
Ritorna in libreria un grande classico del fantastico. È Il Figlio della notte di Jack Williamson, pubblicato originariamente nel 1940 sulla rivista Unknown e poi ampliato in un volume del 1948 uscito per la Fantasy Press, il cui titolo originale era Darker Than You Think. Il Figlio della notte è stato pubblicato per la prima volta in Italia nei Romanzi di Urania (n. 4 – 20 novembre 1952), nella traduzione di Tom Arno, pseudonimo di Giorgio Monicelli, fondatore della collana. Approda ora nella Piccola Biblioteca del Fantastico edita da Fanucci, con un’illustrazione di copertina di Antonello Silverini, un’introduzione di Carlo Pagetti e una nuova traduzione di Ginevra Bianchini.
Per chi non lo conoscesse, Jack Williamson è stato il “decano della fantascienza”. Nato in Arizona nel 1908, iniziò a scrivere nel 1926, lo stesso anno in cui venne pubblicata rivista di fantascienza Amazing Stories di Hugo Gernsback. La sua prima storia, “The Metal Man”, fu pubblicata nel 1928 proprio sulle pagine di Amazing. Dopo essersi laureato con una tesi sulla fantascienza di H.G. Wells, dal 1960 al 1977 fu professore di inglese all’Eastern New Mexico University, dove tenne lezioni di scrittura creativa e fantascienza anche dopo il suo pensionamento. Vinse i premi Nebula, Hugo e John W. Campbell e nel 1975 fu nominato secondo Gran Maestro della Fantascienza dalla Science Fiction Writers of America – il primo era stato Robert A. Heinlein. Tra le altre cose coniò i termini terraforming (“terraformare”), androids (“androidi”) e genetic engineering (“ingegneria genetica”). Fu autore di 65 romanzi, tra cui molti classici della fantascienza come Gli umanoidi e La legione dello spazio, oltre che di centinaia di racconti. Nella sua carriera non smise mai scrivere: basti pensare che il suo ultimo romanzo, The Stonehenge Gate (2005), è stato pubblicato a novantasette anni, un anno prima della sua morte.

Ne Il Figlio della notte seguiamo le vicende di Will Barbee, un giornalista che all’inizio del romanzo deve scrivere un reportage sull’arrivo della spedizione del professor Mondrick dalla Mongolia. Sembra un normale impegno nella noiosa routine del protagonista, se non fosse per due eventi cruciali che cambieranno per sempre la vita di Barbee. Il primo è l’incontro con la femme fatale April Bell, una giovane e attraente collega dai capelli rossi. Il secondo è la morte dello stimato professor Mondrick, antropologo di fama mondiale, per quello che sembra un attacco di asma. È la prima di una serie di morti che coinvolgerà gli amici di Barbee, tornati dalla spedizione in Mongolia. Il professor Mondrick aveva sensazionali scoperte da annunciare. Una di queste è una misteriosa cassa rinvenuta tra i segreti sepolti nel deserto del Gobi, agli albori della civiltà. Proseguendo nella sua indagine, Will Barbee verrà a conoscenza della lotta millenaria tra l’Homo sapiens e l’Homo lycanthropus, una specie umana dotata di poteri paranormali che si credeva sconfitta e che invece ha tramato nell’oscurità per la distruzione dell’umanità e la vittoria delle forze oscure che si compirà con l’imminente venuta di un Messia oscuro, il Figlio della notte.
L’ultima parte del romanzo è un crescendo di suspense e azione, anche se la tensione viene smorzata da un finale che potrebbe lasciare insoddisfatto il lettore. Williamson si dimostra un ottimo costruttore di trame: benché siano passati più di ottanta anni dalla sua pubblicazione, il romanzo non sembra particolarmente invecchiato. La trama, attraverso un continuo susseguirsi di colpi di scena – soprattutto nella parte finale –, riesce a tenere il lettore incollato alle pagine, impaziente di vedere finalmente svelati i segreti e gli interrogativi sollevati dalla lettura. Quello che all’inizio sembra uno science fantasy incentrato sui mutaforma diventa un horror ricco di echi lovecraftiani, rintracciabili in tutto il romanzo. Come rileva l’interessante introduzione di Carlo Pagetti, Lovecraft è indubbiamente «uno degli ispiratori de Il Figlio della notte» (p. 14) e la sua presenza oscura aleggia in tutto il romanzo. Non è un caso che negli anni ‘30 Williamson fosse tra i collaboratori della storica rivista Weird Tales, le cui pagine avevano ospitato molte opere di H.P. Lovecraft e del suo circolo letterario. Molti personaggi di primo piano de Il Figlio della notte sono scienziati (antropologi in particolare), come i protagonisti di molte opere del Solitario di Providence. Altro tema tipicamente lovecraftiano è la presenza di scoperte scientifiche o archeologiche talmente sconvolgenti per l’umanità da portare alla follia o alla morte, a «orrore e pazzia» (p. 312), segreti che sarebbero dovuti rimanere nascosti, «cose che non avrebbero dovuto trovare» (p. 199). Convivono elementi sovrannaturali che trovano apparente spiegazione nelle pseudoscienze e una visione razionalistica e probabilistica della realtà che deve lasciare il posto a forze irrazionali e caotiche. Interessante notare come nella finzione del romanzo il razionalismo sia in realtà fomentato dalle forze del male, in modo da poter agire indisturbate nell’ombra senza che nessuno sospetti la loro presenza. Alla base di questo romanzo è la lotta dell’uomo con i suoi impulsi più bestiali.

Per tornare all’introduzione, «un ulteriore elemento, che va definito pseudorealistico, riguarda l’uso abbondante del discorso scientifico, che si tratti di paleontologia, di archeologia, di antropologia, o di psicanalisi». Un uso della divulgazione scientifica che Pagetti definisce «ciarlatanesco» (p. 14), in quanto si spinge ben oltre i limiti della plausibilità per entrare nel campo del fantastico. Ne Il Figlio della notte si fa spesso riferimento a poteri paranormali, controllo mentale delle probabilità (utilizzato dalle streghe per manipolare la realtà) e agli studi parapsicologici sui poteri extrasensoriali (ESP) condotti dalla Duke University. Queste ricerche ed esperimenti – oggi bollati come “pseudoscienza” – furono effettivamente compiuti negli anni ‘30 da J.B. e Louisa Rhine proprio alla Duke University. Sempre agli anni ‘30 risalgono i contatti di Williamson con la psicanalisi. La presenza della psicoanalisi nel romanzo è di primaria importanza, e spesso viene usata come spiegazione a fenomeni irrazionali o paranormali. Come disse Williamson in un’intervista a Larry McCaffery pubblicata su Science Fiction Studies (Vol. 18, Part 2: July 1991), Il figlio della notte
«fu scritto effettivamente mentre ero sotto analisi, e sotto molti aspetti riflette la situazione psicoanalitica che stavo vivendo in modo abbastanza diretto. È interessante notare, però, che la prima cosa che il mio psicanalista mi disse quando iniziai il processo psicoanalitico fu di smettere di leggere Freud. Cosa che feci. Perciò mentre scrivevo Il Figlio della Notte, non stavo tentando deliberatamente di scrivere un romanzo freudiano».
Non aspettatevi la classica storia sui lupi mannari. A dire il vero, i licantropi, in questo romanzo, sono più propriamente dei mutaforma, che possono trasformarsi in qualunque animale, dalla tigre dai denti a sciabola allo pterosauro. E la dinamica stessa della trasformazione è piuttosto originale, perché assume i tratti di una esperienza extracorporea, che il protagonista ricorda come se fosse un sogno. Le spiegazioni di Williamson attingono a un ampio bacino mitologico e antropologico: storie sulla licantropia sono da sempre presenti in tutte le culture del mondo. Nelle Metamorfosi Ovidio racconta la storia di Licaione, trasformato in lupo da Zeus. Nel Satyricon di Petronio troviamo una storia dell’orrore con protagonista un licantropo, chiamato dai latini versipellis, cioè “che muta pelle”, perché si credeva che in questi esseri la pelliccia del lupo crescesse sotto la pelle umana ed emergesse solo durante il plenilunio. Nel Medioevo era diffusa la paura per il lupus hominarius, mutuato poi in “lupo mannaro” nella nostra lingua. Alla mitologia norrena appartengono invece il lupo Fenrir, figlio mostruoso di Loki, gli úlfheðnar e la storia di Sigmund il Volsungo.

Se anche voi siete curiosi di scoprire chi sarà il Figlio della notte, colui che condurrà le forze del male alla vittoria sull’umanità, leggete questo romanzo di Jack Williamson. Giorgio Monicelli, il primo traduttore de Il Figlio della notte, lo definì «un romanzo senza precedenti nella letteratura del soprannaturale».
Jack Williamson, Il Figlio della notte, Fanucci, Piccola Biblioteca del Fantastico [2022], pp. 348, € 15,00, trad. Ginevra Bianchini
Si ringrazia l’Ufficio Stampa Fanucci per aver gentilmente inviato una copia del libro al recensore.
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