Un trasloco richiede fatica ma può riservare belle sorprese, come il ritrovamento di questa notevole raccolta di saggi, impreziosita dalla dedica di Franco Pezzini e ora riempita di mie sottolineature e punti esclamativi a matita.
Per chiarirne il contenuto riporto l’indice.
– Sandro Moiso, Ripartire dal ‘68 (o dal 1848?)– Immaginario, conoscenza, potere e rivoluzione
– Sandro Moiso, Dall’estremo Occidente– Da John Henry a Trump passando per Mirafiori: il capitalismo e il suo riflesso nel Mito americano
Franco Pezzini, Le lenti, lo specchio e i vetri della finestra – Il fantastico come linguaggio-laboratorio e macchina per pensare
Luca Cangianti, FantaMarx– Critica dell’economia immaginaria
Gioacchino Toni, Zombie (e ) immaginari– Metafore politiche della figura del living dead
Alessandra Daniele, La verità è nell’occhio di chi guarda– “Chi controlla la percezione della realtà, controlla la realtà” (Philip K. Dick)
Avendo assistito alla presentazione torinese del volume ero preparata a letture intriganti, ma il piacere è stato al di sopra delle previsioni.
L’obiettivo del volume è sottolineare che l’immaginario non è il frutto di una delle tante attività del pensiero umano, bensì «costituisce e riassume in sé tutte le formulazioni del pensiero e dell’attività intellettuale». Non è una sovrastruttura ma il luogo mentale in cui noi viviamo e agiamo: politica, letteratura, arte, economia, scienza sono suoi territori. Liberandolo dai condizionamenti che la società, in primis quella dello spettacolo, gli impone, potremo davvero concepire altri futuri e quindi cambiare un presente che non è affatto immutabile.
Nonostante la varietà dei titoli, la raccolta è molto compatta perché gli autori, diversi per provenienza, formazione ed esperienze (caratteristiche preziose), hanno in comune una lunga collaborazione con la webzine «Carmilla», che si occupa da sempre del rapporto tra immaginario e politica.
Ricchi di citazioni, i vari capitoli si collegano fra loro, componendo un ampio panorama che tenterò di descrivere.
Nel primo saggio, Sandro Moiso parte dal Sessantotto, ricordandoci che lo slogan più diffuso del Maggio francese fu «L’immaginazione al potere» e che una scritta in qualche modo profetica, comparsa sui muri della nell’Università di Nanterre, recitava «Mancare d’immaginazione significa non immaginare ciò che manca»Ma stiamo parlando dell’altro secolo, dirà qualcuno, di concetti vecchi e superati. Sicuri? Forse non li abbiamo superati ma perduti per strada, tanto da non riuscire più nemmeno a immaginare quel tanto che veramente ci manca.
Probabilmente in questo non saper immaginare ciò che oggi ancora manca è racchiuso tutto il dramma di una sinistra che sta scomparendo dall’orizzonte politico condiviso da milioni di esseri umani, non solo per assenza di lotte (che pur ci sono, numerose e diffuse), ma soprattutto per mancanza di un immaginario nuovo, adatto a seppellire nelle coscienze e nell’inconscio l’attuale modo di produzione e, successivamente, nella realtà.
Nel suo secondo saggio, Moiso ricostruisce il Mito americano che, nell’ultimo dopoguerra, – poggiato sui fondi del piano Marshall e ben gestito dal capitalismo italiano (FIAT in testa) – fece presa sull’immaginario dei proletari italiani.
dall’altra parte dell’oceano era pronto da servire e già ben confezionato un modello ideale di società: ricca, consumistica, «democratica» e in cui il successo individuale poteva essere raggiunto attraverso il duro lavoro e il rispetto delle regole del mercato della proprietà privata.
Un sogno che, negli anni del boom economico, il neocapitalismo italiano prese come valore assoluto e che raccontava un futuro avvicinabile, fatto di consumo di beni, di automobili ed elettrodomestici, di suburbi piccolo borghesi dove i proletari avrebbero potuto entrare nell’american way of life.
Credettero al sogno americano tutti «quei cittadini del Meridione d’Italia che avrebbero preso […] i treni del sole, per raggiungere le industrie del Settentrione così avide di manodopera a basso costo».
A veicolare il sogno e tutto ciò che ne conseguiva contribuì significativamente la rivista «Illustrato FIAT», nata nel 1953 e tuttora prodotta.
Distribuito a tutti i dipendenti sia in Italia che all’estero, il giornale ricalcava iniziative analoghe delle più moderne aziende oltreoceano (come Ford Times e la «Rivista Esso») e citava riviste americane come «Reader’s Digest»; contribuì, negli anni del boom economico e successivamente, a una sorta di colonizzazione dell’immaginario non solo politico ma anche economico e culturale. Suo scopo dichiarato era:
d’illustrare ai lavoratori le attività realizzatrici dell’Azienda – risultato collettivo dell’opera comune – e di tener vivo il sentimento della colleganza, della cooperazione, lo spirito di corpo del lavoro FIAT.
Un passato sul quale vale la pena riflettere. Ma, continua Moiso, anche negli ultimi anni, giungono forti spunti dall’estremo Occidente. Per esempio, «cos’ha fatto sì che un progetto grossolanamente delineato come quello del finanziere Donald Trump abbia potuto attirare il voto di milioni di cittadini americani?»
Intervistati sull’argomento nel 2016 alcuni operai bianchi risposero che l’aspetto che preferivano di Trump era “Hard Work”.
Trump e il duro lavoro hanno ben poco in comune, ma stiamo vedendo all’opera uno dei peggiori equivoci su cui fa leva il capitalismo, e cioè che lavorare duro sia la condizione naturale dei lavoratori e che, il patto stretto con il “padrone” sia uno scambio “giusto”, un dovere sociale del quale essere fieri.
Che lo scambio sia in realtà sfruttamento, e che il salariato sia oggi due volte ingannato, convinto com’è che la sua libertà risieda nel consumare, è una delle dimostrazioni più chiare del non vedere ciò che ci manca. Moiso e gli altri autori torneranno, più volte e da differenti punti di vista, sull’argomento.
Il saggio di Franco Pezzini è un testo di ampio respiro che illustra l’importanza dell’immaginario come laboratorio per interpretare il mondo. Inizia con una panoramica sullo stato della narrativa fantastica in Italia, spesso molto più viva di quanto dicano i numeri delle vendite in libreria, grazie all’attività, spesso molto accurata, di piccoli e piccolissimi editori. In questa prima parte l’autore si sofferma in particolare sugli studi effettuati tra gli anni Ottanta e oggi, che, tra gli altri meriti hanno quello di averlo sdoganato e portato nelle scuole, cancellando i pregiudizi del passato:
L’insegnante del nostro liceo che nel 1979 poteva bollare di stupidaggine – vampiri… – quello che in realtà è uno splendido apologo sulla crisi dell’Europa, Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (con un conte vampiro che pare uscito da L’urlo di Munch e l’uomo senza qualità Harker che, vampirizzato, scompare al galoppo nell’ultima scena – «Avrò molto da fare, ora» – prefigurando in qualche modo la vittoria finale della mediocrità e i vampiri del mondo-azienda che conosciamo) oggi avrebbe almeno qualche strumento in più per riflettere.
Ampliando il proprio discorso, che coinvolge molti autori italiani (vi invito a ri-scoprirli nel saggio), Pezzini invita a considerare che il fantastico
non è tanto un contenuto quanto un modo di narrare e di guardare […] perché anche una narrazione apparentemente priva di contenuti «altri» può svelare sottofondi, echi, paradigmi del fantastico.
parliamo di immaginario, di strutture dell’immaginario, qualcosa che cova sotto i nostri discorsi quotidiani, ma anche sotto i dibattiti pubblici e prima ancora in ciò che non è «dibattito», come un non-detto ambiguamente presupposto sotto la soglia critica, influendo in modo anche pesante nelle nostre vite personali e in quella comunitaria.
L’autore ci regala poi pagine molto lucide dedicate a scrittori e opere paradigmatiche, a cominciare da Howard Phillips Lovecraft, un grande del fantastico novecentesco con le luci e le ombre che lo circondano, a Bram Stocker e soprattutto a Sheridan Le Fanu con la sua Carmilla di cui Pezzini dice:
Una storia senza buoni, insomma, ma che anche per le sue ambiguità continua a parlarci: una macchina per pensare che obbliga a confrontarci con la complessità.
Mi congedo dallo scritto di Pezzini con un’ultima, significativa citazione che, tra l’altro, si riallaccia al direttamente saggio successivo:
quando a fine 1847 viene scritta la celebre frase «Uno spettro si aggira per l’Europa» subito dopo il Secondo Congresso comunista di Londra, per un lettore di lingua britannica è immediato connettere la metafora a un personaggio popolarissimo, una creatura spettrale e ribelle a zonzo nel Vecchio Continente che da due anni intrattiene le classi popolari con le sue avventure. Varney the Vampyre; or the Feast of Blood è apparso in forma anonima proprio tra il 1845 e il 1847, in fascicoli settimanali, i cosiddetti penny dreadful.
Una informazione che rende omaggio all’onnivora cultura letteraria di Marx.
E ora tocca a Luca Cangianti con il suo FantaMarx.
Le prime pagine ci guidano nello studio londinese di Marx. Gli scaffali che tappezzano l’intera stanza, dal pavimento al soffitto, ospitano testi canonici di economia e filosofia, ma anche tanta letteratura di ogni epoca e, sorpresa, «un bel po’ di feuilleton vittoriani», e, manco a dirlo, opere di letteratura fantastica. Inoltre, nella prosa di Marx sono facilmente individuabili «rimandi alla Bibbia di Lutero, alla Divina Commedia, al Faust, a Frankenstein […] al Melmoth Riconciliato di Balzac e massimamente all’intera opera shakespeariana». Nel corso del saggio l’autore suggerisce che:
le molte metafore fantastiche e orrifiche presenti nelle sue [di Marx] opere, lungi dal rappresentare un vezzo meramente retorico, abbiano un valore teorico costitutivo nel rivelare tratti salienti sia del suo lavoro scientifico sia della realtà analizzata.
Con opportune citazioni – da Freud a Stephen King e da Feuerbach alla saga di Freddy Krueger, passando per Todorov e per Rosemary Jackson – Cangianti giunge alla questione nodale del capitolo: l’horror, e più in generale il fantastico, è una letteratura sovversiva che consente di articolare il non detto e dire l’indicibile sul e nel mondo.
Completiamo intanto la più famosa e già citata metafora fantastica di Marx:
Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della Vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro.
Lo spettro del comunismo nasce quindi dal tentativo del capitalismo di rimuovere questa tendenza insita nel suo stesso modo di produrre.
All’inizio del Capitale, Marx sottolinea come il modello di produzione capitalista appaia (ma non sia) una «società armonica di cittadini liberi e uguali che vivono scambiandosi beni e servizi», dove il lavoratore cede la sua forza lavoro e viene ricompensato con un salario che gli permette di vivere e mantenersi. In realtà la forza lavoro produce di più di quanto costi, un plusvalore che equivale allo sfruttamento del lavoratore. Il capitalismo, in pratica, fa sparire lo sfruttamento dal tavolo, mentre nelle società pre-capitaliste esso era ancora visibile sia nelle economie schiaviste sia nelle corvée medievali.
Tra le molte opere esaminate, Cangianti si appoggia al notevole film di John Carpenter Essi vivono (They live, 1988) nel quale gli alieni – camuffati da un ingegnoso e complesso meccanismo – sono “«liberi imprenditori per i quali la terra è solo un pianeta di cui sfruttare le risorse»” giunti nell’Ottocento sul nostro pianeta, che «trattano gli umani come schiavi e accusano i componenti della resistenza umana di essere pericolosi«comunisti». Cosa degna di nota, a smascherare i capitalisti di un altro mondo è un gruppo di resistenti che vivono in una bidonville. Lumpenproletariat, si sarebbe detto un tempo.
Impossibile dar conto della ricchezza delle argomentazioni e delle citazioni di Cangianti, il suo saggio merita una lettura attenta e partecipata.
Il saggio di Gioacchino Toni è dedicato alla figura dello zombie nel cinema, quindi è forse quella di più immediata fruizione. Perché, come dice l’autore nelle prime righe:
Di fronte all’ambiguità del mondo, alla sua inafferrabilità, all’incertezza del futuro, al senso di colpa che proviamo per le sorti del pianeta, il cinema zombie sembra avere la funzione di intrattenerci e di rassicurarci.
In effetti la figura dello zombie ha una grande capacità di adattarsi ai diversi contesti culturali e sociali, facendo presa sull’immaginario collettivo in modi differenti.
In una prima fase, quella di derivazione haitiana e woodoo che, giunta in Occidente e negli States, emerge cinematograficamente grazie al primo film sul tema, l’isola degli zombies (White Zombie, 1932), I living dead sono schiavi sfruttati fin oltre la morte da bokor (sacerdoti) malvagi per scopi personali. Le dinamiche bokor-padrone/zombi-schiavo sono chiara metafora di quelle capitalista/lavoratore sfruttato.
Il mito dello zombie, inoltre, consente al proletariato haitiano di rielaborare in chiave postcoloniale l’esperienza di sfruttamento che sta vivendo.
George A. Romero, con la sua trilogia zombie, sposta notevolmente il punto di vista proponendo “un «quasi vivente» in avanzato stato di decomposizione che non deriva più dall’effetto di un maleficio di uno stregone ma si viene a trovare senza padrone e agisce senza una chiara ragione”. Romero, dice Toni, dipinge un mondo “ove i rapporti sociali sono fortemente compromessi”. Il suo zombie è la metafora perfetta del consumismo vuoto in una società fuori controllo, perché non produce lavoro e sembra sabotare l’ordine sul quale il capitalismo si regge, trasformando cittadini operosi in un branco di divoratori compulsivi e bulimici che si agitano e mordono senza scopo, impossibili da distinguere e disciplinare.
Diversi dei film citati da Toni vanno in direzione di un ulteriore cambiamento, anticipato da Romero stesso con La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, 1973): lo zombie vittima di una malattia che egli stesso propaga.
Una parte ampia del saggio è dedicato alla serie The walking dead, iniziata nel 2010. Citando altri studiosi Toni mette in evidenza le dinamiche all’interno dei sopravvissuti all’apocalisse zombie: sono in atto due differenti punti di vista, un libertarianismo neoconservatore che mira, sia pure con vario grado di scrupoli, a difendere la propria cerchia ristretta: comunità e famiglia, e un gruppo più progressista che vede negli zombie non creature del tutto aliene e diverse, ma vittime casuali nelle quali in qualche modo riconoscersi. Tuttavia, in mancanza della rinascita di qualche forma di organizzazione sociale più ampia, il secondo gruppo tende a scivolare verso il primo punto di vista.
Citando un gran numero di pellicole di questi anni, Toni fa emergere un altro aspetto molto significativo degli zombie che diventa di volta in volta metafora dei timori e delle disforie sociali: il loro essere moltitudine indistinguibile che giunge da un altrove oltremondano e che di volta in volta può seminare il disordine e l’illegalità, sostituirsi ai bravi cittadini, portare la malattia e la violenza… Avrete intuito dove può andare a parare il discorso, vi affido dunque alle lucide argomentazioni di Gioacchino Toni in proposito.
Un’ultima (auto)citazione: esiste anche un tipo di zombie che non è altro dai vivi e non è nostro nemico: quello descritto da John Ajvide Lindqvist in L’estate dei morti viventi:
Gotico inconsueto e quasi privo di effetti gore, il romanzo di Lindqvist punta su uno stile sobrio, sull’attenzione ai personaggi, sui dettagli. Pervaso dal misticismo tipico del genere, L’estate dei morti viventi rinnova la figura dello zombie senza cancellare la valenza etica e politica di un topos nato per rappresentare l’estrema forma della schiavitù.
I testi di Alessandra Daniele, tutti precedentemente comparsi su «Carmilla», sono brevi e fulminanti racconti e corsivi sul potere della propaganda sull’immaginario collettivo. Non posso, a meno di fare un grave torto all’autrice, pescare citazioni qua e là, eliminandone il contesto. Ne scelgo un paio che forse riusciranno a dare lo spirito del suo saggio.
Hollywood ha riscritto la Storia dell’umanità dando a ogni eroe, ogni genio, ogni profeta, reale e/o immaginario, passato, presente e futuro, un volto, un sistema di valori e un accento americano. Da Spartacus a Siddharta, da Leonardo da Vinci a Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell.
E parte la pubblicità. Più o meno gli stessi spot su tutti i canali, più o meno con lo stesso messaggio implicito: siate belli, siate giovani, siate efficienti, sposatevi, fate bambini, tanti bambini. Crescete e moltiplicatevi. Comprate una macchina e una casa più grande.
Pare davvero di vivere in L’uomo subliminale di James Ballard.
Aa.Vv., Immaginari alterati, Politico, fantastico e filosofia critica come territori dell’immaginario, Mimesis, coll. Eterotopie n.518, 2018, pp. 153, prefazione Valerio Evangelisti, € 16,00
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.