
Kij Johnson è un autrice statunitense la cui produzione tradotta in italiano è formata da un racconto (Battibecco) uscito su un numero della rivista Robot, da un romanzo breve, Quel ponte sulla bruma, del 2011, edito da Delos nel 2020 e La ricerca onirica di Vellitt Boe (2016), pubblicato da Edizioni Hypnos.
Sinceramente, avendo letto i due romanzi sopra citati, non posso dirmi un fan scatenato della nostra Kij, – pur giudicandola una persona capace di ispirare un’istintiva simpatia, perlomeno sulla base di una sua partecipazione a un dibattito on line – ma si tratta di un’autrice comunque interessante, piacevole e curiosamente gradevole nel raccontare le strane vite dei suoi personaggi. Molto probabile che ciò che è disponibile in Italia dia un’idea quantomeno molto parziale della sua produzione, che vede come costante della sua estetica la mitologia giapponese, in particolare quella centrata sulla figura della Kitsune, la donna-volpe.
La ricerca onirica di Vellitt Boe (the Dream-Quest of Vellitt Boe) riprende i temi di The Dream-Quest of Unknow Kadath, di H.P.Lovecraft, scrivendone una versione al femminile, ambientata nella Terra dei Sogni e riutilizzandone luoghi, mostri e dei, dai ghoul dell’amato HPL al deserto di Leng alla città di Celephais. Vellitt Boe è un’insegnante del collegio femminile di Ulthar che parte alla ricerca di Claire Jurat, una delle sue migliori allieve, presumibilmente fuggita dalla Terra dei Sogni per raggiungere il Mondo della Veglia, passando attraverso la Soglia del Sonno Profondo, posto sul monte Hatheg-Kla. La Boe si mette alla ricerca della giovane, conscia della sua importanza per preservare l’equilibrio del loro mondo. Dopo diverse avventure, vari incontri e scontri con i mostri che montano la guardia al confine tra i due universi, Boe riesce infine a ritrovare Claire nel Mondo della Veglia e la convince a riprendere il suo posto nella Terre dei Sogni, anche se la sua impresa non sarà indolore per lei.
Indubbiamente piacevole, soprattutto per la tendenza sorprendentemente imprevedibile di raccontare la vicenda valendosi di un registro volutamente dimesso, quasi familiare o – volendo – minimale, ovvero agli antipodi di ciò che avrebbe scelto Lovecraft. Con tutto ciò il romanze breve si legge con piacere, tenendo compagnia al lettore anche nei momenti più intricati e complessi. E probabilmente è proprio questo modo inatteso di raccontare un mondo e una vicenda ambientati in un universo profondamente alieno, inventato dall’autore di Providence, ad aver fruttato a Kij Johnson il World Fantasy Award 2017.

Vincitore dei Premi Hugo e Nebula edizione 2012 è stato The Man Who Bridged the Mist (Quel ponte sulla bruma), pubblicato in Italia nel 2020. Vi si narra di un fiume che taglia in due l’Impero e
«che non è come tutti gli altri fiumi. Nel suo letto non scorre acqua, ma Bruma: una sostanza strana, forse viva, […] corrosiva e imperscrutabile».
A costruire il ponte che unirà in maniera definitiva le due metà dell’Impero viene chiamato Kit Meinem di Atyar, un architetto giovane anche se non alle prime armi. Il suo rapporto con il fiume di Bruma – e con la gente che vi ha a che fare quotidianamente, in primo luogo i traghettatori – diventa ben presto prevalente rispetto a qualunque altra abitudine quotidiana. Kit passa il tempo a studiare la Bruma e a valutare nuove soluzioni per la costruzione, cercando di stabilirne la natura profonda, e valutando le diverse voci della gente che vive sul fiume di Bruma, dei pescatori e della fauna che la popola, dei piccoli pesci e dei grandi pesci, forme oscure che talvolta compaiono davanti o sotto il piccolo traghetto che lo conduce da un lato all’altro del fiume.
Il suo rapporto con gli abitanti delle due rive del fiume di Bruma finisce per complicarsi – o per avere una svolta positiva – quando Kit si innamora (quasi fatalmente) di Rasali de’Barcaioli di Trasbruma che così ragiona di se stessa:
[…] Amo e odio questo tuo ponte. Mi struggerò per la bruma, per il bisogno di attraversarla. […] Se avrò una figlia, non dovrà prendere la decisione che è toccata a me. attraversare la bruma e morire, o restare al sicuro su un lato del mondo e non vedere mai l’altro. Perderà qualcosa. Guadagnerà qualcos’altro.

Un libro indubbiamente gradevole ma nel quale si avverte la mancanza di una rottura, di un momento di crisi reale che permetta di ripensare l’intera vicenda e la situazione di Kit e degli abitanti sul fiume. L’ho letto attendendomi – probabilmente in maniera infantile – che i misteriosi grandi pesci della Bruma assalissero gli abitanti e lo stesso Kit o Rasali o che il ponte crollasse nel fiume non appena terminato. Nulla di tutto ciò, solo qualche vago dubbio e una tensione che attraversa il testo senza sfociare in qualcosa di descrivibile. Rimane la storia dell’architetto Meiner, dei suoi dilemmi nella costruzione e del suo contrastato rapporto con la barcaiola Rasali: una piccola storia che può divertire il lettore anche se non riesce a condurlo altrove.
Kij Johnson, La ricerca onirica di Vellitt Boe, Ed. Hypnos, coll. Visioni 7, 2018 [ed.or.2016], pp. 125, ill., € 12,90, trad. Luca Tarenzi
Kij Johnson, Quel ponte sulla bruma, Delos digital, Odissea Argento, 2020 [ed.or.2011], pp. 142, € 15,00, trad. Marco Crosa
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