista ma non irresponsabile ha sempre dato buoni risultati, anche nei pochissimi casi in cui la forza pubblica ha dovuto davvero intervenire. Pepe, ormai sulla sessantina, è uomo posato e di cultura, comprensivo, forgiato da antichi dolori. Nonostante i buoni rapporti con colleghi e concittadini e il rispetto che si è guadagnato, Gennaro ha una vita privata molto discreta, due figlie con famiglia dalle quali si tiene a debita distanza e una relazione affettuosa e abbastanza appagante con una insegnante più giovane di lui di una quindicina d’anni. Matilde è una donna tranquilla, pudica, affettuosa e gli offre ore piacevoli e venate di abitudine, che garantiscono serenità e pochissime sorprese. Alla quotidianità del commissario e alla casa pensa con grande efficienza la signora Uliana, una quarantenne altrettanto discreta. Tutto procede bene, cioè senza che apparentemente accada nulla di rimarchevole, fino a quando due fidati collaboratori portano a Pepe un corposo dossier di trasgressioni fin troppo allegre compiute con palese mancanza di discrezione nei quartieri «bene» della città. Considerati i personaggi coinvolti – professori, politici, funzionari, commercianti, nobildonne e spesso le loro figlie – Pepe si impone una pausa di riflessione e di raccolta attenta di ulteriori conferme. A sorpresa scoprirà un’impensabile propensione dei concittadini, anche i più insospettabili, per l’applicazione di ogni sorta di intemperanze erotiche: prostituzione minorile, orge, amori segreti tra professionisti e giovani calciatori, relazioni tra collegiali e attempati docenti… La cauta indagine del commissario solleva tuttavia la polvere nascosta da anni sotto i tappeti e i lettori scoprono insieme a lui quanto sia difficile tracciare una linea di demarcazione tra le scelte private di adulti consenzienti e i maneggi che ledono la libertà e la dignità altrui.
L’autore presenta, con una lingua nitida e ricca una galleria di personaggi soprattutto femminili, inseriti a vari livelli della comunità cittadina, con un particolare interesse per donne che, partendo dai gradini più bassi riescono ad arrampicarsi continuando, con occhio attento e disincantato a vedere il mondo dal basso:
La signora Giulia ha raggiunto, mediante i suoi diversi traffici e due vedovanze,una certa indipendenza. Ha umilmente strisciato, nei primi anni, leccando la terra e le mani del prossimo, poi, belloccia e forte … ha appreso il sistema di vivere nell’ombra e al servizio dei “cani grossi” di cui non ha tardato a conoscere le debolezze.
Giulia, infatti, affezionata al marito malato ma spinta dal bisogno e dal desiderio di salvaguardare almeno l’apparenza del decoro famigliare, ha cominciato, con l’assistenza di una zia già esperta, prima a esercitare, poi a permettere ad altre donne nella sua medesima situazione, di esercitare il “mestiere”, con molta discrezione; sa tutto di tutti e non apre bocca su nessuno e mostra un candore spavaldo a amorale che rende difficile biasimarla senza attenuanti. Quando il commissario si accomiata con una carezza a quella che «non sembra nemmeno la guancia di una puttana e mezzana a riposo» il lettore ha ormai compreso che lei, come altre donne a loro modo sorprendenti di questo e altri romanzi dell’autore (come La grande Olga), non sono semplici pedine degli uomini ma complici, avversarie, testimoni distaccate ed esperte utilizzatrici della loro fragilità. Accanto a loro un gruppetto di adolescenti un po’ avide, un po’ esibizioniste ansiose di trasgredire e – pur appartenendo a famiglie per bene e talvolta di notevoli mezzi – guadagnare soldi in fretta… storie che ancora oggi leggiamo sui giornali e che offrono un po’ di visibilità ai soliti talk show di mezza tacca. Il moralismo ipocrita, il perbenismo e l’ostracismo sociale, che colpisce soltanto chi ha fatto l’errore di mostrarsi per quella che è, come la vedova Datti, sono l’ovvia vernice di questa città di provincia, ricca e cortese, dove tutti si salutano sulla piazza principale senza nessun imbarazzo per essersi incontrati in ben altre circostanze. Memorabile suor Giovanna, vice direttrice del collegio delle suore Pazientine.
L’autore (1896 – 1982), partigiano, direttore di banca, poeta e studioso di storia ed economia.
Il romanzo è stato trasposto in film da Ettore Scola nel 1969, con un grande Ugo Tognazzi nei panni del Commissario Pepe e Silvia Dioniso in quelli della fidanzata Matilde.
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