Che genere di gialli preferite? Quello classico, deduttivo,, che gli anglosassoni definiscono whodunit? (A. Christie), l’hard boiled (Hammet, Chandler?), il poliziesco procedurale, cioè quello in cui le indagini sono svolte da una squadra della polizia (Simenon, Ed Mc Bain) o il noir (Woolrich, Mc Cain, Izzo) o magari il thriller, il giallo d’azione con tutte le sue varianti: il legal thriller, il medical thriller o quello scientifico, alla Crichton. Io sono onnivora, con una preferenza verso sottogeneri abbastanza differenti come il giallo psicologico (Patricia Highsmith), il noir e il giallo storico di epoca novecentesca (Pastor, i primi di Lucarelli). Però li voglio ben scritti, e “misurati”.
Non saprei bene come etichettare il secondo romanzo, ma certo il primo, benché a suo modo procedurale pende fortemente verso il whodunit. Di Dexter avevo già letto e apprezzato un paio di romanzi e pensavo di andar sul sicuro e anche sul secondo, perché di Yrsa Sigurdardóttir avevo gustato un testo precedente, sia pure con qualche riserva.
Purtroppo mi hanno deluso entrambi, a causa dell’eccessiva complicazione della trama e della scarsa misura.
Il mistero del terzo miglio è la sesta indagine della serie dell’ispettore Morse, un detective brillante e poco ortodosso, al quale Colin Dexter ha dato il medesimo nome di un collega docente universitario, che egli descrive così: “l’uomo più intelligente che abbia mai conosciuto […] un uomo meraviglioso e un mio grande amico”. Quanto all’ispettore, Dexter ce lo presenta come “un uomo molto sensibile […] straordinariamente amante del Glenfiddich, un single malt scotch, e di ogni vera ale […] Ciò che volevo fare era creare qualcuno che fosse straordinariamente intelligente”. E Morse lo è, così com’è ostinato, ironico, negligente sulla propria salute e un po’ tirannico con il proprio assistente, il pazientissimo sergente Lewis che sopporta le sue intemperanze soltanto perché si esalta nel vederlo braccare i colpevoli. Dexter è un vero giallista di genere whodunit e scrive mistery che somigliano a cruciverba complessi e colti (tra l’altro è un famoso campione di enigmistica) ma avvincenti, nei quali rivela aspetti interessanti della società anglosassone, in questo caso dell’ambiente universitario.
Per quasi due terzi Il mistero del terzo miglio procede bene, la storia si dispiega nel passato e nel presente, chiedendo una lettura attenta ma ricompensando il lettore con descrizioni abili dei personaggi e un certo humour. Un docente di Oxford un tempo conosciuto da Morse sparisce e pochi giorni dopo un corpo senza testa e senza arti viene rinvenuto in un fiume con indosso il medesimo completo dell’uomo scomparso. C’è un cadavere, il suicidio sembra escluso e forse il corpo ha un’identità, insomma il caso affidato a Morse e Lewis si preannuncia singolare ma non irrisolvibile. Invece, non appena Morse e Lewis cominciano a scavare, la storia diventa intricata: nulla è ciò che sembra, compaiono anagrammi e una lettera misteriosa che pare un gioco enigmistico, i personaggi non sono ciò sembrano. “Perfetto – penserebbe qualunque appassionato – indizi fasulli, riconoscimenti impossibili, una storia che pare continuamente riavvolgersi su se stessa…”
Est modus in rebus, diceva Orazio… Purtroppo in questo romanzo Dexter non ha mostrato molta misura: in 317 pagine affastella un numero crescente di cadaveri, indiziati, coincidenze e motivazioni contorte veramente esagerato, tanto da costringere il lettore a tornare più volte sulle pagine precedenti per tentare di capire ragioni e sequenza delle azioni dei vari personaggi. Leggo gialli da decenni, eppure a lettura conclusa mi sono sentita frastornata, dubbiosa e un po’ scema per non aver capito completamente in quale modo Morse abbia districato la matassa. E anche un po’ irritata per aver assistito a quello che mi è parso soprattutto un gioco di prestigio.
Tengo a precisare che sono anche appassionata di cruciverba, ma mi piacerebbe tenere separata l’enigmistica dalla letteratura, sia pure di genere.
Indagini vulcaniche
La notte del 22 gennaio 1973 nell’isola di Heimaey il vulcano Eldfell rientra in attività improvvisamente, dopo cinquemila anni. La popolazione viene evacuata in tempo e si stabilisce temporaneamente in altre zone del Paese; molti residenti tornano in seguito al villaggio e fra loro la famiglia di Markus Magnússon proprietaria di una compagnia ittica che negli anni successivi all’eruzione è diventata una delle più potenti dell’arcipelago Vestmannaeyjar.
Più di trent’anni dopo, la municipalità delle isole vara un progetto archeologico – chiamato significativamente “Pompei del Nord” – che prevede il recupero di alcune abitazioni dell’isola e, con il permesso dei proprietari di un tempo, la raccolta degli oggetti quotidiani sepolti sotto la cenere e la lava. La casa di Markus viene prescelta per il progetto ma il proprietario pare poco soddisfatto e ottiene di poter recuperar, in presenza del proprio avvocato, alcuni oggetti di famiglia. Accompagnando il proprio assistito l’avvocato Thóra Gudmundsdóttir, protagonista di altri romanzi dell’autrice, ha la spiacevole sorpresa di trovare tre cadaveri e una testa nascosti nel seminterrato. Dall’imbarazzante ritrovamento prende il via un’indagine che si allarga a macchia d’olio, coinvolgendo Alda, la ragazzina di cui il giovanissimo Markus era innamorato al tempo dell’eruzione, la famiglia di lei e i suoi datori di lavoro, la famiglia di Markus (fratello, cognata, figlio, madre sussiegosa e padre malato di Alzeimer), la polizia locale e alcuni agenti della capitale.
Singolarmente complicata, la vicenda procede su più fronti: A) quello riguardante il passato della comunità di pescatori, coinvolta ai tempi dell’eruzione in un lungo contenzioso con il Regno Unito sulla pesca del merluzzo, B) quello della capitale, dove si è stabilita molti anni prima Alda (ben presto cadavere) sul cui conto emergono particolari misteriosi, C) quello, sempre nella capitale, riguardante Tinna, una adolescente gravemente anoressica e suo padre che, per più di cento pagine il lettore non riesce proprio a riportare ai filoni principali.
Oltre a questa affollatissima galleria di personaggi, l’autrice ne infila un buon numero che appartengono alla vita privata di Thora, madre di una poco significativa ragazzina e di uno sventatissimo adolescente, da poco padre irresponsabile di un bimbo che appioppa senza problemi alla neo-nonna. Senza tali inciampi la vita dell’avvocato, divorziata piacente con nuova love story in corso, sarebbe più semplice. E anche quella dei lettori, in un certo senso. Ecco, non vorrei sembrare un’ingrata, mi piacciono i romanzi ricchi e scritti in maniera accurata e amo gli autori generosi, che curano i dettagli e caratterizzano i personaggi, anche quelli collaterali. Però occorre misura, e in Cenere Sigurdardóttir esagera: riempiendo le pagine di nomi dalla grafia difficile, senza connotarli a sufficienza per permettere al lettore di appiccicare ai nomi una “fisionomia”. Se almeno autrice o editore originale avessero pensato a inserire un elenco… Ho terminato Cenere con la sensazione di sbirciato l’intero elenco anagrafico della popolazione di Heimaey (è poco popolata, circa 4500 persone…). La più simpatica è Bella, l’assistente di Thora, che, dal punto di vista un po’ acido dell’avvocato, pare “sempre sul punto di entrare in scena per recitare una commedia (?) dedicata alla banda Baader-Meinhoff” ma, a parere degli occasionali accompagnatori di Bella, è una giovane donna dalla forme generose, disinibita, schietta e intraprendente sul lavoro.
Lo scenario naturale descritto da Sigurdardóttir è bellissimo, proprio come in Mi ricordo di te, l’altro suo romanzo che ho letto e recensito tempo fa. L’eruzione dalla quale prende il via l’intera vicenda è realmente accaduta e, da docente di scienze quale sono, mi ha incuriosito abbastanza da spingermi a documentarmi e a dedicarle un po’ di spazio sul mio blog. Allo stesso modo ho fatto qualche ricerca sulla già citata guerra del merluzzo tra Islanda e Regno Unito (e questo è sicuramente un pregio del libro). Purtroppo, nonostante i buoni ingredienti di partenza e ben 378 pagine, Cenere si complica a dismisura, e i problemi personali di Thora diventano sempre più noiosi. L’agnizione finale, preceduta da un paio di finte, giunge contemporaneamente imprevista (ma come? Tutto qui?) e telefonata, e pare più frutto dell’incertezza dell’autrice su quale personaggio incastrare, che di una vera necessità dell’intreccio. Deludente, ecco.
Thora è la protagonista di altri romanzi di Sigurdardóttir, ad esempio Last Rituals del 2007, ma non ho intenzione di incontrarla tanto presto. Quanto all’autrice, va bene, posso riprovarci, sperando in qualcosa di più simile a Mi ricordo di te, che comunque era già sufficientemente macchinoso.
Qui http://www.strandmag.com/htm/colin_dexter.htm troverete una gustosa intervista a Colin Dexter, dalla quale ho tratto le frasi su Morse.
Da Il mistero del terzo miglio (ed. originale 19839, come da altri romanzi di Dexter è stato tratto un episodio della serie TV dedicata all’ispettore Morse:
The Last Enemy (11 Jan. 1989)
Colin Dexte, Il mistero del terzo miglio
Sellerio, la memoria, 2014, p. 307, € 14,00, trad. L. Nera
Yrsa Sigurdardóttir, Cenere
Il Saggiatore, 2014, p. 378, € 19,00, Trad. S. Cosimini
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