Biblioteca. I libri ritrovati
Ho trovato qualche tempo fa su una bancarella dell’usato uno dei libri che hanno probabilmente più contribuito alla nascita della sf e in particolare della Space Opera. Si tratta de I primi uomini nella Luna, romanzo datato 1901 e più volte apparso in Italia – anche se al momento esaurito –, tra l’altro anche nell’edizione BUR Rizzoli datata 1958 che ho casualmente ritrovato. I primi Uomini nella Luna fa parte di quel gruppo di romanzi scritti da H.G.Wells tra il 1895 e il 1901 che comprende La macchina del Tempo (1895), L’isola del dottor Moreau (1896), L’uomo invisibile (1897) e La guerra dei Mondi (1898), tutti romanzi ancora notissimi e oggetto di numerosissime edizioni e di non poche riduzioni cinematografiche. I primi uomini nella Luna fa parzialmente eccezione alla lunga serie di pellicole girate a partire dai romanzi wellsiani, infatti dal romanzo furono tratti in tutto due film, il primo muto, girato da Bruce Gordon nel 1919, The first men in the Moon,, il secondo nel 1964 da Nathan Juran – e con un finale che non ha molto a che vedere con il libro dal quale è stato tratto – , Base luna chiama Terra. L’ipotesi che sia una eventuale minore qualità del testo a giustificare la sua minor fortuna cinematografica è ovviamente lecita, ma sospetto che i motivi reali siano da un lato l’organizzazione della vicenda, nella quale uno scienziato geniale ma distratto – Il dottor Cavor – viene convinto da un affarista dilettante – Mr. Bedford – a costruire (di nascosto) una piccola astronave spinta da una propulsione che oggi chiameremmo “antigravitazionale”, dall’altro la conclusione francamente disperante e amara della vicenda, con il povero Cavor esiliato per sempre tra gli insetti intelligenti del nostro satellite. Ma vediamo, velocemente, la trama.
Mr. Bedford, nel tentativo di sfuggire ai suoi numerosi e agguerriti creditori si nasconde in un cottage in campagna, cercando di scrivere un testo teatrale con il quale conta di recuperare un minimo di quibus e di salvare la propria situazione personale e finanziaria. Ma a disturbare i suoi sforzi di commediografo ogni giorno, più o meno alla stessa ora, appare uno strano individuo:
Era un ometto corto, dal corpo tondeggiante e dalle gambe magre, agitato da movimenti a scatti […] Egli non si stancava di gesticolare con le mani e le braccia e di dondolare la testa, mentre gli usciva dalle labbra un continuo ronzio.
Si tratta del dott. Cavor, curioso genere di scienziato, erudito (ma, particolare non secondario, non colto), geniale e appassionato, monomaniacalmente teso alla ricerca di una sostanza «opaca» alla gravitazione – la cavorite – e quindi in grado di sfuggire alla gravitazione terrestre. L’incontro tra i due, il commediografo fallito e l’inventore di genio, diviene ben presto una realtà e i due, dopo alcuni esperimenti – dei quali uno li conduce vicinissimi a un risultato molto più che catastrofico –, giungono infine a progettare e costruire la loro nave, una grossa biglia metallica, che opportunamente guidata li condurrà sul nostro satellite. Per Bedford, un curioso tipo di furbastro che, se vivesse in questi anni in Italia, sarebbe con ogni probabilità un accanito estimatore del cavalier B., lo scopo fondamentale della nave è quello di produrre denaro, rendendo lui e secondariamente il dottore gli uomini di gran lunga più ricchi al mondo. Questo non significa, ovviamente, diventare amici e infatti il rapporto tra i due non va mai oltre il connubio tra le fissazioni dell’inventore/ scienziato e i desideri venali di Mr. Bedford. Il viaggio è relativamente breve e i nostri giungono sulla superficie della luna all’alba di uno dei giorni lunari, equivalenti a quindici giorni terrestri. Hanno così modo di scoprire che sulla Luna le piante – come del resto l’atmosfera e l’acqua – seguono un ciclo bimensile, nascendo, riproducendosi e fruttificando nel breve periodo di irradiazione solare per poi prepararsi alla lunga notte e a una temperatura molto vicina allo zero assoluto.
[…] le vegetazioni che avevamo visto nascere, crescevano intorno a noi sempre più alte, più folte e più intricate. Le piante spinose, i cactus verdi e massicci, gli altri vegetali carnosi e fungosi, i licheni dalle forme sinuose e strane, sembravano moltiplicarsi all’infinito…
Il primo incontro con i seleniti non tarda molto. Si tratta di soggetti in apparenza dediti unicamente al lavoro di condurre al pascolo creature smisurate: i vitelli lunari. In breve, tuttavia, i nostri, inebriati da un fungo dalle caratteristiche allucinogene finiscono catturati dagli indigeni.
Dava l’impressione che non avesse una faccia e tuttavia avrei preferito che fosse una maschera […] Non vi era un naso, e quel coso aveva due occhi sporgenti ai lati… Credevo che avesse le orecchie. Ma orecchie non erano… […] Vi era una bocca piegata all’in giù, come una bocca umana in una faccia dall’espressione feroce.
I seleniti, presentati e descritti da mr. Bedford, vivono all’interno della luna e sono creature chiaramente ispirate alle società di insetti esistenti sul nostro pianeta. I rapporti tra loro e i loro ospiti umani si risolvono ben presto in una quantità prodigiosa di equivoci e incomprensioni e in una serie di scontri, fughe, risse e inseguimenti, fino a quando mr. Bedford non riesce a ritrovare il veicolo con il quale sono giunti e a ritornare sulla Terra, lasciando il povero dott. Cavor alla mercé dei seleniti. Particolare non privo di significato, Bedford è riuscito a portare con sé alcune sbarre d’oro lunare che, vendute sulla Terra, gli permetteranno di saldare i suoi debiti e dedicarsi a una vita da rentier. Ma la vicenda non termina qui, Trascorso qualche tempo Cavor riesce a rimettersi in contatto con la Terra e a raccontare del suo incontro con i vertici della società lunare, fino all’udienza concessagli dal Gran Lunare in persona.
I seleniti hanno una grande varietà di forme […] [e] sono anche, secondo Cavor, enormemente superiori agli uomini in fatto d’intelligenza, di moralità e di saggezza sociale. […] La luna è, in realtà, un vasto formicaio, nel quale [vivono] centinaia di varietà di Seleniti, con molte gradazioni fra una varietà e l’altra.
L’udienza si rivelerà però fatale per il futuro del rapporto tra la Terra e la Luna. Cavor, infatti, spiegando la storia della civiltà umana alla principale autorità lunare non può nascondere l’importanza e il peso della guerra e della violenza nella storia umana, una condotta incomprensibile per i seleniti, cresciuti in una società di individui differenti e per i quali ogni mestiere o attività personale è determinata da una differenza fisica predefinita dalla società selenita. I seleniti, inorriditi, interromperanno i loro contatti con la Terra e impediranno al povero Cavor di riferire ai propri simili la formula della cavorite, determinando la fine dei rapporti interplanetari. Un finale amaro. Una vicenda che non trova alcuno scioglimento, lasciando le due razze isolate e potenzialmente ostili in un universo smisurato e indifferente. Un segnale particolarmente evidente della visione pessimista di Wells sul futuro dell’umanità, incapace di governare le immani forze e i possibili pericoli suscitati dal progresso della scienza.
I limiti del romanzo sono nella sua struttura indecisa e nettamente spezzata in due, con una prima parte vivace, al confine tra la vaudeville e lo juvenile avventuroso e una seconda parte affidata alla voce del dottor Cavor dove non solo si raccontano gli aspetti essenziali della vita dei seleniti – mettendo tra l’altro in ridicolo la rigida separazione in classi tipicamente britannica – ma si avanzano riflessioni e osservazioni sulla società umana che tuttavia rimangono “isolate” dal contesto del libro. In sostanza I primi uomini nella Luna appare essere stato concepito come un divertente romanzo d’avventura con due personaggi tipici e un prosieguo serio e talvolta inquietante che i due personaggi nati nella prima parte si rivelano incapaci di animare. Il rapporto tra il Dott. Cavor e mr. Bedford è, da questo punto di vista, esemplare. I due sono differenti per classe sociale e formazione intellettuale, per interessi, passioni, visione del mondo, considerazione per gli altri e rispetto per loro. Bedford si rivela curiosamente affine al mr. Griffin de L’uomo invisibile, come lui scarsamente interessato ai suoi simili – come, del resto, agli alieni; il dott. Cavor, d’altro canto, è come Griffin talmente interessato a essere finalmente valutato dal mondo della scienza da rischiare la propria vita e, negli esperimenti sulla cavorite, anche quella dell’intero pianeta. Manca – e non si tratta di un difetto, sia chiaro, ma di una constatazione – un eroe, ovvero un personaggio disinteressato e nobile, generoso e coraggioso senza essere temerario: un elemento curioso per un romanzo di quegli anni. I personaggi di Wells sono indubbiamente realistici ma sembrano mancare di una curiosità essenziale: quella per qualunque forma di vita non umana, il che, paradossalmente, significa scarso interesse per qualunque forma di vita tout–court. Quanto alla società dei seleniti, descritta ahimé frettolosamente dal buon dott. Cavor, è una società di formiche modificate secondo uno stile molto inglese: a tratti curiose, talvolta temibili, ma accuratamente private delle caratteristiche in qualche modo «empatiche» che avrebbero potuto creare simpatia o partecipazione nei lettori. I seleniti hanno costruito una società «perfetta», come tale inaccettabile per la specie umana. Non esiste, per Wells, possibilità di comprensione o di reciproca simpatia tra le diverse specie. I suoi seleniti sono semplicemente una varietà di alieni un po’ meno pericolosa dei marziani de La guerra dei mondi, ma altrettanto incomprensibili e con i quali un accordo è impossibile, così come appare impossibile o meglio, non consigliabile, un rapporto economico che risulterebbe fatale per i seleniti. Torna a comparire, in sostanza, la diffidenza e la delusione di Wells nei confronti dell’Impero britannico che la guerra boera, in atto in quegli anni, dovette rafforzare e rendere più cocente.Il problema del rapporto tra le società aliene e la società umana rimase però al centro della letteratura fantascientifica e della speculazione antropo-sociologica degli anni a venire. Altri autori – e mi limiterò a ricordare Ray Bradbury, Iain M. Banks, Ursula K. Le Guin, C.I.Cherryh, Gregory Benford, Alan Dean Foster, Joe Haldeman, Norman Spinrad, Sheri Tepper, Larry Niven, Donald M. Kingsbury – raccontarono dei possibili alieni e delle loro possibili civiltà, permettendoci così di prendere posizione e giudicare per contrasto la nostra società, ricreando così il meccanismo narrativo che Wells utilizzò tra i primi. H.G.Wells, da questo punto di vista, è stato un precursore che è fondamentale conoscere. Ci aiuterà a comprendere il senso reale della migliore Space Opera, quel genere di sf che spesso, sotto i panni di un semplice e innocuo divertimento crea dubbi, riflessione, diniego e in qualche caso resistenza.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.