L’inglese Eric Ambler (1909-1998), scrittore, sceneggiatore cinematografico (Topkapi) e giornalista, è ormai riconosciuto come uno dei maestri del thriller, ma in Italia è stato letto poco e male, come dimostra la travagliata vicenda editoriale di questo The mask of Dimitrios (e non A coffin for Dimitrios, come riporta Adelphi, che è il titolo di una riedizione americana): comparso tagliuzzato fra i primi Gialli Mondadori del dopoguerra, poi nei Rapidi Mondadori e mai più ristampato; pubblicato infine nella BUR Rizzoli (1983) nella traduzione del notissimo Hilja Brinis e poi introvabile. Fortunatamente Adelphi ne sta ripubblicandone a goccia a goccia l’opera, a cominciare da Il Caso Schimler (1999).
Charles Latimer, protagonista di La maschera di Dimitrios, è, come in un gioco di specchi, un giallista di discreto successo in viaggio di piacere a Istanbul verso la metà degli anni Trenta. Qui conosce un colonnello dei servizi segreti turchi con ambizioni letterarie che, dopo avergli «regalato» una trama strampalata per il nuovo romanzo, gli racconta la storia molto più avvincente di un assassinio «vero». Cadavere malconcio e vestito poveramente, Dimitrios sembra un uomo da poco, un manovale del crimine. Ma il colonnello, che lo ha cercato per mezza Europa, narra a Latimer la storia di un’intelligenza lucida, ambiziosa e priva di scrupoli, passata disinvoltamente dal furto all’assassinio e al terrorismo, dallo spionaggio al traffico di donne e di droga. «Una carogna di meno», verrebbe da pensare al posto di Latimer.
E invece no, il giallista si appassiona a Dimitrios, tanto da tralasciare il suo nuovo romanzo e inseguirne le tracce per l’Europa già percorsa dai primi venti del nazismo. Il viaggio consentirà a lui e a noi lettori di conoscere personaggi di ogni sorta: diplomatici, inviati speciali, spie d’alto livello, maîtresses, delinquenti di mezza tacca e soavi artisti del crimine. E di scoprire che Dimitrios, magnaccia ed eroinomane, vendicativo e capace di abbandonarsi a odi profondi ma anche di tenerli a freno, è stato una pedina defilata ma importante della partita complessa che ha visto la sconfitta in Bulgaria del partito dei lavoratori e l’ascesa di Hitler in Germania. Una partita giocata ai più alti livelli da industriali, banche internazionali e potenze europee.
Gran senso del ritmo e stile nitido ed elegante, queste le caratteristiche più immediatamente evidenti della sua scrittura; ma Ambler è un autore di notevole spessore che trascende il thriller pur utilizzandone con maestria tutti i canoni e gli ingredienti, per tracciare con ironia e understatement un quadro articolato e complesso dell’Europa alla vigilia della seconda guerra mondiale. Ne volete una prova? Allora leggetevi, in Epitaffio per una spia, la tirata di Herr Emil Schimler sulla socialdemocrazia tedesca di Weimar, una pagina degna di una saggio di storia ma pronunciata con ritegno da un personaggio costretto a giustificare la propria doppia identità. Una tirata che dà piena ragione alle considerazioni di Jacques Barzun, negli anni quaranta a proposito del romanzo di spionaggio:
«Il romanzo è sovvertitore per vocazione, il romanziere è una spia in territorio nemico. Non c’è dunque da stupirsi se la sua parabola finale è il racconto con dentro una spia dichiarata e certificata, che come il picaro originario vede la società dal basso e con rancore» (dalla prefazione di Ambler ad una riedizione del romanzo).
Sì, per nostra fortuna, il romanzo ha la vocazione del sovversivo e i buoni romanzieri come Ambler sono spie nei territori della storia e della mente umana.
Giudizio dei due romanzi: Quattro stelline. Cinque stelline le assegnerei soltanto a «L’agente segreto» di Conrad.
Eric Ambler, La Maschera di Dimitrios. Adelphi 2000, ed. or. 1939, pp. 235, € 12,00, trad. Franco Salvatorelli
Eric Ambler, Epitaffio per una spia, Adelphi 2001, ed. or. 1938, pp. 231 €. 10.00, trad. Franco Salvatorelli
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