L’ultimo lappone può sembrare uno dei tanti polizieschi (spesso di buona qualità) che si svolgono in Scandinavia ma è un romanzo peculiare sia per l’ambientazione, sia per i personaggi, sia per la vicenda – che ha radici in un passato lontano – sia l’ampio respiro dei temi che affronta.
La vicenda principale si svolge nella tundra artica al”estremo nord della Norvegia, nei dintorni di Kautokeino, ed è racchiusa in pochi giorni astronomicamente fondamentali per gli abitanti della piccola città. Ogni 11 gennaio, dopo quaranta giorni consecutivi di buio, alle 11.14 il sole riemerge dalla notte e per 27 minuti restituisce la propria ombra a ogni abitante della cittadina. Ma questa volta, proprio prima che cominci il nuovo giorno, mentre la lunghissima notte polare sta per congedarsi, viene compiuto un crimine inaspettato: il furto di un antico e prezioso tamburo costruito secoli prima dai Sami (noi profani li chiamiamo Lapponi) per guidare i loro sciamani nell’Oltremondo. L’indagine viene affidata contemporaneamente alla polizia norvegese e alla polizia delle renne, un ente internazionale nato con il preciso incarico di regolare i rapporti fra gli allevatori di renne sami e il resto della popolazione. E qui il romanzo di Truc rivela la propria particolarità: la popolazione di Kautokeino è divisa da contrasti di lunga data fra la comunità Sami che si dedica soprattutto all’allevamento delle renne, i proprietari terrieri norvegesi, nazionalisti e interessati ad assecondare gli interessi delle grandi compagnie minerarie e i cristiani Laestadiani, di fede luterana e fortemente conservatori. Alle rivalità locali si aggiungono le pressioni dei politici della capitale, ansiosi di dimostrare alle Nazioni Unite che in Norvegia i Sami non vengono discriminati.
Le tre comunità si rimpallano la responsabilità del furto del tamburo: i laestadiani fondamentalisti vengono sospettati in quanto rappresentanti attuali del luteranesimo che in passato perseguitò i Sami animisti distruggendo i loro oggetti di culto; gli indipendentisti sami perché avrebbero tutto l’interesse ad attirare l’attenzione sulla loro causa e i nazionalisti perché interessati a eliminare una testimonianza dell’antica cultura autoctona.
Le indagini – compiute da due poliziotti delle renne: il veterano sami Klemet Nango e la recluta Nina Nansen, appena giunta dalla Svezia – proseguono nel buio inverno artico, mentre ogni giorno porta con sé un’altra manciata di minuti di luce, fino a raggiungere cinque ore di sole il 28 gennaio, giorno conclusivo. L’espediente narrativo è efficace e suggestivo e, pagina dopo pagina, ricorda ai lettori che i Sami hanno da secoli imparato a convivere con la gelida ‘oscurità del grande Nord.
Klemet e Nina, persone differenti che cercano di comprendersi, si convincono che il furto del tamburo e la morte di un povero allevatore di renne siano legati. Durante l’indagine il loro raggio d’azione si allargherà sempre più, coinvolgendo personaggi complessi e memorabili delle varie comunità:
Nils Ante, lo zio poeta e musicista di Klemet, famoso esecutore di joyk che «con i suoi strazianti canti gutturali […] raccontava le meraviglie e i misteri dell’universo»;
Berit Kutsi, una sami di mezza età, allevata nel culto laestadiano che continua a influenzare la sua vita col peso dei rigidi precetti religiosi;
Karl Olsen, prototipo del grande proprietario terriero rampante, al centro di ogni genere di affari poco puliti e capace di manovrare le autorità politiche del posto;
Aslak Gaupsara, la personificazione del pastore sami di un tempo, che ha scelto di vivere come gli antenati e conosce perfettamente la tundra e i bisogni delle renne;
André Racagnal, un geologo francese ambiguo e privo di scrupoli, con una vera fissazione per le ragazzine e il dono di interpretare antiche carte geologiche e di leggere il territorio della tundra come un libro aperto;
Eva Nilsdotter, direttrice dell’Istituto nordico di geologia, abilissima nel suo lavoro, che spiega a Nina com’è arrivata in cima: «non sono andata a letto con un pezzo grosso, carina. Ma voglio rivelarti un segreto: ero la migliore».
Per trovare ladro e assassino, Klemet e Nina dovranno rispondere ad alcune domande cruciali: perché il famoso tamburo è sparito nel 1939, durante la spedizione in Lapponia di un famoso antropologo francese? Perché, dopo essere fortunosamente ricomparso, è diventato così prezioso da dover essere trafugato da un museo? Che cosa significano i complessi simboli sami che ornano il tamburo? Che cosa cerca veramente Racagnal?
Come i romanzi migliori della narrativa poliziesca, L’ultimo lappone guida il lettore in un mondo visto alternativamente dal basso, con il punto di vista degli emarginati, e dall’alto, con lo sguardo globale e crudamente pragmatico delle potenti multinazionali, mette in luce vizi e virtù umane, ignoranza, avidità, grandezza d’animo e miserie varie, ma soprattutto fornisce a chi legge qualche tassello in più sul quadro sempre più complesso dell’economia globale e su generi di razzismo storicamente meno noti ma non per questo di portata minore.
Nonostante qualche lungaggine e qualche caduta di tensione, L’ultimo lappone vale davvero una lettura attenta; si colloca più che onorevolmente a fianco di altri testi che ho letto e recensito sulla lunga notte polare e mi ha fatto conoscere un popolo del quale sapevo solo poche banalità inesatte.
Ho fatto un po’ di ricerche in rete sull’argomento: società e religione sami, l’esperienza della trance, cristianizzazione forzata dei Sami, rapporto tra il popolo sami e i paesi scandinavi. Se interessati, potete trovarne il risultato e la mia traduzione di una intervista in francese all’autore nel mio blog.
Olivier Truc, L’ultimo lappone
Marsilio farfalle, I gialli, 2013, pp. 446, € 18,00, trad. Raffaella Fontana
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