di Silvia Treves
Nell’ondata ormai pletorica e vicina a disseccarsi di polizieschi di origine scandinava segnalo volentieri
Il figlio del poliziotto di Matti Yrjänä Joensuu (ed. or. 1983), un buon giallo che certo non meritava di scomparire nei magazzini della casa editrice o, peggio ancora, di andare al macero.
Matti Yrjänä Joensuu (1948-) è uno dei più noti e rispettati scrittori finlandesi di polizieschi. Il commissario capo Timo Harjunpää – protagonista, dal 1976, di una dozzina di indagini – è, più che un personaggio, quasi un alter ego dell’autore, con il quale condivide la professione (Joensuu è stato commissario in Helsinki), la conoscenza diretta dei problemi e delle tensioni che attraversano la città e una sensibilità priva di retorica per la sofferenza della gente che vive nei quartieri più degradati. Timo Harjunpää non è un eroe ma un funzionario coscienzioso, non ha una vita privata intrigante e misteriosa ma, come molti di noi, una moglie che ama e due figlie piccole da cui spesso non riesce a tornare, nemmeno psicologicamente, perché il lavoro erode e perturba la vita familiare.
Il romanzo si apre su un’alba già canicolare e Timo, dopo una lunga notte di servizio, va a occuparsi di un annegato appena ripescato. Non lo sa ancora, ma ben presto dovrà portare il peso di due omicidi efferati, un paio di adolescenti violenti e infelici e un collega che non merita di essere considerato tale… pagina dopo pagine, Timo (ri)scopre un mondo percorso da infelicità al calore rosso e rabbia, e dalla sensazione, comune a personaggi di ogni età, di non contare nulla a meno di non ribattere colpo su colpo con la violenza, sfogando sugli altri il dolore e la solitudine. «Il mondo deve pagare per quello che non mi ha dato. E per quello che mi ha dato», pensano molti personaggi del libro. E se gli adolescenti sono terribili nel loro delirio, gli adulti che dovrebbero difenderli dall’infelicità sono talvolta più squilibrati e spaventosi di loro. Mano a mano che il caso procede, il cerchio della gente coinvolta, delle vite troncate e di quelle rovinate irreparabilmente si allarga e l’inquietudine, il senso di impotenza di Harjunpää filtrano nella mente dei lettori, la pietà per le vittime si colora di dubbio: se la gente «per bene» è così, se abbandona i ragazzi a un vuoto che li priva di senso e di speranza, come farà il mondo a reggere, a guarire almeno un po’?
Come non comprendere le paure da genitore di Timo, la sua sensazione che la famiglia non sia più (sol)tanto un’oasi di quotidiana serenità ma una fonte costante di preoccupazione: «Aveva paura di perdere quello che gli era caro, ma non riusciva ad ammetterlo. Aveva persino l’impressione che quelle due vite che cominciavano, pesassero già su di lui con tutto il loro fardello di responsabilità».
Come Joensuu spiega
in un’interessante intervista i crimini legati a disturbi mentali sono molto comuni in Finlandia. Il loro numero è notevolmente cresciuto a partire dai primi anni Novanta, quando la Finlandia si trovò nel mezzo di una recessione economica e i tagli alle spese cominciarono a colpire i programmi di salute mentale.
Oltre a quello delle carenze economiche del welfare un altro tema sta molto a cuore a Joensuu: quello delle connivenze nelle forze di polizia, non tanto corruzione quanto quell’omertà minore che spinge chi è al corrente di manchevolezze, scorrettezze in servizio e pigrizia dei colleghi a girare la testa dall’altra parte, a proteggere i colpevoli autoassolvendosi perché gli «altri», i delinquenti, fanno cose peggiori. Questa «intransigenza», la volontà di usare la narrativa anche per denunciare le mele marce, non è stata sempre apprezzata dai veri colleghi dell’autore.
Nulla di nuovo sotto il sole, diremmo noi italiani, ma Joensuu racconta bene, con conoscenza di causa e con una capacità apprezzabile di rispecchiare nei gesti più minuti i sentimenti e il dolore dei suoi personaggi:
La vecchia parlava velocemente, trafelata, e girava intono alla stanza a piccoli passi, aggiustando la tovaglietta del cassettone, raccogliendo qualcosa sul pavimento, cacciando via il gatto dalla finestra: evitando di guardare Harjunpää […]
Vide con la coda dell’occhio che il gatto si era infilato di soppiatto in cucina ed era soltanto in grembo alla padrona; pensò che era meglio così, che lei non fosse tutta sola. Sapeva di aver rimandato già troppo e alzò la testa.
La vecchia accarezzava il gatto e piangeva.
– L’ho visto subito, – sussurrò lei a voce così bassa che si capiva appena. Nei vostri occhi… Taisto è morto…
Matti Yrijänä Joensuu
Il figlio del poliziotto
meridianozero,
2001 e 2009