
Avvertenze:
Shadowbahn è un libro difficile, che ci chiede di sospendere l’incredulità e di accettare un dubbio che si ripresenta ad ogni svolta della narrazione. Se vi piacciono le storie che procedono in maniera lineare, non pasticciano con il presente e non offrono alternative al passato recente, se amate i romanzi mainstream o almeno quelli che appartengono dichiaratamente a un solo genere… aprirete Shadowbahn a vostro rischio e pericolo. Questo non è un romanzo realistico e non è un romanzo dichiaratamente di genere, è un lento turbine immaginario che afferra chi legge e lo spinge a continuare.
Tuttavia, se vi piacciono le pagine ben scritte e le storie on the road, esplorare quest’opera di Steve Erickson potrebbe darvi molto. Shadowbahn è un romanzo profondamente americano, pieno di riferimenti alla cultura e alla musica degli Stati Uniti e a tutti quegli episodi che ne hanno segnato profondamente la storia e non hanno ancora trovato la pace della risoluzione.
L’autore suddivide la sua opera in quattro parti che non segnano confini netti, i personaggi li attraversano, talvolta incrociandosi, spesso vivendo in mondi separati.
Le parti sono fitte di capitoli lunghi una o due pagine, e presentano vesti grafiche diverse: giustificazione, allineamento a sinistra o a destra, giustificazione con restringimento a mezza pagina, suddivisione in colonne, lunghi elenchi.
Non nego che queste scelte siano disorientanti e che spingano chi legge a interrogarsi: «perché lo fai, autore? Che cosa vuoi dirmi?» Personalmente ho deciso di continuare a leggere lasciando i dubbi a dopo. Cominciamo.
Uno Shenandoah

Il camionista Aaron viaggia spesso sta viaggiando nelle Badlands del South Dakota dove la lunga strada che conosce bene scorre fra paesaggi surreali. Guida ascoltando vagamente la musica che passa la radio e si guarda attorno:
«La Highway 44 pullula di bandiere della Disunione, sempre più numerose man mano che Aaron procede verso ovest.»
Ci sono cascata e ho fatto una ricerca in rete: “bandiere della disunione”. Nessun riferimento contestualizzabile. E così ho capito, in fondo io frequento il fantastico: il romanzo racconta di un altro mondo!
Deve averci pensato anche Aaron quando, molte ore dopo, si è bloccato in mezzo alla strada gridando a chiunque sia nei pressi: «Ehi! Spiegatemi un po’ quelle».
Quelle, si ergono dalla gola vulcanica e chiunque le avrebbe riconosciute, perfino noi italiani.
«Sono le cose più alte che la maggior parte delle persone abbia mai visto […] I due monoliti puntano verso il cielo, benché minacciosamente ancorati a terra». Non solo, dalle Torri Gemelle, emana qualcosa: «Non capisce se la musica proviene dalle Torri o dalla terra che le circonda.»
Alla fine, riconosce vagamente la canzone che sta ascoltando: Return to Sender (Elvis Presley, 1962).
Coraggio, siamo appena agli inizi.
Le due Torri diventano un’attrazione turistica con risvolti mistici: chiunque intraprende questo pellegrinaggio profano, ascolta musiche differenti, alcuni sentono soltanto miscugli di suoni.
«Qui nelle Badlands, non rimangono altro che le Torri, le raffiche di vento, il granito e la polvere attorno alle massicce basi di quasi quattromila metri quadrati…»
Ma le Torri non sono vuote. Al novantatreesimo piano dell’edificio sud una presenza prende vita: è qualcuno che certamente non si trovava a New York il 12 settembre 2001: Jesse Garon Presley, il gemello mai vissuto di Elvis, primo fra i tanti doppi del romanzo. Jesse sale sul tetto dell’edificio: «il Nato nell’ombra ha spiccato un salto e – agli occhi di chiunque altro ne sia stato testimone sul tetto della Torre – è sparito nel nulla, passando dal futuro a un altro passato nel quale Elvis non esisterà e nemmeno la Sun Records e quindi nessun rock’n’roll. I Beatles avranno soltanto un quarto d’ora di notorietà in Germania e nessuno potrà colmare il vuoto di queste perdite.

Nel frattempo, il testo segue diramazioni sempre più ampie, raccontando vite tangenziali di altri personaggi, come quella della sceriffa locale, inviata a esplorare la Torre sud, che vagando nella penombra silenziosa, la mente piena di una musica che si sforza di ignorare, ricorda all’improvviso la terribile violenza razziale di cui è stata testimone da bambina.
Un’altra coppia, la più vivida del romanzo, è formata da Parker, ventitreenne bianco, e Zema, quindicenne etiope adottata anni prima dalla famiglia di lui. Benché complesso a causa delle esperienze differenti, il loro rapporto è intenso e profondo.
Ispirati ai figli di Erickson e versione adulta dei due bambini protagonisti di un precedente romanzo dell’autore (These Dreams of You), i due si spostano da Los Angeles al Michigan per raggiungere la madre. Viaggiando, ascoltano la gigantesca playlist regalata loro dal padre. Quando Zema viene a sapere dell’apparizione delle Torri decide di cambiare destinazione, così anch’essi incrociano i territori della Disunione e imboccano la Shadowbahn, entrando in un altro mondo.
«Parker è sicuro che se appena accelerasse lo fermerebbero, un bianco poco più che ventenne nel pericoloso territorio della Disunione con a bordo una quindicenne nera che è sua sorella, ma nessuno ci crede».
All’inizio del viaggio, che comincia in Uno e continua in
Due supersonik

«i telegiornali trasmettevano continui reportage di scontri lungo la ferrovia con la National Guard, chiamata a strappare ai secessionisti il controllo del treno chiamato Southwest Chief […] avevano avvistato un carro merci in fiamme, baluginante come una pira vichinga all’alba»
Intanto nel resto del Paese accade l’impossibile:
«quando fratello e sorella arrivano ad Amarillo, tutta la musica tranne la loro è scomparsa da ogni emittente televisiva e radiofonica, da ogni casa, da ogni automobile. Tutta la musica è svanita dall’etere, evaporata nel pieno delle trasmissioni come bruma al sole […] tutta la musica tranne la Camry ibrida di Parker e Zema […] Trentasei ore più tardi, […] tutti quanti nel Midwest sanno che su quella Camry viaggiano gli ultimi resti della canzone americana.»
Da piccola, Zema pareva canticchiare perennemente tra sé, ma alla fine la madre aveva dovuto ammettere che il corpo della bimba funzionava come un trasmettitore, captando i programmi radiofonici del padre anche a distanza di chilometri. Piano piano Zema si era “spenta”, ma ora ricomincia, amplificando la playlist, inserita nel cellulare. Non può certo disfarsene, è l’ultimo ricordo del loro padre, un pensiero
«carico non solo di scoramento e strazio, ma di dolore, il dolore di chi piange da una vita, per la fonte perduta di quella vita, per la famiglia perduta che non ha mai conosciuto e la famiglia trovata della quale non si è mai sentita parte»
Tre a un tiro di schioppo

Saltato dalla Torre Sud nel 2021, Jesse atterra alla Factory nel 1966, ed è lì che lo ritroviamo, un paio d’anni dopo, tra gli adepti di Andy Warhol, Valerie Solanas compresa, in presenza di uno strano signore in sedia a rotelle, vittima di una malattia degenerativa; ha meno di cinquant’anni, e un tempo doveva diventare presidente degli Stati Uniti. Si presenta come Jack e sa chi è Jesse:
«Ciò che io e te abbiamo in comune», gli dice, «è che ciascuno di noi avrebbe dovuto essere qualcun altro. Lo capisci, vero.», poco prima gli ha detto: «Tu hai cambiato tutto.»
Ovviamente. L’autore non poteva rinunciare alla grande questione irrisolta, a questo rimorso collettivo. Otto anni prima, in un 1960 alternativo, Jack si è proposto come candidato democratico alla presidenza e per un pelo non ce l’ha fatta. Il dialogo tra Jack e Bob e quello più sornione fra Jack e Jesse sono piuttosto suggestivi. Nella terza parte c’è posto anche per un John Lennon redivivo.
Quattro desamor

La quarta parte, soprattutto nelle prime pagine, è contorta ed eccessiva… come tutto il romanzo, del resto. Tra citazioni musicali, sogni e allusioni al conflitto tra bianchi e afroamericani, il romanzo si avvia alla conclusione con sprazzi di ironia e, nel finale, con un tentativo abbastanza riuscito di chiudere il cerchio e riportare un po’ di equilibrio in quel mondo disastrato che probabilmente non è comunque il nostro.
Nel romanzo emergono molti temi cari a Erickson: quello della genitorialità e delle responsabilità che comporta, il tema preminente dell’America, del suo sgretolamento politico, della fragilità della civiltà, degli errori che ha commesso e che dovrà riparare per trovare pace. E quello onnipresente della musica, forza aggregante e testimone della cultura e delle tradizioni di un popolo.
Indubbiamente, il pubblico italiano può perdersi fra i mille riferimenti, i titoli, le allusioni a canzoni non nominate, ad avvenimenti non sempre conosciuti. Pubblicare Shadowbahn è stato un azzardo apprezzabile da parte dell’editore.
Mentre sfogliavo il testo per recensirlo ho cercato e spesso trovato testi e musiche che non ricordavo o non conoscevo. Riconoscere e ascoltare tutte le canzoni citate potrebbe essere un viaggio complementare nel romanzo.
Steve Erickson, Shadowbahn, Il Saggiatore, La cultura 1172 [2018], ril. pp. 312. € 21,00, trad. Michele Piumini
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