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    Il cielo di Stagno del tenente Bora

    • di Silvia Treves
    • Ottobre 21, 2013 a 6:49 pm

    cielo di stagno
    Il cielo di stagno è il terzo episodio in ordine cronologico della serie dedicata dall’autrice Ben Pastor a Martin Bora, giovane ufficiale tedesco della Wehrmacht, nonché collaboratore dei servizi segreti (Abwehr). Troverete qui la recensione dei primi due romanzi. Questo romanzo costituisce un nuovo giro di vite dell’intera vicenda del giovane junker; la storia, questa volta, è ambientata in Ucraina nel 1943. Bora, ormai maggiore, è appena tornato da Stalingrado, e ha l’incarico di par “parlare” il generale dell’Armata Rossa Platonov, un prigioniero al corrente di importanti segreti militari. Mentre Platonov dà a Bora filo da torcere, un altro generale sovietico, insospettabile eroe della Rivoluzione, decide improvvisamente di tradire e, per provare la sua “buona” fede consegna alla Wehrmacht un nuovissimo prototipo di carro armato sovietico. Tra Bora e il generale Tibyetsky, detto Khan, si instaura da subito un complesso rapporto fatto di mezze parole, allusioni, reminiscenze comuni non dichiarate. Purtroppo, uno di seguito all’altro, i due generali muoiono: Platonov suicida e Khan inspiegabilmente assassinato, subito dopo essere stato preso in custodia da un capitano delle SS. Il destino dei due generali e le indagini si intrecciano con una serie di morti winterschlactmisteriose avvenute in una foresta vicina, che i contadini della zona ritengono maledetta… Anche questa volta Bora riuscirà, ma a caro prezzo, a sbrogliare la matassa. Accurato come il solito e abbastanza inconsueto da riuscire a rivelare atmosfere e sfumature che il passo e la lente di ingrandimento della Grande Storia non hanno modo di inquadrare, Il cielo di stagno ha punti di forza differenti dai due romanzi precedenti. Se Il signore delle cento ossa metteva a fuoco il complesso rapporto – politico ma soprattutto economico – tra il Terzo Reich e i suoi alleati, l’Impero giapponese e, l’Italia fascista, se Lumen dipingeva da una parte i rapporti tra il nazismo e le gerarchie religiose non soltanto cattoliche, dall’altra la terribile convivenza tra i polacchi invasi e le truppe d’occupazione tedesche, Il cielo di stagno è un romanzo sul potere e sulla corruzione che si porta dietro fotografa da una parte le lotte intestine tra l’Abwehr della Wermacht e la Gestapo, la disapprovazione venata di disprezzo e di paura del primo e l’arroganza non di rado stolida della seconda. Il tradimento e la morte di Khan hanno radici profonde e lontane, partono dagli anni vittoriosi della rivoluzione bolscevica, un rivolgimento che rimescola le carte e le vite, permettendo a pochi di accumulare ricchezze e conoscere segreti, segnandoli e rendendoli troppo scomodi per vivere…

    Pastor, come nei due romanzi precedenti, dilata il tempo della narrazione, consentendo a Bora di assorbire le aure dei luoghi e delle persone che incontra, di ricordare storie di famiglia, di ripensare alla sua difficile storia d’amore con Dicta, di incontrare per l’ultima volta il fratello Peter. Come personaggio letterario, Bora è un predestinato. Di lì a poco, dice l’autrice avrebbe scoperto «quanto davvero la guerra lasciasse il segno». La guerra ci priva di coloro che amiamo, ma Bora va scoprendo soprattutto che ogni genere di potere corrompe, che gli ideali in cui crede sono traditi in primis da coloro che se ne riempiono la bocca e che talvolta l’unico modo per difenderli è tradirli. Il tema non è nuovo, ma non perderà mai la propria forza, e anche questa volta, trattato con abilità cattura i lettori. Tuttavia, a libro chiuso, resta qualche perplessità: il personaggio del vero vilain, fin dall’inizio ben delineato e accattivante, forse meritava un po più spazio per i propri moventi, la storia d’amore con Dicta non evolve perché il personaggio – sempre ricordato e mai messo direttamente in scena, comincia a diventare un tormentone. Larissa, antica amante di Khan Tibyetsky, è più maschera che vero personaggio e in ultimo acquisisce una coloritura un po’ stucchevole. Immagino di pretendere l’impossibile: una serie letteraria che mantenga tutte le promesse e resti sorprendente e profonda senza mai scivolare in quel buon artigianato professionale che invece tanto va apprezzato in narrativa. Probabilmente ho solo bisogno di un po’ di vacanza da Bora, per arrivare al prossimo appuntamento con rinnovate aspettative.

    Ben Pastor, Il cielo di stagno

    Sellerio La memoria 918, 2013, pp. 478, € 15,00,  trad. Luigi Sanvito

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