Il «giallo» italiano ambientato nel Ventennio o negli anni immediatamente successivi, che forse ha dato i suoi frutti più noti con Lucarelli, appassiona però anche altri autori; Treno 8017, ambientato a Torino come gli altri di Perissinotto (L’anno che uccisero Rosetta e La canzone di Colombano), è un buon esempio di questo sottogenere.
Il romanzo esplora un ambiente in definitiva poco noto, quello dei lavoratori delle ferrovie. Come molte altre grandi città, Torino è attraversata in tutta la sua lunghezza dalla ferrovia e le sue stazioni, agées e in via di profonda ristrutturazione – Porta Nuova e Porta Susa e le «piccole» Lingotto, Dora, Ciriè-Lanzo – fanno a buon diritto parte della storia dei suoi quartieri. Come i ponti che attraversano i suoi fiumi, i sovrapassi che valicano la ferrovia sono altrettanti punti di riferimento (e di congestione del traffico) e in zona Crocetta esiste un agglomerato di case «dei ferrovieri», edilizia popolare ormai piuttosto vetusta che suggerisce epoche lontane e altri modi di essere «lavoratore».
Il mondo dei treni, con le sue suggestioni e tutta la sua realtà poco romantica di lavoro e di burocrazia, di epurazioni e di inevitabile corruzione, è lo sfondo di Treno 8017. Protagonista e «investigatore» del giallo, che non sacrifica mai i personaggi al plot, è Adelmo Baudino, ex ispettore della polizia ferroviaria onesto e competente, partigiano e scioperante quando sostenere i propri diritti di lavoratore era vietato per legge. Grazie allo zelo insensato degli epuratori, all’indifferenza dei colleghi e alla confusione del dopoguerra, Adelmo è stato «dispensato dal lavoro». La sua è la sorte di molti, i nostri nonni e/o genitori avranno sicuramente conosciuto qualche disgraziato statale dei livelli più bassi epurato senza ragione (come un mio lontano parente acquisito, colpevole di essere stato guardia confinaria durante il Ventennio), mentre i pesci grandi restavano incollati alle loro sedie.
Già, ma Adelmo non riesce a perdonare l’affronto, l’ingiustizia che non soltanto l’ha privato dello stipendio e l’ha costretto a fare il muratore per una paga da fame, ma gli ha tolto un lavoro che lo appassionava e soprattutto il proprio onore di lavoratore. E dato che la curiosità e il fiuto di un investigatore non si cancellano per decreto, quando Adelmo legge sul giornale di ripetuti omicidi di ferrovieri non può (e non vuole) credere a semplici coincidenze e ha ancora voglia di «ficcare il naso», come dicono i torinesi. Berto, l’amico un tempo ferroviere per passione ma ormai fagocitato dall’azienda di famiglia, che ogni domenica sera gli offre un buon pasto all’osteria del Polo Nord, sta a sentire le sue ipotesi e comincia anche lui a lavorare di fantasia: se Adelmo, magari con il suo aiuto, riuscisse a scoprire il coplevole (perché si capisce che c’è un colpevole, che è unico, che sotto questi omicidi c’è un mistero…), allora potrebbe riabilitarsi, dimostrare che vale davvero e che è fedele, no?
Per «riscattarsi», ma soprattutto per fare ancora il lavoro che ama, Adelmo, in aspettativa da muratore e spesato da Berto, segue la sua traccia per mezza Italia, visita una Napoli povera, notturna e claustrofobica e prosegue verso sud, inseguendo un treno disgraziato, finito male insieme al suo carico di poveracci.
Niente male, questo Treno 8017, con la sua Torino in ombra, che i torinesi hanno o visto o riconoscono dai racconti dei parenti più anziani e che i lettori «di fuori» possono esplorare senza sentirsi turisti letterari a termine; un romanzo scritto bene, che illumina pagine di pubblica corruzione vere o almeno verosimili, un giallo che presenta un assassino peculiare e non soltanto una maschera da colpevole e che non si perde nemmeno nel finale dolceamaro.
Alessandro Perissinotto, Treno 8017
Sellerio, 2003, pp. 248, € 11,00
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