Non è un paese per fantastici? – 5
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Vittorio Catani, uno dei maggiori autori di sf italiana. Un intervento netto e piuttosto pessimista sulla storia e sulla sorte della sf scritta nella lingua di Dante. Sorte che, secondo Vittorio, non pare trovare respiro, sollievo o speranza dall’esistenza di molti appassionati on line. Un intervento ideale, crediamo, per iniziare un dibattito.
di H. G. Francis & M. Wegener
Ho letto qualcosa «sulla fantascienza» su librinuovi-out-of-print. Purtroppo devo dire che dal 1952 a oggi stiamo ancora, come suol dirsi, a «Caro amico…» Quanto ad addossare colpe a chi oggi se ne interessa, è un giochino al quale non sto più. Dico solo che sono trascorsi sessant’anni nei quali la sf italiana avrebbe potuto benissimo attecchire, evolversi, in una parola. «esistere». Così com’è stato per la sf in Francia, in Germania, in Spagna, nel Sudamerica, per non dire nei Paesi dell’Est Europa.
Ho detto «esistere» con buona ragione. Ancora oggi, se presento un libro di sf italiana, su mia diretta domanda al pubblico che ascolta, solo una persona su cinquanta sa che c’è qualche autore di fantascienza in Italia, e nella maggior parte dei casi si cita solo Evangelisti, che io per primo conosco e stimo moltissimo, ma che – per sua puntualizzazione – ha dichiarato di non considerarsi autore di fantascienza. Ed ecco che la sf italiana non «esiste»: è un fantasma, nota solo ad altri fantasmi.
A parte la catastrofica gestione frutterlucentiniana di Urania (venti preziosissimi anni gettati al vento, per quanto riguarda la sf di casa nostra), hanno contribuito a questo vuoto un po’ tutti.
Anzitutto l’editoria specializzata, che secondo me non ha mai capito che gli autori italiani, fin dal primo momento, non potevano scrivere sf di tipo americano, come invece si è sempre preteso. Per il semplice fatto che gli autori sono, appunto, «italiani». Cioè europei. Cioè nati e immersi nella cultura del Vecchio Mondo, che sarà vecchia anch’essa, ma quella è. Se si fosse voluto prendere consapevolezza di questa realtà, si sarebbe potuto, nei primi tempi, accompagnare lo scrittore – e i lettori – lungo un percorso diverso ma al contempo ragionevole e costruttivo. Come – guarda caso – è accaduto in Francia e altrove. E dire che ai primordi (anni Cinquanta – Sessanta) c’erano autori molto promettenti.
Inoltre: il fandom. Anche io ho partecipato lungamente al fandom (parola peraltro molto vaga) e realizzato numerose iniziative di gruppo. C’è stato un fandom spesso attivissimo e costruttivo, in Italia. La maggior parte della nostra sf, anche la migliore, è passata attraverso le fanzine e le attività sono state numerosissime, specie negli anni Sessanta – Settanta. Negli anni Ottanta, poi, le fanzine furono – nel buco nero generale che coinvolse l’intera società – l’unico sfogo per i nostri scrittori. Praticamente tutti coloro che trovarono lavoro – e magari ancora ci lavorano – nell’ambiente fantascientifico (curatori, disegnatori, critici, traduttori) sono passati attraverso il fandom. Oggi non ne restano molti, ma ci sono.
Tuttavia un’altra buona parte del fandom ha esercitato un influsso estremamente negativo. Non si contano i litigi, gli spargimenti di veleni, le offese, gli anatemi, i dispetti, le invidie, gli sgambetti, talora passando addirittura alle vie legali. Incredibile, nell’ambito di noi quattro gatti. Gente che per aver creato una fanzine (che magari vendeva cinque copie, ma a volte la leggeva solo chi l’aveva realizzata) saliva in cattedra. Critici improvvisati che elargivano il loro Verbo su «come» doveva essere una fantascienza italiana. Altri che entravano in concorrenza con «me» o con «te» e sputavano sentenze. Oppure che proclamavano di essere gli unici a sapere cosa sia la verafantascienza. Diciamo che la sf (forse per essere una narrativa capace di toccare più corde del nostro io profondo) in questi casi scatenava i peggiori istinti.
Penso che chiunque si chiederà quanto abbia anche nuociuto il fandom alla sf italiana. E quanto si sarebbe, invece, potuto costruire in sessant’anni. Vorrei chiedere a tutti questi presunti dissacratori, in realtà demolitori, cosa ritengono di aver «costruito» per ovviare alle storture contro le quali si scagliavano. Secondo me siamo nuovamente ai fantasmi. La cosa peggiore è che certo fandom, oltre a essere litigioso, è geneticamente incapace di imparare dal proprio passato. E quindi ripete tranquillamente gli stessi errori. Non scrivo nomi, ma è dell’altroieri (4 aprile 2012) una notizia datami da un amico, molto intristito e disgustato, circa una lite scoppiata attorno alla compilazione e pubblicazione d’una antologia di racconti, per la quale sono già volate minacce e diffide. Una sfaccettatura della sf italiana sulla quale si potrebbe scrivere un bel tomo.
Un ulteriore aspetto che oggi nuoce alla sf italiana è l’assenza di «critica». Devo dire che le nuove generazioni non hanno neanche idea di cosa sia. Tutto questo chiocciare in rete, i blog che sputano sentenze o che si auto-promuovono giudici di Cassazione: di questa marea, quanti hanno letto anche un solo libro di critica fantascientifica? È facile dire «mi piace» e «non mi piace», o ridicolizzare un testo: ma dal punto di vista critico è un parlare del nulla. La controprova è che, da circa un trentennio, non escono più testi che trattano la materia (a parte tre o quattro della Elara). Si sono perse le capacità critiche, salvo poche eccezioni (solo un paio di nomi odierni: Giuseppe Panella, Salvatore Proietti). Ricordo che negli anni Sessanta e soprattutto nei Settanta – Ottanta ci fu una foltissima fioritura della saggistica: soprattutto sulle fanzine e in libreria, risultato positivo di una continua discussione, spesso ad ottimo livello. Testi come quelli di Lino Aldani, Vittorio Curtoni, Darko Suvin, del gruppo Un’Ambigua Utopia, restano tuttora basilari.
Nicoletta Vallorani
A questi si aggiungevano interventi di Sergio Solmi, Carlo Pagetti, Giorgio Nicolazzini, Franco Ferrini, Giuseppe Lippi, Diego Gabutti, Nicoletta Vallorani, Alberto Abruzzese, Daniela Guardamagna, Domenico Gallo, Renato Giovannoli, Riccardo Valla, Luce d’Eramo e moltissimi altri.
Vero che non occorre essere specialisti per capire se un libro è valido o meno, ma indubbiamente un approfondimento amplia la visuale del lettore e offre più articolati, solidi e attendibili criteri di giudizio.
Darko Suvin
Non mi permetto di dare suggerimenti: sarebbero solo un parere come un altro, ma soprattutto sarebbe inutile.
Qualcuno potrà credere che quanto ho scritto sopra sia conseguenza di mie disillusioni editoriali.
Per nulla. Scrivo da circa sessant’anni e pubblico esattamente da cinquanta. Ho all’attivo una marea di roba tra narrativa, saggistica e articoli per quotidiani, e ho toccato quasi tutti i temi della sf. Ho ricevuto più d’una soddisfazione. Ho cercato e cerco sempre di promuovere autori italiani meritevoli vecchi e nuovi. Certamente occorre avere molta pazienza, e non sempre tutto va bene. Non ho grandi obiettivi: da giovanissimo, leggendo i maestri della sf statunitense, non avrei mai creduto di poter anch’io pubblicare un giorno qualcosa. Il vero rammarico è stato, ed è tuttora, convivere da più di mezzo secolo con una fantascienza di casa nostra che, per una causa o per l’altra, resta permanentemente asfissiata.
In questi ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma il predominio dei testi stranieri (quasi esclusivamente statunitenti) resta schiacciante. Qualcosa si sta facendo con iniziative di piccoli editori, o addirittura iniziative personali, anche attraverso Internet, ma la strada da compiere è ancora molto, molto lunga.