Jacques Chessex (1934 – 2009 ) nacque nel Cantone di Vaud, nella Svizzera romanda. Saggista, critico letterario, poeta, romanziere, scrittore per l’infanzia e pittore, Jacques Chessex è considerato uno dei più grandi scrittori di lingua francese e il maggiore autore svizzero. Nel 1974 vinse , unico autore svizzero, il Prix Goncourt con il romanzo L’Ogre(L’orco) Nel 1999 ricevette il Grand Prix du langage français e il Grand Prix du rayonnement français de l’Académie Française; nel 2007 ebbe il Grand Prix Jean Giono e Nel 2002 la Legion d’Onore francese.
Nell’opera di Chessex si intrecciano in maniera indissolubile le dolorose esperienze famigliari, l’insofferenza per la rigida religiosità e il perbenismo ipocrita della sua gente, un profondo senso della propria diversità e solitudine, la consapevolezza che lo scrittore è testimone del proprio tempo.
Alcuni dei temi peculiari dello scrittore hanno radici lontane: il padre, professore a Losanna e poi suicida, nel 1956 fu accusato di molestie sessuali; l’eco di questa vicenda ritorna in molte opere di Chessex, insieme a quello della miscela esplosiva di passionalità segreta e perbenismo pubblico della comunità nella quale egli ha scelto di vivere, (stabilendosi per trent’anni proprio a Ropraz, che fa da sfondo a uno dei suoi romanzi più famosi), così come la contrapposizione dolorosa tra un cupo senso del sacro e le passioni più profane, la laboriosa quotidianità degli abitanti e una sessualità spesso intrisa di follia. Lucido illuminista, Chessex indaga il mondo con occhio da antropologo, studiando i sui simili e portando allo scoperto verità private indicibili ben nascoste dietro un moralismo ostentato che conduce la gente a condannare ferocemente, a espellere dalla comunità il peccatore pubblico.
La sua opera fece scandalo sin dal 1967, quando pubblicò, a 33 anni, La confession du pasteur Bourg, storia di un pastore rigoroso fino all’ossessione, che cambia la propria vita in nome della passione amorosa. Per quel testo Chessex venne accusato di offesa alla morale calvinista e rischiò di non poter più insegnare. Identiche reazioni suscitarono l’Orco, Il vampiro di Ropraze, ultimamente, Un ebreo per esempio,nel quale lo scrittore ha riesumato l’episodio – realmente accaduto nel 1942 nella natia Payerne, cittadina della «neutrale» Svizzera – di un agricoltore ebreo fatto a pezzi, chiuso in un contenitore per il latte e gettato nel lago da una gruppo di simpatizzanti nazisti locali.
Di seguito le recensioni a due romanzi di Chessex, alle quali aggiungerò quelle di prossime letture.
Il vampiro che oggi va di moda è «igienico» e immateriale. È immancabilmente un bellissimo ragazzo […] appena uscito dalla messa in piega quotidiana; si veste da Armani […] Il mio vampiro è invece brutale. Ed è colui che portiamo tutti dentro di noi. (J. Chassex, intervista di M. Sacchi.)
La vicenda, realmente accaduta, de Il vampiro di Ropraz si svolge nel 1903 nel villaggio di Ropraz (alto Jorat del cantone del Vaud), dove settant’anni dopo Chessex andrà a stabilirsi. In un febbraio gelido, il paese ancora assediato dalla neve, Rosa Gillièron, giovane e bella figlia di un giudice, muore di meningite. La morte della ragazza colpisce dolorosamente la gente di Ropraz, perché padre e figlia, benché colti, aperti e quindi «diversi» dai compaesani, erano amati e rispettati per la loro gentilezza e compassione. Seppellito nel cimitero di Ropraz, il corpo di Rosa viene orribilmente profanato due giorni dopo; i resti sembrano finiti nelle grinfie di un Jack the Ripper dedito al cannibalismo. Nel giro di pochi giorni l’intera Svizzera e molte città europee sbattono il mostro in prima pagina: «Il vampiro di Ropraz», «il profanatore», «il bevitore di sangue del Bois des Tailles»… Le indagini della polizia locale girano in tondo e nel frattempo i corpi di altre due giovani morte di recente vengono scoperti sconciati e mutilati.
Il gonfalone di Ropraz |
Dopo settimane di caccia al colpevole, dopo che i sospetti hanno minato le rigide regole di convivenza della comunità e rovinato educati rapporti di vicinato, dopo che calunnie, vendette personali, rivalità politiche e condanne sommarie hanno tirato in ballo gente più o meno «strana» e soprattutto estranea al gruppo, viene inchiodato il ventenne Charles – Augustin Favez, un tizio che i seguaci più retrivi di Lombroso avrebbero mostrato con soddisfazione:
… ha ventun anni, ne dimostra il doppio, strano corpo, testa sfuggente, alcolizzato, vizioso, taciturno. E si diverte con le nostre bestie.
Grande e grosso, quasi muto, pallido e con gli occhi iniettati di sangue, soggetto ad «assenze» e alcolista, il disgraziato ha alle spalle una storia atroce di abbandono, fame, abusi nella famiglia affidataria, violenza. Per lui si chiede la pena di morte.
La storia di Favez e del suo lungo processo, un caso mediatico che dalla Svizzera si allarga all’Europa positivista della belle époque,intrecciandosi a quella di Albert Mahaim, psichiatra seguace di Charcot e fondatore a Cery di un istituto psichiatrico modernissimo con reparti di geriatria e fattoria modello per il recupero dei malati meno pericolosi. Convinto che Favez sia una vittima, Mahaim si adopera per salvarlo.
Ma in carcere Favez incontrerà anche un altro personaggio, insospettato e inquietante, sospeso tra una follia complementare alla sua e una pietas distorta verso il «mostro».
La vicenda del «vampiro» è una storiaccia da cui molti lettori distoglierebbero volentieri lo sguardo, piena di «cattivi» e povera di gente apprezzabile; cadendo in mani sbagliate, la storia di Favez e delle sue orripilanti passioni avrebbe potuto diventare la pessima sceneggiatura di un B-movie hard-core venato di horror maldestro. Chessex, invece, ne ha fatto una strana novella, sospesa tra racconto popolare, surrealismo letterario, crime story e puntuale documento giornalistico; per l’attenzione che dedica alla ricostruzione della scena del crimine, alla psicologia dei personaggi, al contesto sociale, Il vampiro di Ropraz ricordaIl caso Redureau di Gide o anche A sangue freddo di Truman Capote.
Anticonformista e comunista, Chessex ha sempre dimostrato un’attenzione esasperata per i lati oscuri della psiche umana e della sessualità, cui probabilmente non è estraneo il trauma, vissuto nella prima gioventù, del suicidio paterno.
Come altri connazionali, da Fleur Jaeggy a Robert Walser, Chessex racconta il lato oscuro di una Svizzera ben diversa dalla nazione pacifica e ricca che tutti immaginiamo. Chi ha letto le opere di Glauser ritroverà in questo romanzo le atmosfere soffocanti di paese, il moralismo e l’attaccamento feroce a quella che Verga definì «la roba». L’aspetto veramente peculiare di Chessex è l’ipersensibilità ai temi del sacro e della colpa, alla vena di calvinismo esasperato e cupo, al timore di perdere la grazia, che cova nelle vallate del Vaud.
Abitazioni disseminate spesso in luoghi deserti attorniati da alberi scuri, villaggi stretti dalle case basse. Le idee non circolano, la tradizione pesa… S’impiccano in molti, nei casolari dell’alto Jorat. Nel fienile. Alle travi di colmo. Tengono un’arma carica nella stalla o in cantina.
[…]Si fa molta attenzione quando si assume un vagabondo per la mietitura o per le patate. È lo straniero, il ficcanaso, il ladro. Anello all’orecchio, sornione, il coltello a serramanico infilato nello stivale. […] Ci si barrica nella testa, nel sonno, nel cuore, nei sensi, ci si rinchiude nel casolare, con il fucile pronto, l’anima ossessionata e famelica.
E la follia si propaga. E la paura. Chi si è intrufolato nella soffitta? Chi ha camminato sul tetto?
Perfettamente adeguato all’ispirazione, lo stile è davvero notevole: lirico e suggestivo in alcune pagine, freddo e documentaristico in altre, capace di descrivere un’anima colpita in profondità nell’infanzia, come una pianta costretta a crescere contorta per appropriarsi di quel po’ di luce che consente una stenta sopravvivenza.
Se è impossibile provare affetto per Favez, o anche solo comprenderne parzialmente le pulsioni, è ugualmente impossibile non intuirne la sofferenza e la paura, tanto sono ben raccontate da Chessex, che alla fine ci conduce – combattuti fra un tranquillizzante disgusto e una sorta di riluttante pietà – a com-patire il «vampiro».
Così il medico commenta il suo caso:
In questi luoghi deserti, il sintomo del vampirismo durerà finché questa società sarà vittima dell’abiezione primitiva: sporcizia dei corpi, promiscuità, isolamento, alcol, incesto e superstizioni che infestano le nostre campagne e che creeranno focolai di abusi sessuali e di orrore senza pietà.
Altro che Svizzera da cartolina, con le mucche tutte linde e il cioccolato buonissimo… E del paradiso fiscale (Ziegler, La Svizzera lava più bianco, Mondadori 1990) che ne è stato? Ecco, dovremmo fare attenzione, noi che viviamo in Padania o almeno ai suoi confini: si comincia col sognare la Svizzera dei dané e si finisce col realizzare una Svizzera dei forconi levati contro chiunque sia «straniero»…
Ambientato nei primi anni Settanta a Losanna, sul lago, L’Orco è un romanzo apparentemente meno cupo e raggelante del vampiro di Ropraz. Il professor Jean Calmet, timido scapolo trentottenne, amante della letteratura e amato dai suoi studenti, vive in una città piena di stimoli culturali percorsa da una ventata di sana contestazione giovanile, circondato da colleghi e da allievi pieni di vita e tutt’altro che ipocriti e bigotti. Tuttavia, tempo due pagine e il lettore è già invischiato nei sensi di colpa e di inadeguatezza del protagonista: il padre di Jean, apprezzato medico di famiglia, pilastro della comunità, salvatore dei propri pazienti devoti è appena morto e il figlio, che verso il genitore ha sempre provato un irrisolvibile amore-odio, già lo vede ovunque, tornato dall’Aldilà per divorarlo come Crono. L’ambiguo sentimento che ha legato il figlio, intellettuale ripiegato su se stesso, al padre sanguigno, dall’appetito e dalla sessualità debordante (come ben sa la servetta di casa per la quale Jean ha provato una pallido amore) ha nutrito il genitore di dispetto e disprezzo verso questo suo debole ragazzo e Jean di sensi di colpa e di impotenza. Persi nello sfondo gli altri figli – che si sono dileguati non appena possibile 0 e la madre, una donnetta perennemente terrorizzata dal marito, al quale ha tutto perdonato legata a lui da una sorta di servaggio che in qualche modo a ha conformato al sua vita, tanto da lasciarla orfana e completamente sola alla morte di lui.
Fin dall’inizio del romanzo, Jean è destinato al fallimento, ossessionato dal richiamo della morte e dalla certezza del proprio peccato; eppure, la vita sembra regalargli una chance mettendo sulla sua strada una graziosa e vitale studentessa nella quale sembrano incarnarsi la nuova più libera femminilità e il desiderio giovanile di rompere la gabbia di perbenismo costruita per loro (oltre che per sé) dagli adulti. La ragazza, però, ha quasi metà degli anni di Jean e dopo una parentesi di confidenza e attrazione gli preferirà un coetaneo studente di Calmet…
Losanna, il divoratore di bambini |
Con la sua tipica, meticolosa e impietosa empatia, Chessex mette in scena una tragedia famigliare e individuale, che però non può essere compresa fino in fondo senza esaminare la comunità di adulti (colleghi, preside, genitori) nella quale Jean è immerso: il senso perenne di colpa di Jean è l’altra faccia del moralismo, la passione timida e dai contorni sfumati del professore è l’altra faccia degli appetiti della comunità, convogliati verso l’avidità e il benessere, desideri più accettabili e meno disdicevoli della passione sessuale.
Giunta all’ultima pagina ho chiuso il libro con una certa insoddisfazione; rispetto alla cupa ma a suo modo tagliente e nitida atmosfera del romanzo precedente, questa sofferenza a basso voltaggio, questo dramma immerso negli anni ormai lontanissimi della contestazione giovanile mi è sembrato un po’ meno consistente; il padre-orco mi è parso, talvolta, se non più comprensibile almeno meno perdente del figlio. Ho messo il romanzo da parte e ho atteso. A distanza di mesi, devo ammettere che valeva la lettura. Calmet è il figlio malato di una famiglia e di una collettività malata, non posso fare a meno di pensare che i vitali studenti contestatori – ritratti azzeccati di persone simili a quelle conosciute in quegli anni o poco dopo – al termine della ventata di proteste siano tornati nei ranghi, diventando più simili agli adulti di quanto avrebbero immaginato. Altrettanto avidi, forse, e ipocriti, e convinti di aver guadagnato nel cambio.
Jacques Chessex no. Ha continuato a destare scandalo e a interrogare se stesso e noi sulla dimensione privata e pubblica della nostra umanità, contestato e criticato ferocemente, fino alla fine.
E non è mica poco.
Cominciate dal suo Vampiro di Ropraz, comunque, se volete davvero conoscerlo.
qui una breve intervista all’autore
Jacques Chessex,
Il vampiro di Ropraz
Fazi, Le strade, pp. 92, € 14,00
anche in ebook
Trad. M. Ferrara
Jacques Chessex,
L’orco
Fazi, pp. 217, € 17,50
Trad. M. Ferrara