Somerset Maugham è considerato l’uomo più malvagio e detestato del suo tempo (diciamo ben oltre la prima metà del Novecento, visto che è nato nel 1874 e morto nel 1965, a Nizza, smisuratamente ricco, devastato dall’Alzheimer e naturalmente solo. (La Stampa.it cultura, 02/01/2011)
Questo giudizio di Mario Baudino – solo apparentemente sommario, come dimostra l’intera biografia dello scrittore – coglie bene il pensiero di molti, conoscenti e amici compresi, che conobbero da vicino William Somerset Maugham, maestro del racconto, grande romanziere e autore di testi teatrali. Le sue opere hanno attratto una infinità di registi che ne hanno tratti, talvolta, film memorabili. Hanno anche diviso pubblico e critici tra entusiasti e…..; ne è un esempio questa frase del critico, giornalista e poeta statunitense Edmund Wilson, riferita allo stile di Maugham:
… talmente intessuto di cliché che il lettore si stupisce per l’abilità dello scrittore di metterne insieme così tanti e per la sua incapacità di scrivere in modo originale.
Di solito, giudicando un autore, è assolutamente necessario separare la dimensione privata e quella artistica, cosa abbastanza difficile nel caso di Somerset Maugham, che spesso parlò di se stesso raccontando i suoi personaggi e, nel caso di numerosi racconti, divenne personaggio vero e proprio, in un gioco di specchi letterario, utilizzando come narratore in prima persona proprio uno scrittore e – per bocca sua – polemizzando obliquamente con i critici del tempo e con autori suoi contemporanei,personaggi fittizi che il narratore incontra di volta in volta. Fu lui stesso, nel 1938, a riconoscere questa relazione ambigua tra fittizio e reale:
Nelle mie opere realtà e finzione sono così intrecciati che, guardando indietro, riesco a malapena a distinguere l’una dall’altra.
Ne sono esempi Schiavo d’amore (1915) – romanzo autobiografico che descrive l’infelicità e l’ansietà provata durante l’adolescenza e la gioventù e narra le esperienze di Maugham come studente di medicina – e Ashenden, or the British Agent (1928), un gruppo di racconti – che tra l’altro ispirarono a Fleming la figura di James Bond – per i quali Maugham attinse alle proprie esperienze come agente del British Intelligence Service durante le due Guerre mondiali.
Dietro il suo piacevole stile da affabulatore, comunque, si nascondeva un grande scrittore, nonostante gli eccessi del suo carattere e un certo cinismo, sempre esternato con ironia e classe; al nipote Robin, autore di una sua biografia, dichiarò
Alla mia età capita che amici e conoscenti ti muoiono attorno come mosche. Ma forse c’è il suo lato buono. Diminuiscono i rischi di querele.
Che conferma la sua abitudine di saldare attraverso la narrativa i conti personali. Ma di William Somerset Maugham narratore non si può dire che bene. Lo dismostrano due raccolte di racconti che mi hanno tenuto compagnia per molte sere.
La prima è Una donna di mondo, pubblicata da Adelphi, un gruppo di 10 racconti che non deludono. Spesso le donne sono protagoniste eccessive e spesso terribili, ma a loro modo affascinanti e traboccanti di umanità (spesso la peggiore).
Il primo racconto, L’impulso creativo (1926), è forse il più esemplificativo dell’ironica e signorile polemica che Maugham ingaggiava spesso nei confronti dei critici e degli autori a loro incensati. Ne è protagonista Mrs Forrester, una scrittrice indicata come «la regina del punto e virgola» per l’uso affascinate e rivelatore dell’arcano segno di interpunzione. La regale autrice è una scrittrice di nicchia:
… sebbene ricevesse dai critici grandi lodi (tanto da ritenerle ormai dovute), il pubblico era sempre rimasto stranamente insensibile ai suoi meriti. Quando usciva) ogni nuovo libro[…] tutte le persone di cultura lo leggevano e lo elogiavano, ma, a quanto pare, le persone di cultura non comprano libri, e quindi lei non vendeva.
[In America] L’accoglienza della stampa era stata lusinghiera., a riprova del fatto che in America le menti più eccelse sono sensibili al talento; ma quando gli era stato offerto il terzo libro l’editore americano […] aveva detto all’agente che piuttosto avrebbe speso i soldi in gin sintetico.
Attorniata da un manipolo di «talenti in erba», soggetti per i quali sembra avere molto fiuto, e da ospiti occasionali quali ambasciatori e uomini politici, la gran donna trascorre pomeriggi e sere intellettuali conversando d’arte, ma soprattutto spettegolando sui primi ospiti a levare le tende, dopo aver signorilmente fatto il pieno di buon cibo e buon vino pagato da quella «nullità» del prosaico e cortese Mr Forrester.
Lo sviluppo successivo della vicenda renderà indimenticabile Mrs Forrester, capace di macinare senza pietà qualunque spunto della vita reale a proprio beneficio, ma segnerà, con grande soddisfazione del lettore una vera svolta per il futuro della coppia.
Il grano straniero (1931) è un terribile (anche se con finale un po’ forzato) apologo sul conflitto fra aspettative famigliari e possibile carriera artistica, ma anche sul groviglio inestricabile tra finzione sociale, desiderio di essere ammessi nella cerchia carismatica della nobiltà inglese e radici culturali ed etniche differenti. La sensibilità moderna può scorgervi una certa condiscendenza venata di antisemitismo – ma non bisogna dimenticare che negli anni Trenta il termine razza non era stato messo al bando – ma Maugham non risparmia nulla neppure ai connazionali.
Anche ne L’elemento umano (1930) e ne La moglie del colonnello (1946) traspare la polemica con l’ambiente letterario del suo tempo, ma l’autore vi dipinge due grandi anime femminili, capaci di oltrepassare le convenzioni sociali, anzi di minarle dall’interno con la loro semplice presenza, mentre i due principali personaggi maschili si rivelano ottusi, frigidi e impastoiati nelle leggi dell’apparenza, incapaci l’uno di lottare per la propria passione e l’altro semplicemente di provarne.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta è invece il ritratto di una donna intelligente e ironica che ha imparato a convivere con le regole sociali ambigue e sdrucciolevoli del tempo. Colpita nei propri affetti sa/deve affrontare la cerchia di amici e conoscenti ipocriti, che possono tollerare l’adulterio ma non la sofferenza che ne consegue.
Un’altra donna eccessiva e insopportabile è la protagonista di La voce della tortora (1935). Lungi dall’essere mite come la tortora che immaginano molti lettori – ma non gli etologi, che la considerano capace di attaccare con ferocia i propri simili – la Falterona, grande e meravigliosa soprano, è egocentrica fino alla spudoratezza e veramente detestabile eppure candida e talmente brava da redimersi attraverso la la propria arte.
Sosteneva di essere ungherese, ma parlava un inglese perfetto con lievissimo accento straniero (quando se ne ricordava) e, dicevano, con la cadenza tipica di Kansas City. […] Con me non era spontanea (cosa al di sopra delle sue possibilità)ma comunque più schietta che con chiunque altro. Nutriva un innato e salutare disprezzo per la letteratura (che a suo giudizio era un colossale bluff) e un’intima e divertita simpatia per tutti coloro che riuscivano a farla digerire al pubblico.
La dozzina tonda è un racconto leggero, imperniato su una figura maschile tanto vitale nella propria carognesca attitudine da risultare simpatico. È però anche una perorazione distaccata e sottotono della condizione delle donne perbene, mai libere di essere se stesse e di scegliere la propria vita, facili prede delle illusioni affettive.
Il tesoro è un delizioso racconto basato sull’ipocrisia e sulla forza delle barriere sociali che, almeno qualche volta, possono essere intelligentemente gabbate, regalandosi qualche piccolo ma trasgressivo sentimento.
Infine Mayhew. niente più di un brevissimo bozzetto, è il ritratto di un uomo singolare, nella propria normalità, «retto e piacevole, dall’intelligenza acuta», capace di fare qualcosa di veramente sorprendente, un apparentemente colpo di testa, conquistandosi serendipicamente una vita diversa.
Ben tradotto, e bello da vedere – come sono sempre i volumi della Biblioteca Adelphi –, il libro ha un solo difetto: non riporta le singole date di pubblicazione di questi racconti scritti fra il 1924 e il 1946. Un peccato editoriale non proprio veniale verso chi, per esempio, si accosti per la prima volta allo scrittore, soprattutto tenendo conto dell’evoluzione sociale avvenuta in quel ventennio, che diventa davvero cruciale per un racconto come Il grano straniero.
La seconda raccolta, fortunosamente trovata su una bancarella di libri usati, è Racconti dei Mari del Sud, edito nel 2006 da La Stampa, Collezione d’autore, su licenza di Einaudi (1995).
I sei racconti, scritti tra il 1921 e il 1932, sono ambientati tra Malesia e Polinesia. Il cuore di ognuno di essi è una passione che consuma dall’interno chi la prova: il fanatismo religioso in Pioggia (1921); un amore basato sulla complicità e l’affetto ma incapace di tollerare l’ombra del passato in La forza degli eventi (1924); l’antipatia che si vena di astio verso un superiore troppo dissimile in Mackintosh (1921), la convinzione, infranta, di condividere un amore speciale, spirituale e superiore a ogni altro in Scelte (1931); un adulterio quasi involontario e l’odio e insieme il desiderio di perdonare che esperienze del genere si portano dietro in L’angolo più remoto della terra (1931); un desiderio non corrisposto e le conseguenze dell’odio e dell’umiliazione provati in Neil Macadam (1932).
Diversi nei temi e nello sviluppo narrativo i racconti sono tutti dominati dalla consapevolezza di essere figli di un impero in disfacimento e relegati agli antipodi del mondo inglese – letteralmente in the back to beyond, che è anche il titolo originale del penultimo racconto – eterni esiliati nonostante tutti i tentativi di vivere «come se», rispettando le regole della madrepatria.
A tener prigionieri i personaggi maschili e femminili sono convenzioni differenti: il coraggio, il fair play, la padronanza delle proprie emozioni fino a raggiungere l’indifferenza; per le donne si tratta invece dell’irreprensibilità, della capacità di rimanere al proprio posto a maggior gloria del consorte, di nascondere fino all’inganno o, talvolta, alla censura totale della propria sofferenza; in entrambi i casi le convenzioni sono ormai gusci vuoti che imprigionano senza più garantire la consapevolezza del dovere compiuto. Chi deroga, chi non rispetta le convenzioni, di solito viene emarginato, come la sguaiata ma allegra prostituta di Pioggia, schiacciata dal senso del peccato, distruttivo e autodistruttivo, di un terribile missionario; o come il protagonista maschile di Scelte, che non è stato all’altezza delle aspettative proprie e della moglie. O come Mackintosh, signore e padrone della comunità indigena che amministra, grossolano e capriccioso che alla fine si dimostrerà molto migliore del suo assistente. Fortunatamente, almeno talvolta, barlumi di una distaccata saggezza, pur sempre condita di un’ironia che sconfina nel cinismo, riescono a consigliare a chi è impastoiato nelle regole una strada differente e il ricorso a una più benevola ipocrisia:
La natura umana è per lo più assurda e meschina, ma se la vita le ha insegnato il significato della tolleranza troverà più occasioni di sorridere che di piangere. ( L’angolo più remoto della terra).
Una considerazione degna del Maugham umanamente migliore, cosa che ahimè l’autore non è sempre stato. Meglio comunque non coltivare illusioni: la natura umana è davvero assurda e meschina, anche e soprattutto quando si ispira a rigidi principi religiosi, come appunto fa abitualmente il missionario Davidson:
Gli indigeni non possedevano minimamente il senso del peccato […] Infrangevano i comandamenti uno dopo l’altro e non erano coscienti di stare compiendo il male. Ritengo che proprio quello sia stato il mio compito più difficile, infondere in loro il senso del peccato.
Onestamente non posso che essere d’accordo con il suo interlocutore,
– Davidson è un dannato ficcanaso …
Maugham di se di sé, nella prefazione a Creatures of circumstance: «Non ho mai preteso di essere qualcosa di diverso da un narratore di storie»
E come narratore seppe essere grandioso, molte volte profondo, e descrivere esseri umani credibili anche se sorprendenti, con le loro debolezze, crudeltà e paure e con qualche piccola virtù.
Infine vorrei citare una frase di Meyhew che, a una prima lettura, mi era piaciuta per la chiarezza priva di rivelazioni che hanno certe considerazioni di buon senso.
Può darsi che il libero arbitrio non esista, ma possiamo sempre illuderci del contrario.
Mi è tornata in mente con un sussulto leggendo un articolo dell’ultimo numero de Le Scienze, intitolato Un mondo senza libero arbitrio (1), che riassume i molti studi degli ultimi decenni sul libero arbitrio umano e suggerisce che questa illusione sia necessaria per mantenere in salute qualunque società umana.
per un elenco ragionato delle opere di W. Somerset Maugham. Numerosi link permettono di leggere i racconti in lingua originale.
Qui per ulteriori possibilità di letture in lingua originale.
William Somerset Maugham, Una donna di mondo e altri racconti
Adelphi, Biblioteca, 2013, pp. 245, € 18,00
Trad. S. Sollai
William Somerset Maugham, Racconti dei Mari del Sud
Einaudi Supercoralli, 1995, pp. 252
Trad. P. Novarese
disponibile su ebay
Sadie Thompson esercitò una notevole suggestione sul mondo del cinema: il personaggio venne interpretato nel 1928 da Gloria Swanson , nel 1932 da Joan Crawford e da Rita Hayworth nel 1953.
Una trasposizione libera del racconto è il race movie del 1946 Dirty Gertie from Harlem U.S.A.
1) Le Scienze, Agosto 2014, pp. 58 – 61
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