Il signor Lehmann, protagonista dell’omonimo romanzo di Sven Regener (Feltrinelli, ed. or. 2001, trad. Margherita Belardetti ed Elena Sinisi) è un barista di un locale del Kreuzberg nella Berlino Ovest del 1989. È un trentenne tranquillo e affidabile, con alcune fissazioni – detesta i luoghi troppo affollati e le mode temporanee –, e alcune antipatie – non ama i cani e gli schizoidi, ovvero la gente che cerca grane.
In compenso ama molto il dialogo e la discussione, è un vero talento retorico e apprezza sopra ogni cosa una conversazione intelligente. In più possiede una sensibilità non comune, caratteristica che lo rende un barista ideale. Il signor Lehmann al Kreuzberg ha amici che sperano di sfondare come artisti, primo tra tutti il-suo-miglior-amico-Karl, e ha un fratello che espone sculture a New York, ma questi propositi di riscatto artistico e intellettuale non lo interessano:
Il punto è: perché una cosa ha valore e un’altra no? Se io ora dicessi, in realtà sono un artista, allora qualcuno direbbe: “Ah, ecco, mi sembrava, certo”. Ma che c’è di male a stare dietro a un bancone, e a farlo volentieri, per giunta? […] Tu chiederesti mai a un artista perché non fa qualcos’altro? Come, per esempio, lavorare in un locale?
Il signor Lehmann è un single, né felice né infelice di esserlo. Ha avuto delle storie brevi ma desidera innamorarsi. E gli capita di innamorarsi della cuoca del ristorante dove lavora il suo miglior amico Karl, sedotto dall’arte dialettica di lei.
Ma lei sembra non troppo interessata e Karl si dà da fare per favorire il loro idillio, combinando serate involontariamente avventurose e organizzando incontri dagli esiti imprevisti.
Poi gli sforzi di Karl sembrano avere successo. Il signor Lehmann e la formosa cuoca del ristorante Il Vecchio Mercato finiscono una serata nel letto di lei e il rapporto sembra finalmente avviato.
Ma cominciano qui le sventure del signor Lehmann. Vanno a trovarlo i genitori che vivono a Brema e che non vede da anni e ai quali ha raccontato di essere il gestore del locale nel quale lavora, il suo miglior amico Karl, sotto pressione per la sua imminente personale di scultura, comincia a dare i numeri, un incarico affibbiatogli dai genitori gli fa avere grane con le autorità della DDR, l’amata cuoca lo tradisce e il titolare del locale dove lavora si fa prendere da attacchi di sconforto.
Ma il signor Lehmann non è uno che si smonti facilmente. Rimuginando, brontolando, litigando e discutendo riuscirà a uscire dal suo momento nero. La caduta del Muro di Berlino lo troverà nuovamente in pista, come sempre poco interessato ai grandi eventi di massa e diffidente verso qualsiasi forma di retorica.
Difficile per il lettore non simpatizzare con il signor Lehmann, uomo pratico e solido in un mondo che fa un uso improprio e vuoto delle parole. Difficile non partecipare alla sua antipatia per i centri commerciali, le pose artistiche o alternative, le ansie di successo o le piccole ipocrisie. Il signor Lehmann detesta i cani in un paese dove l’amore per i cani è considerata virtù nazionale, vive al Kreuzberg ma non vuole fare l’artista, non si preoccupa affatto di apparire interessante né di stupire o impressionare. È brontolone ma disponibile, diffidente ma pragmatico. Un antieroe pignolo in un mondo di pressapochisti ostinati. Impermeabile ai feticci – successo, denaro, trasgressione, genialità – il signor Lehmann ha il compito di renderli ridicoli, demolendoli con impegno quotidiano.
Una lettura salutare, divertente senza superficialità, stesa con uno stile originale – ottimamente reso dal lavoro delle due traduttrici – attentamente quotidiano senza forzature, autocompiacimenti o strizzate d’occhio al lettore. Da non perdere.
Sven Regener, Il signor Lehmann
Feltrinelli 2003, Canguri, pp. 213, € 15,00, trad. M. Belardetti, E. Sinisi
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