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    Biblioteca

    L’eterno mascolino e altre inconfessabili debolezze

    • di Massimo Citi
    • Giugno 7, 2012 a 6:44 am



    Biblioteca. 
    I libri ritrovati

    di Massimo Citi

    Questo articolo nasce da un diverbio. Un gentile diverbio, sia chiaro, una divergenza di opinioni che ha preso le forme di una quasi-scommessa.
    Ma andiamo con ordine. Dovete sapere che i due libri qui recensiti sono stati tra i miei preferiti tra i dieci ed i quindici anni ed hanno avuto un ruolo non poi così secondario nella mia formazione. Si tratta di un romanzo di cappa e spada (sia pure reinterpretato e riletto con ironia) e di un saggio storico. Per entrambi si può parlare di testi che hanno, in maniera più o meno evidente, una dimensione «formativa», ossia che trasmettono al lettore non solo notizie o piacere estetico, ma una concezione del mondo, un programma di vita. In entrambi si parla di personaggi (l’uno immaginario, l’altro reale) dotati di un forte codice morale, che scelgono un approccio scomodo al mondo, uomini che preferiscono la pratica delle proprie categorie (rettitudine, cortesia, disinteresse, dedizione, coraggio) alla facile meschinità del mondo che li circonda.
    In entrambi i casi la dimensione narrativa – nell’uno un XVII secolo di maniera, ricco di nobiltà, colpi di scena e duelli, nell’altro l’ambiente marinaro e la suggestione del tramonto dell’impero zarista – funge da eccellente cornice per far risaltare le qualità dei protagonisti.
    Si tratta di libri che agganciano il lettore, che lo spingono a continuare la lettura benché, in modi diversi, i finali siano già noti. Nel primo perché, pur se si tratta di un calco, il riscatto e il lieto fine sono obbligati, nel secondo perché è l’autore a lasciare chiaramente intendere fin dall’inizio che la flotta di Rozéstvenskij è destinata a finire in fondo al mare sotto i colpi delle corazzate giapponesi.


    Il Capitan Fracassa è un romanzo più volte iniziato dall’autore, annunciato una prima volta come «di prossima uscita» nel 1836 e realmente pubblicato solo nel 1861, anche se il primo capitolo fu composto (ma non pubblicato) nel 1853.

    Il romanzo venne dunque concepito prima dell’uscita dei Tre Moschettieri di Alexandre Dumas (1844), ma fu pubblicato ben 17 anni dopo, finendo con l’apparire una raffinatissima parodia dei testi di ambientazione seicentesca che furoreggiavano nella Francia del secondo impero. Il protagonista, il barone di Sigognac, ultimo di una gloriosa stirpe caduta in rovina, è un abilissimo spadaccino, tanto audace con gli uomini quanto timido con le donne, che per amore della casta e gentile Isabelle si aggrega ad una compagnia di comici vestendo la maschera di Capitan Fracassa, ultimo discendente di un’altrettanto gloriosa schiatta di personaggi della commedia dell’arte derivati direttamente dal Miles Gloriosus di Plauto. Gautier non fa alcun riferimento alla realtà politica del XVII secolo e il suo romanzo è ambientato in un mondo di blasoni, briganti e castelli, una colossale quinta teatrale dove i caratteri fissi dei personaggi rispondono pienamente ad altrettante maschere da teatro. Deliziosamente inverosimile, assurdo, movimentatissimo e sovente decisamente spassoso, Il Capitan Fracassa fa della contrastata virtù di Isabelle il motore degli eventi, impresa non da poco nella libertina Francia di Napoleone III. In esso l’autore ha voluto rappresentare pienamente il proprio amore per il teatro e, insieme, ha voluto comporre un romanzo storico «definitivo», insieme parodia e celebrazione.


    Tsushima, uscito in Germania nel 1938, è un testo storico dalle caratteristiche curiose, che testimonia ambiguamente i sentimenti di terrore/ammirazione verso i i russi e verso l’Unione Sovietica che dovevano prevalere tra i tedeschi, ormai completamente nazificati, alla vigilia del secondo conflitto mondiale.

    L’Ammiraglio Rozéstvenskij vi compare nei panni di un cavaliere solitario: l’uomo che nel 1905, nel corso della guerra Russo-nipponica, riuscì, grazie alla propria tenacia, a condurre una flotta antiquata, mal armata, mal addestrata, a corto di munizioni e di rifornimenti, fino al Mar del Giappone per essere distrutta quasi integralmente dalla moderna e potente marina imperiale nipponica comandata dall’ammiraglio Togo.
    Non è troppo difficile immaginare il rilievo che ebbe un simile personaggio nell’immaginario neopagano della gioventù tedesca dell’epoca. Rozéstvenskij nel mondo corrotto e piccolo borghese dell’ultima Russia zarista costituisce un unicum, un eroe solitario e cupo, incorruttibile perché interamente posseduto dalla propria missione, una missione che ha come unica e logica conclusione il sacrificio. Gravemente ferito e salvato dai giapponesi, l’ammiraglio Rozéstvenskij rientra in patria sei mesi dopo la battaglia, attraversa l’intera Russia acclamato, come ci informa l’autore, da operai e soldati, e rientra a Pietroburgo in tempo per essere processato per alto tradimento(1).
    E di nuovo queste ultime pagine del libro raccontano tutta la suggestione che la Rivoluzione Russa ebbe per i tedeschi degli anni ’20 e ’30, testimoniano le ambiguità di giudizio e l’inconfessata ammirazione anche di coloro che ne furono i più aspri nemici.


    Non vi è posto, nel libro di Thiess, per le donne. Particolare rivelatore: nel corso del libro (441 pagine) non compare mai un solo personaggio di sesso femminile, elemento che può apparire non poi così strano vista la sua ambientazione militare e marinaro, ma che si rivela fortemente indicativo nel momento in cui l’autore, riferendosi ai legami sentimentali dei protagonisti, parla sempre di «famiglie» o di «cari».

    D’altro canto, per tornare al romanzo di Gauthier, la casta Isabelle del Fracassa è un personaggio che si caratterizza soprattutto per ciò che non è, ossia leggera, promiscua, chiassosa e di facili costumi.
    Veniamo adesso al contrasto che mi ha spinto a scrivere di questi due libri.
    Secondo un caro amico sono, particolarmente il secondo, libri la cui carica «formativa», o se preferite, il cui insegnamento è non solo obsoleto ma anche ideologicamente ambiguo o pericoloso. Si tratta, per riassumere forse all’eccesso, di libri «di destra», nei quali l’acceso individualismo dei personaggi e il riferimento a valori astorici (onore, dedizione, disinteresse) aprono la strada a rischiose derive verso la destra radicale: «… e non riuscirai a dimostrarmi il contrario!»
    Però posso almeno provarci.
    Ciascuno è laboratorio di se stesso, naturalmente, ma debbo ammettere che queste considerazioni mi hanno, almeno in parte, sorpreso. Come spiegavo all’inizio, i due libri hanno avuto un innegabile peso nella formazione della mia visione del mondo e, viste le mie successive scelte politiche, non ho potuto che uscirmene, di fronte a questo genere di rilievi, in un «Ohibò!», degno del Barone di Sigognac.

    Teophile Gautier

    La discussione ha comunque lasciato in me una traccia, e, come capita quando si ha a che fare con categorie molto vaste e necessariamente sfumate, ha determinato una feconda confusione.

    Provando a considerare le cose da un altro punto di vista, pratica molto apprezzata dal «reazionario» G.K.Chesterton, si dovrà ammettere che Il Capitan Fracassa è un’intelligente parodia, nella quale nulla o quasi va preso sul serio, mentre Tsushima, è non solo il racconto dell’ossessione di un uomo, ma anche la cronaca di una formidabile impresa collettiva che termina con una, sia pur velata, dimostrazione di entusiasmo per la Rivoluzione d’Ottobre. Verissimo che in entrambi i libri si tesse l’elogio (in modo divertito e complice nel Fracassa, cupamente e con toni elegiaci in Tsushima) di un indefinibile «eterno mascolino», categoria assurda quanto l’altrettanto risibile «eterno femminino»; ma ad un esame più attento ciò che cade sotto questa categoria fa parte di un sistema etico che ha illustri precedenti nella classicità, sia occidentale che asiatica, e che ben poco ha a che vedere con l’identità sessuale di chi lo pratica. La frugalità del Barone di Sigognac, il senso di responsabilità di Rozéstvenskij, il loro comune disinteresse per fama e ricchezza sono elementi di una concezione del mondo molto antica, della quale possono forse «ridere i borghesi», come direbbe Sigognac, ma non i membri civili della società, les citoyens.
    I miti, le fiabe, fino a molti cartoni animati dei nostri giorni non sono forse affollati di personaggi positivi che esibiscono virtù e caratteri non troppo diversi dai personaggi di questi due libri? Certo, certo, la realtà è un’altra cosa. Ma anche un personaggio lontano anni luce dal secolo XVII e dalla guerra Russo-nipponica come Philip Marlowe non è forse un’incarnazione di quei valori trasposta in una società cinica e violenta come quella dell’America anni ’50?


    Allora forse si tratta semplicemente di accettare fino in fondo il gioco narrativo, trarre piacere dalla finzione di caratteri e codici che non facilmente possono essere praticati nella realtà. Il prezzo da pagare sarà forse quello di «raccontarsi la vita» come Snoopy, infatuato di un personaggio romantico e spavaldo, di scivolare a volte in una vita immaginaria, di narrarsi, oltre che vivere, ma, almeno per quanto mi riguarda, senza questa seconda, invisibile vita non avrebbe molto gusto neppure la prima.

    Fandonie da lettore con la testa tra le nuvole?
    Certo, certo. E poi la vita è un’altra cosa, si sa.
    E allora perché perdete tempo a leggere?

    (1) da notare che quest’ultima parte del libro, dedicata alla Russia rivoluzionaria del 1905 fu completamente espunta in un’edizione ridotta del libro di Thiess pubblicata da Paravia negli anni ’60. Come dire che l’Italietta democristiana riusciva ad essere persino più anticomunista dei 3° Reich….

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