Stefano Malatesta
Il napoletano che domò gli afghani
Neri Pozza
2002, 2007 pp. 159, € 8,00
Gli eventi degli ultimi anni ci hanno abituato a vedere nell’Afghanistan un Paese composto da etnie gelose della propria autonomia, irriducibili alle direttive di un governo centrale, anche se autoctono. Un popolo di guerrieri feroci, aggregati in bande disposte a cambiare continuamente le alleanze. In questo pare che l’Afghanistan non sia cambiato granché negli ultimi secoli. Eppure, nella prima metà del XIX secolo, mentre quella terra cominciava a diventare il terreno del Grande Gioco tra l’imperialismo russo e quello britannico, descritto da Kipling in Kim, un europeo, chiamato dal maharaja del Punjab a governare la turbolenta città di Peshawar, seppe imporsi sulla popolazione (di maggioranza pashtun), riducendola all’ordine con metodi da Tamerlano, impiccando, fucilando, impalando o gettando dai minareti tutti coloro che non seguivano alla lettera le regole dell’impero sikh e del governatore in particolare. Ancora oggi nei territori circostanti il mitico Khyber Pass si mormora con un misto di orrore e rispetto il nome di quell’uomo, Abu Tabela, riduzione afghana del nome di Paolo Avitabile, oriundo napoletano. Un cannoniere di Murat che seppe diventare generale e governatore dell’imperatore sikh, sulla scia di tanti militari europei che, dopo Waterloo, andarono a offrire i propri servigi presso i potentati d’Oriente, dalla Turchia all’Indocina. Grazie a una narrazione intrigante e ironica, Malatesta, giornalista di «Repubblica», ha cercato di ricostruire, dai pochi documenti esistenti, la vita di questo avventuriero partenopeo, la cui perizia militare contrastava violentemente con l’inettitudine di tanti suoi connazionali gallonati, che non seppero far fronte alla resistibilissima impresa garibaldina. Ma a quell’epoca Abu Tabela era già morto: poco dopo esser tornato a casa ricco e colmo di onori, nel 1850, all’età di 59 anni, Paolo Avitabile moriva, forse avvelenato dalla giovane moglie. Una vita per molti versi misteriosa, piena di buchi neri, di un uomo in perenne bilico tra lucida follia ed avidità sfrenata. Forse per la scarsità di materiale disponibile, l’autore indulge spesso a divagazioni su episodi che con Avitabile hanno poco a che fare, come le battaglie di Waterloo e Calatafimi. Ma si tratta di divagazioni gradevoli (magistrale la sintesi di Waterloo), e lascio al lettore il piacere di scoprire in che modo Malatesta riesce a inserirle nel libro. Non manca la descrizione di altri personaggi europei attirati in quel periodo dal sogno di esotiche glorie. Soprattutto inglesi, che, a quel tempo, come afferma il commento nei risguardi di copertina (una volta tanto scritto con cognizione di causa), «sono ovunque, fingendo, ancora per poco, di essere capitati lì per caso».
(Obelix)