Michael Dibdin
L’ultima avventura di Sherlock Holmes
Passigli
€ 16,50
trad. G. Montanari
Michael Dibdin, inglese classe 1947 è un autore di storie poliziesche con studi universitari alle spalle, alcuni anni trascorsi negli Stati Uniti, dove si è mantenuto facendo svariati lavori, e un soggiorno di cinque anni in Italia, dove ha insegnato all’università di Perugia. In Italia è noto soprattutto per la una lunga serie con protagonista Aurelio Zen, ispettore veneziano, scettico e disincantato accostato dalla critica a grandi detective come Jules Maigret di Simenon e Adam Dalgliesh P. D. James.
Abile nel giocare con le forme classiche della crime story, Dibdin include nel genere una miscela insolitamente ricca di punti di vista psicologico, culturale, socio-politico; utilizza inoltre un gran numero di allusioni e riferimenti letterari.
Il suo esordio come autore avviene alla fine degli anni Settanta quando, dopo una visita molto accurata nell’East End teatro dei crimini di Jack Lo Squartatore, decide di scrivere un pastiche holmesiano, The last Sherlock Holmes Story (1978) che è stata pubblicata quest’anno da Passigli come L’ultima avventura di Sherlock Holmes.
L’ultima avventura di Sherlock Holmes ha la forma classica di una confessione manoscritta di Watson giunta in possesso di Dibdin cinquant’anni anni dopo la morte del fedele dottore. Il romanzo, molto documentato sulle gesta di Jack the Ripper, è un calco geniale che sviluppa un tratto della personalità di Holmes rimasto abbastanza in ombra dopo il piacevole La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer.
La vicenda prende il via dall’invito a Sherlock Holmes del solito ispettore Lestrade ad assistere la polizia nell’indagine per gli omicidi seriali compiuti da Jack the Ripper nel 1888. Sorpreso nel bel mezzo di una delle sue crisi di ennui che soltanto la cocaina può alleviare, Holmes accetta la sfida con entusiasmo riconoscendo in Jack un fuoriclasse del crimine, malvagio ma geniale, in un certo senso un suo pari. Gli omicidi di White Chapel, benché apparentemente immotivati e casuali, pensa Holmes, sono progettati e condotti con la maestria di un genio del male, un grande, insomma, uno come Moriarty…
La partita fra il criminale e il detective si snoda nel buio nebbioso del quartiere più degradato e povero di Londra, seguendo fedelmente tutto quanto i veri detective di allora appurarono sui movimenti e sugli eventuali moventi di Jack, incastrando con grande abilità nella vicenda le informazioni rimaste agli atti, fino a condurre Holmes e Watson là dove tutto, secondo l’intenzione originale di Conan Doyle, avrebbe dovuto finire: le cascate di Reichenbach in Svizzera.
Già soltanto la fedeltà alla storia letteraria di Holmes e a quella reale e documentata di Jack sarebbero motivo sufficiente per leggere il romanzo, la cui trama è, quanto ad accuratezza, confrontabile punto per punto con l’interessantissimo studio pubblicato molto tempo dopo il romanzo di Dibdin (2004) da Paul Begg e tradotto in Italia recentemente da UTET come Jack lo Squartatore: la vera storia (cfr. LN 41). Ma da buon narratore e da appassionato holmesiano, Dibdin dona al mito di Sherlock Holmes ulteriore spessore, esplorando con sensibilità il lato oscuro della personalità del detective, che qui emerge come un uomo brillante e di grande acutezza mentale ma un malato di spleen che mal tollera i ritmi ordinari della vita quotidiana. Sempre alla ricerca di emozioni e sfide e disposto a cercarle ovunque, anche nella personalità malata di Jack, Holmes non è immorale ma sostanzialmente amorale, e solo per fortuna nostra ha scelto la squadra del bene. Ma se invece…