La Seconda guerra mondiale è al suo inizio e sta per coinvolgere l’intera Europa. Viaggio nella paura, ottimo romanzo di Eric Ambler (Londra 1909 – 1998) pubblicato nel 1940, si svolge fra gli ultimi giorni di dicembre 1939 e i primi di gennaio 1940, in gran parte a bordo di un piccolo mercantile italiano partito da Istanbul e diretto a Genova. Il protagonista è un inglese, Mr Graham, un uomo tranquillo, poco oltre la trentina, soddisfatto della propria vita e ben sposato con una sola particolarità, un lavoro «interessante»: ingegnere esperto di balistica, specializzato in artiglieria navale. Mr Graham, che ama il proprio lavoro, ha appena terminato una missione che lo ha trattenuto a lungo in Turchia, per modernizzare le armi della flotta turca. La sera prima della partenza, tornando all’albergo dove alloggia, a Istanbul, viene ferito in maniera lieve da un colpo d’arma da fuoco. Incredulo ma ben convinto che la nazionalità inglese e la propria rispettabilità lo proteggeranno da quello che si ostina a considerare un banale tentativo di furto, Graham conduce un colloquio surreale con il colonnello Haki dei servizi segreti turchi. L’ufficiale gli spiega che i nazisti avrebbero ogni interesse a bloccare la modernizzazione delle navi turche, e che lui userà ogni mezzo per mantenerlo in vita, anche la coercizione, obbligandolo a imbarcarsi di nascosto sullo scomodo ma più sicuro piroscafo Sestri Levante.
Vede, Mr Graham, le forme di governo cosiddette democratiche pongono grossi inconvenienti a chi si trova nella mia posizione. Per arrestare e detenere la gente bisogna passare da assurde formalità legali.
Inizialmente scettico, il povero Mr. Graham nei pochi giorni trascorsi a bordo comincia a rendersi conto che Haki è stato fin troppo ottimista: a bordo è salito un sicario e lui può contare soltanto su se stesso per riconoscere il nemico sotto l’abito del semplice viaggiatore. Tipicamente british, il povero Mr Graham non ha certo le doti di una spia, oscilla continuamente tra la speranza che tutto si aggiusterà – queste cose non possono capitare a un cittadino inglese – e l’angoscia di essere capitato in un gioco troppo grosso.
Ma non potevi sfuggire al pericolo! […] magari lo ignoravi per anni. Magari arrivavi alla fine dei tuoi giorni credendo che che certe cose non potessero capitare a te, che la morte ti avrebbe raggiunto solo con il buon senso della malattia o di un “atto di Dio”. Eppure il pericolo c’era. Aspettava di ridicolizzare ogni tua confortevole idea sui tuoi rapporti con il tempo e con la sorte, ed era pronto a ricordarti che […] la civiltà era un vocabolo, e che vivevi ancora nella giungla.
Il romanzo è un ottimo esempio della narrativa di Ambler prima maniera, con un protagonista antieroico, che viene estratto dalla propria esistenza soddisfacente e organizzata su binari ben definiti e scaraventato in una lotta per sopravvivere. L’autore passa con sapienza da un piano narrativo all’altro: lo studio psicologico, la cronaca sociale, i temi di attualità; i personaggi, una coppia di francesi, un commerciante turco, un archeologo tedesco con la moglie, una ballerina dotata di una fascino vistoso ma efficace e il suo poco gradevole marito, madre e figlio italiani, si muovono nello spazio ristretto e sempre più soffocante del piroscafo confrontandosi in dialoghi intensi, conditi di asciutto umorismo e di umana pietà.
Come dimostrerà nell’ultima parte della propria produzione, Ambler ha una particolare attenzione per i «cattivi» e quelli che mette sulla strada di Mr Graham non fanno eccezione. C’è un villain davvero notevole che – con grande professionalità ma anche evidente passione – gioca la propria parte fino in fondo:
L’istinto di autoconservazione è una cosa meravigliosa. È molto facile esere eroici dicendo di voler dare la vita per certi principi quando non ci si aspetta di doverlo fare. Se invece si fiuta il pericolo si è più pratici. Non si considerano le alternative in termine di onore o disonore, ma di mali peggiori o minori.
Un profittatore abbastanza abietto che si sforza di nobilitare la propria condotta con una filosofia che potremmo definire hobbesiana, come cerca di spiegare la moglie,
Lei dice che l’assassinio è un male. Josè dice che lei è un assassino quanto Landru o Weidmann, e che la sorte non le ha dato il bisogno di uccidere nessuno. Una volta qualcuno gli ha detto un proverbio tedesco: “l’uomo è una scimmia vestita di velluto”. Gli piace ripeterlo, sempre.
Le chiacchiere degli ospiti del Sestri Levante rispecchiano la tensione degli ultimi mesi che precedono l’inizio della Seconda guerra mondiale, come riassume chiaramente il l’archeologo vicino di tavolo di Graham la prima sera di navigazione:
La devo informare che sono tedesco – un buon tedesco – e che sto tornando nel mio paese. […] A quanto pare gli alleati sono qui in forze, e disgraziatamente il cameriere è un imbecille. Mi aveva messo vicino i due francesi dell’altro tavolo, ma erano contrari a mangiare con il nemico, mi hanno insultato e si sono spostati.
E anche Josette, la ballerina, dice la sua, criticando gli inglesi:
Nell’ultima guerra avete combattuto al fianco della Francia contro i turchi. Ne ho sentite tante, in convento [A Parigi]. Sono bestie pagane, hanno commesso atrocità in Armenia, atrocità in Siria, atrocità a Smirne. Uccidevano i neonati con le baionette. Ma adesso è cambiato tutto. I turchi vi piacciono. Sono vostri alleati e comperate tabacco da loro. Questa è l’ipocrisia inglese. Ma io sono serba, e ho la memoria più lunga.
Pur mirando soprattutto a scrivere un romanzo avvincente, Ambler dà spazio (e contemporaneamente ne è un ottimo esempio) a quel genere di resistenza individuale, quasi pre-politica e diffusa al fascismo che tanto ha interessato gli studiosi di storia, qui rappresentati dal delizioso Monsieur Mathis, l’anziano francese che ha maturato convinzioni socialiste in modo davvero inconsueto e da Mr Kuvetli. Ma lo scoprirete leggendo il romanzo.
Eric Ambler, insieme a Greene, a Fleming e a Le Carré, è stato uno dei grandi padri della spy story. Graham Greene lo definì «indiscutibilmente il nostro migliore scrittore di thriller» e Le Carré «la sorgente a cui noi tutti attingiamo». Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, Ambler rivitalizzò e diede dignità al genere thriller britannico con una robusta iniezione di realismo e un punto di vista democratico, di sinistra, del mondo occidentale. Lette a distanza di tanti decenni, queste storie e quelle – più cupe – scritte tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, sono ancora capaci di emozionare e catturare la curiosità del lettore e, soprattutto, non sono affatto obsolete. Forse perché l’Europa di oggi non è meno complessa di quella di allora, altrettanto percorsa da fortissimi interessi economici, diffidenze reciproche, sfumature razziste e intrighi guidati da grandi gruppi finanziari, banche, intrighi e temporanee alleanze contro questo o quel paese ( Grexit docet).
E pensare che Ambler, da ragazzo, non mirava certo a diventare un autore di thriller. Ingegnere mancato, semmai avrebbe voluto diventare drammaturgo. Impiegato presso la Edison Swan Electric Company, scrisse per puro caso un annuncio pubblicitario di successo e cominciò a lavorare a tempo pieno come redattore pubblicitario, scrivendo al contempo romanzi di spionaggio come Viaggio nella paura e l’apprezzatissimo La maschera di Dimitros. Entrò nel cinema altrettanto per caso, quando dopo essersi arruolato, l’ufficiale arruolatore, non sapendo come utilizzare le sue competenze narrative lo inviò presso l’unità cinematografica dell’esercito; così produsse pellicole di propaganda con John Huston e documentari di guerra.
Tra le sue collaborazioni maggiori con Hollywood vi fu lo screenplay per Rebecca di Alfred Hithcock 200 episodi di «Alfred Hitchcock presenta».
Da ricordare, per l’impatto «politico» che ebbe, il suo romanzo Il Processo Deltchev (1951. Adelphi 2002 e 2014) che racconta un processo pubblico di stampo stalinista nell’Europa dell’est e che a suo tempo gli procurò critiche feroci da parte di autori e lettori democratici, e lettere piene di accuse di essere «un traditore della lotta di classe». L’invasione dell’Ungheria forse spinse qualcuno dei suoi detrattori a ripensarci.
Sulle doti narrative di Erc Ambler vale la pena di leggere il ciò che Alfred Hitchcock scrisse nell’introduzione a una raccolta di suoi romanzi pubblicata nel 1970, che comprendeva Journey Into Fear [trad. mia]:
Il lettore si identifica negli eroi di Mr Ambler anche in un altro modo. I suoi eroi provano esattamente il tipo di emozioni che ognuno di voi proverebbe in circostanze simili. Journey into Fear è la storia di un uomo spaventato. È spaventato perché qualcuno gli ha sparato per ragioni che egli non sarebbe in grado di afferrare prontamente e ora è stato informato che il medesimo uomo vorrebbe sparargli un altro colpo e che questa volta cercherà di non sbagliare mira. Le successive 140 pagine costituiscono uno studio ipnoticamente affascinante sulla paura. Se voi foste quell’uomo – un ingegnere con una moglie attraente e una casa piacevole e non troppo bravo nel gioco del golf – anche voi sareste spaventati. Ma vi rendete conto che in un romanzo di spionaggio tradizionale non sareste spaventati? Sareste molto impegnati a cercare di prendervi la rivincita sul vostro sconosciuto aggressore e, naturalmente, il risultato sarebbe una storia trita, priva di suspense genuina.
Dal romanzo venne tratto, nel 1943, un film di Norman Foster che in Italia è conosciuto col titolo Terrore sul Mar Nero. Alla pellicola partecipò anche Orson Welles, che oltre a recitare contribuì a diverse fasi della sua realizzazione.
Potrete trovare altre informazioni sull’autore e le sue opere in 1, 2
Qui 1
Qui 2
Qui , invece, una bibliografia di Ambler che – tra le tante, compresa quella di Wikipedia, – mi pare la più completa e ordinata.
Eric Ambler, Viaggio nella paura, Adelphi Fabula 2015, pp. 226, € 17,00, trad. Mariagrazia Gini
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