Eppure ha una bella copertina, Blue, di Angela Scandura, Fazi editore, e vantava sulla fascetta una presentazione di Valerio Evangelisti che scomoda i «grandi maestri del noir». Evangelisti è uomo generoso, e probabilmente come Stephen King non è capace di dire di no a una gentile richiesta. Che abbia letto il libro, tuttavia, permettetemi di dubitarne. C’è comunque da osservare che, una volta lodata la copertina, si sono praticamente esauriti i pregi del libro.
Protagonista è Rosa, giovane programmaticamente fuggitiva e inafferrabile che si degrada sessualmente a bella posta per punirsi di antichi peccati e che vive in simbiosi intellettuale con la sorella morta. A inseguirla, ammaliati dalla sua vis erotica e dalla sua aura malsana due o tre maschi tra i quali un poliziotto tostissimo, deluso e troppo loquace, un investigatore privato timido, incerto e troppo loquace e un radio dj altrettanto loquace. Se insisto con la loquacità è perché Scandura ama scrivere dialoghi prolissi e insignificanti, da telefilm americano tradotto malamente e in fretta che si aprono sistematicamente con i saluti (Ciao Ivano – Ciao Rosa) e si chiudono con oscure minacce. Resta comunque un mistero come potrebbero mai eventuali attori pronunciare battute lunghe e contorte come quelle che l’autrice mette in bocca ai suoi personaggi. Sottoprodotto di questa incapacità di mettere insieme un dialogo accettabile è il ricorso costante a un turpiloquio greve e scarrucolante nella sua inessenzialità.
Il tempo del romanzo dovrebbe essere (credo, ma non ne sono certo) un indefinito prossimo futuro. In quanto ai luoghi virtualmente non esistono, non solo nel senso che non vi sono città o posti riconoscibili, ma proprio nel senso che Scandura (che scrive soltanto dialoghi, ma forse l’ho già detto) non si preoccupa di descrivere un accidente. Al posto delle descrizioni lunghissimi (interminabili) soliloqui ricchi di affermazioni ultimative del tipo: «adesso bimbo ti dico la verità anche se già so che ti farà male», alla Marlowe, per capirci, ma un Marlowe da pubblicità della maionese che medita tra sé frasi amare come: «annientare è più appassionante che costruire» o «il novanta per cento dell’umanità nemmeno sa cosa sia, l’amore.».
Dopo aver fatto il pieno di tanta saggezza, dell’agitarsi e dei dialoghi senza scopo apparente di Rosa, Ivano et al. e dopo aver fatto mente locale su qualche modesta perversione sessuale, intorno a pagina duecento ci si comincia a chiedere: «Ma quando succederà qualcosa in questo romanzo?».
Giusto in tempo! Finalmente un gruppo di sinistri bruti fanatici rapiscono Rosa tenendola per giorni legata e soprattutto imbavagliata. Questo sarebbe un eccellente sviluppo se non fosse per il monologo interiore della protagonista che, viceversa, prosegue impavido ed estenuante. Intanto i comprimari coinvolti nella consueta storia della beltà in periglio (con qualche sfumatura erotica che non guasta mai) si agitano vieppiù fino ad approdare a uno scioglimento insieme vago e sgangherato. Alla parola «fine» spontanea e incontenibile la sensazione di liberazione.
Raro davvero imbattersi in un romanzo tanto integralmente fallito, noioso come un programma contenitore per la TV, scombinato, pretenzioso, scritto con astuzia dozzinale ma privo di fantasia e intelligenza narrativa. Una fatica improba leggerlo e ancor più improba padroneggiare il rancore per il tempo perso e riuscire a scriverne senza scadere nel turpiloquio.
Per il lettore che non è riuscito a provare la minima simpatia per i bipedi che popolano il testo né si è mai sentito vagamente coinvolto dalle risibili elucubrazioni mentali della Scandura, la parola fine arriva con circa 330 pagine di ritardo. Se questo è ciò che ci si può attendere dalla contaminazione tra generi e mainstream è meglio scappare in montagna a rileggere Dostoevskij, Leopardi e Montaigne. E dimenticare Angela Scandura.
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Angela Scandura, Blue, Fazi La vele 2000, pp. 336, € 6,00
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Idem e-book, € 1,99
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