Già da molto tempo voltate le spalle alla luce solare,
già da un pezzo lontani dalle terre del mondo conosciuto,
fieri di navigare per le tenebre proibite, per i confini dell’Occidente,
lungo le ultime coste del mondo.Pedone Albinovano, Fragmentum de navigatione
Germanici per Oceanum Septentrionalem
(trad. Massimiliano Kornmüller)
Il cercatore di perle del fantastico non dovrebbe mai abdicare nella ricerca delle terrae incognitae – spesso tali, in realtà, perché frequentate con altri occhi o perché semplicemente dimenticate. Mentre spesso le conoscevano i padri (e madri illustrissime) del fantastico tra Sette e Ottocento: autori che del mondo classico e postclassico, fino al Medioevo, godevano una frequentazione magari mediata, ma appassionata e sensibile alle note del meraviglioso, dell’inquietante, dell’onirico. Proprio avventurandoci lungo tali rotte, qualche esempio può far intuire quali vastità di suggestioni interpellino i lettori disponibili.
Il primo caso ci conduce lontano, alle radici – forse le prime – del mito di Faust. In realtà l’opera, al primo colpo d’occhio, pare tutt’altro: si tratta di un poemetto esametrico in tre libri sulla vita di un santo – ma già i problemi che solleva gettano sul lettore un misto di fascinazione e disorientamento.
Sul piano del genere letterario, la Storia di San Cipriano di Eudocia Augusta proposta da Adelphi (Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 2006, a cura di Claudio Bevegni con un saggio di Nigel Wilson) è una parafrasi agiografica, cioè la trasposizione in versi di un determinato testo agiografico in prosa, ma con una serie di particolarità. Anzitutto è l’unico testo del genere (in greco, tardoantico) giunto fino a noi; i tre libri in cui si divide parafrasano, collegandole, tre opere in origine autonome, cioè Conversio Cypriani, Confessio Cypriani e una Passio relativa ai santi Cipriano e Giustina – una scelta letteraria “insolita e complessa”, come nota il curatore nella bellissima Introduzione – e per di più in redazioni differenti da tutte quelle che conosciamo; il testo della Storia, d’altro canto, è pervenuto solo in parte (l’intero primo libro e un pezzo del secondo) e per ciò che manca dobbiamo affidarci al riassunto offerto dal patriarca Fozio nella sua Biblioteca; inoltre l’edizione ora uscita rappresenta il primo assemblaggio mai pubblicato tra la parte centrale, a stampa sin dall’Ottocento, e quella iniziale, rinvenuta solo nel 1982.
Al di là poi degli aspetti filologici, i dubbi continuano sul contenuto: a partire dalla figura di Cipriano di Antiochia – di discussa storicità e in ambiguissimo rapporto con l’omonimo padre della chiesa di Cartagine – e dalla complessa evoluzione di una leggenda peculiarmente antiochena (di cui per esempio Gregorio di Nazianzo offre una versione più arcaica in un’omelia del 379). Ma anche altri personaggi dell’opera – i pretesi vescovi di Antiochia, il padre della ragazza della vicenda – aprono la strada a un caleidoscopio di suggestioni e problemi di cui rende conto il saggio L’archetipo tardoantico di Faust di Nigel Wilson, che chiude in bellezza l’edizione. E del resto non sappiamo neppure con esattezza perché Eudocia abbia deciso di comporre un simile testo, o perché si sia basata su una leggenda di Antiochia – anche se la critica ha cercato di offrire ai quesiti risposte almeno indicative.
Ma veniamo alla storia, il cui svolgimento è complicato dallo sparigliamento dei fatti tra libri (si diceva) legati a fonti autonome. Cipriano inizialmente è un mago, anzi il campione di una sapienza pagana sull’occulto ispirata dall’inferno: e iniziato a una pletora internazionale di scuole mantiche e streghesche fino a guadagnare l’apprezzamento personale di Satana, ha eletto residenza ad Antiochia di Siria dove gestisce una losca attività conto terzi – e dove appunto lo contatta un cliente, tale Aglaide. Benché ben provvisto di portafoglio e pelo sullo stomaco, Aglaide non riesce infatti a concupire la pia Giusta e il desiderio si è fatto rovello, per cui richiede una prestazione professionale del mago per farsela cadere ai piedi. Baldanzoso, Cipriano si mette all’opera: ma nonostante dia fondo a tutte le proprie risorse magiche e vanti l’aiuto dello stesso Satana, dovrà ammettere a un certo punto che la fede di lei è più forte dei poteri oscuri – donde una crisi e la conversione, poi un nuovo cammino di segno opposto fino a raggiungere il titolo vescovile, e il martirio (con Giusta, ribattezzata Giustina e fatta diaconessa) a Nicomedia sotto Diocleziano.
Eppure la nuda trama non suggerisce che pallidamente l’impressionante potenza fantastica del testo: soprattutto nel pirotecnico Libro II, dove il pentito Cipriano racconta il proprio cammino iniziatico attraverso le più varie agenzie di formazione esoterica – e che presenta un topos, la formazione del mago, ancora ben rappresentato in certi grimori (esemplare il caso del Libro della Magia sacra di Abramelin Mago, presentato come medioevale ma forse assai più tardo). Nella Storia, le visioni delle schiere demoniache sono descritte con toni tra i più originali, allucinati e onirici di tutta la letteratura sull’inferno giudeo-cristiano, ammiccando all’immaginario del più vasto mondo esoterico tardoantico: e la menzione delle ombre diaboliche che costruiscono le proprie illusioni grazie alla “sostanza” sacrificata loro (per un desiderio di visibilità, insieme angoscioso e patetico, che le rende inquietantemente postmoderne) permette all’Autrice di offrire un breve catalogo della realtà virtuale cui sono preposte. Scenari, in fondo, che conosciamo bene.
D’altro canto il registro fantastico non nega spazio all’ironia, involontaria o meno. Si pensi alla scena di Aglaide che abbraccia Giusta a tradimento e viene steso KO dalla gentile donzella; oppure ai goffi tentativi d’imbroglio del diavolo, che come i migliori furbetti del quartierino cerca di piazzare ad Aglaide un’altra ragazza spacciandola per Giusta (peccato non le somigli affatto), poi di dare il sembiante di lei a un demone sottoposto (che però appena viene chiamato col nome della temutissima fanciulla se la dà a gambe). Per non parlare della scena in cui il povero Aglaide, trasformato in uccello per raggiungere la casa di Giusta, a un semplice sguardo di lei recupera sembianze umane restando appollaiato al tetto in precario equilibrio, come in un cartoon di Wile E. Coyote, ed è salvato con comprensibile imbarazzo.
Alcune stranezze del testo, poi, suggeriscono confusioni o edizioni non perfette già dei materiali a disposizione di Eudocia. Il caso per esempio di Cipriano che evocando il demone parla del proprio amore per la fanciulla, svela che era lui – almeno nelle fonti più antiche – il frustrato spasimante di Giusta, e che il personaggio di Aglaide è stato probabilmente inserito nella leggenda in una fase più tarda. Eppure è suggestivo pensare che Eudocia, al di là di un intento di fedeltà alle proprie (problematicissime) fonti, abbia volutamente giocato con frasi un po’ equivoche. Così, a voler cercare una logica interna alla narrazione, forse Cipriano si dichiara interessato a Giusta in funzione strumentale, per essere più sicuro dell’obbedienza del cacodemone; ma la spiegazione non ne esclude un’altra, più sottile, legata a un’attrazione che insorge e invera provocatoriamente, magari contro le intenzioni dello stregone, le sue stesse parole – nel segno di quella sconfitta della magia da parte dell’amore che la letteratura ha più volte proposto. Non solo Faust, insomma, ma Merlino.
Se la fama di Cipriano arriverà fino al dramma di Calderón El mágico prodigioso, un ciarlatano tedesco dovrà subentrargli nell’immaginario collettivo grazie a storie popolari e riscritture di autori del calibro di Marlowe, Goethe e Mann. Ma il paragone non dovrebbe eclissare la straordinaria autrice della Storia, Eudocia (circa 400-460) – una delle poche conservate nel panorama dell’antica letteratura greca, e tra le due sole menzionate da Fozio, come poetessa di primo rango. Demolita dalla critica ottocentesca, l’opera di Eudocia è ormai divenuta oggetto di un’entusiastica riscoperta: e già il personaggio merita un incontro.
Come sappiamo da fonti in gran parte posteriori, che sembrano proporre per lei la favola di Cenerentola (ma la realtà talvolta scimmiotta la fantasia, ed è bello pensare sia questo il caso), Eudocia era una coltissima e bellissima giovane pagana di Atene, e in origine si chiamava Atenaide: restata orfana e trasferitasi a Costantinopoli per una faccenda di eredità, sarebbe stata notata da Pulcheria, sorella dell’imperatore Teodosio II, come partito interessante per l’augusto scapolo. Di lì il battesimo di rito e il cambio di nome, le nozze e l’ascesa al trono bizantino, poi l’inizio degli scontri con l’imperial cognata: e senza cadere nelle immagini stereotipate di una Pulcheria paladina del dogma e di un’Eudocia libera pensatrice, è un fatto che proprio la formazione eterodossa della nostra Autrice dovette renderla sensibile a dottrine non (troppo) allineate (persino con curiose incongruenze, come gli entusiasmi prima per il nestorianesimo, che sminuiva la natura divina di Cristo a favore dell’umana, poi per il monofisismo che sbilanciava il credo in senso opposto) – con adesioni anche scomode e controcorrente. Il resto è ciò che si può immaginare in una corte come quella bizantina: alleanze, altalene di potere con successi e cadute in disgrazia, furiosi sconfinamenti tra politica e religione, forse un rapporto extramatrimoniale (col magister officiorum Paolino) venuto a galla per colpa di una mela frigia come quella di Paride… e l’esilio a Gerusalemme, dove Eudocia vivrà fino alla morte.
I suoi campi d’azione come imperatrice – la politica e la teologia, i pellegrinaggi, l’attività edificatoria – si armonizzarono comunque al profilo di letterata, e più precisamente poetessa, capace di conciliare la forma regia di tale linguaggio, l’esametro omerico, con contenuti e tematiche cristiani. Tra le opere di Eudocia, almeno quelle pervenute, la Storia è senz’altro la più interessante: e se non è questa la sede per un’analisi filologica del testo, basta notare qualcosa della sua estrema originalità formale. Piegando la terminologia omerica (e in realtà di parecchie altre fonti) a una serie funambolica e multicolore di adattamenti, ribaltamenti semantici, reinvenzioni simboliche, Eudocia riscrive in poesia i testi agiografici sviluppandone immagini e potenzialità: per “fare un solo esempio, nella elencazione delle azioni malvagie del diavolo la distruzione di intere città «a passo di danza» […] dipinge l’operato del demonio come una sorta di impressionante ‘danza macabra’” (Introduzione cit., pag. 43). Addirittura, con un gioco linguistico in certo modo provocatorio, spesso gli stessi termini e schemi semantici vengono usati in riferimento a Dio e all’anti-dio diabolico con valore eguale e contrario: un effetto di plausibili influenze gnostiche, che tuttavia non esauriscono il più ampio quadro di suggestioni di questo “straordinario collettore di cultura” (ivi, pag. 48).
Verso lo stesso fantasmagorico mondo di demoni e dei, viaggi esotici e mostruosità frequentato da Cipriano ci traghetta però anche un secondo autore – stavolta moderno. Massimiliano Kornmüller è avvocato (penalista, in Roma) come tanti scrittori classici, e giocoso poeta baroccheggiante sotto il nome d’arte di Titiro Boemo; ma insieme vanta fama internazionale per le sue opere pittoriche e d’incisione. Tra le varie tecniche da lui frequentate spiccano l’encausto (pittura murale o su tavola con colori sciolti nella cera e applicati a caldo), e l’acquaforte: e ciò che emerge è un pandemonio sontuoso e visionario, venato d’inquietudine e a tratti d’ironia. Creature marine, animali immaginari intenti a banchettare con piante altrettanto improbabili, polli (o meglio pulli) dorati e zampettanti, Isidi e dee siriache, icone aureolate di Anubi (che magari regge teneramente un piccolo demone carolingio con testa di cane), sileni e satiri si alternano a bozzetti di giardini conchiusi o spalancati Orienti del viaggio di Alessandro, bozzetti di ville romane o deliri di colonne barocche – figure e luoghi dallo sfondo di infinite letture.
Con questa premessa non stupisce scoprire che, parallelamente all’arte figurativa, Kornmüller abbia voluto partecipare anche editorialmente parecchi testi delle proprie ispirazioni, in specie curando l’edizione di opere rare o molto particolari della latinità classica o anche tardissima: e per esempio, per i tipi Semar, la miscellanea Minimi. Poeti latini minori – Poetae latini minores (con testo originale latino, Roma-L’Aja 2006), su un arco di secoli dall’età sillana all’ottavo dopo Cristo, e in parte inediti nella nostra lingua. Spigolando tra le pagine si incontrano passi di straordinaria fascinazione: a partire dal frammento di quel Pedone Albinovano che con Germanico osò navigare le sconosciute acque dell’Oceano settentrionale pascolo di mostri (“feroci balene e cani marini”) verso chissà quale Thule – quasi in rappresentanza di tutto un filone di navigazioni boreali che dall’antico Pitea del Polmone marino andrà a sfociare nei viaggi di Brandano, Barinto e Macuto all’alba dell’età di mezzo. Tra gli altri esempi sfiziosi della raccolta, vanno almeno citati i frammenti da opere di Nerone imperatore (magari pazzo scatenato, ma poeta di qualche virtù), con il “cupo senso di grandiosa drammaticità che li pervade” (pag. 19), dall’immagine del Tigri che sprofonda nell’abisso sotterra, all’ebbra onomatopea dell’orgia bacchica; oppure la vivida fantasticheria onirica dai Carmina minora attribuiti a Petronio Arbitro. Nella sequela di frammenti mutili, autori dubbi e a volte innominati, non manca neppure un misteriosissimo Turno, sorto da una pergamena marcita tra mani del filologo seicentesco Jean Louis Balzac, “uomo di stato e di lettere, nonché ‘prezioso’ della marchesa di Rambouillet” (pag. 31).
Ma legata a filo anche più stretto agli interessi del citato Cipriano (almeno quello sulfureo prima maniera) è un altro volume sempre 2006 curato da Kornmüller. Colto studioso dell’esoterismo nel mondo antico, l’Autore propone infatti in Etrusca Disciplina, per i tipi di Irradiazioni, la prima traduzione in lingua moderna del Calendario brontoscopico di Publio Nigidio Figulo. Opera problematica che forse conserva genuine nozioni di mantica etrusca, il Calendario associa alle singole date dell’anno (dal 1° giugno al 30 maggio) il presunto significato profetico dei tuoni; e lo sguardo sornione del Traduttore riesce felicemente a evidenziare il sapore onirico e paradossale delle previsioni. Se per esempio tuonasse il 10 giugno, avremmo “molte morti, tuttavia prosperità” (pag. 91), ma con un tuono tre giorno dopo “sarà minacciato il potere del Principe” (ibidem); il brontolio del cielo in data 16 luglio garantisce che “un Re dell’Oriente inizierà una guerra; malattia per colpa della siccità” (pag. 95), mentre se venisse il 4 agosto “le donne saranno sagacissime” (pag. 97). Decisamente più allarmante, ma affrontata dal compilatore con un certo stoicismo, l’ipotesi di un tuono il 18 agosto – “bisognerà sopportare l’uccisione di donne e la schiavitù” (pag. 99) – mentre la situazione precipiterebbe il giorno dopo: “morte di buoi e scompiglio generale” (pag. 103). Per il resto si rimandano gli interessati al volume: attorno al quale, in realtà, Kornmüller costruisce tutto un più ampio studio sulla divinazione etrusca e le sue tecniche (tramite il volo degli uccelli, il fegato di vittime sacrificali, fenomeni meteorologici oppure semplicemente insoliti) alla luce dell’antropologia comparata, e insieme presenta la figura polivalente del redattore del Calendario. Nigidio Figulo fu politico di intransigente fedeltà pompeiana, e scelse la morte in esilio per non piegarsi a Cesare; ma, forse soprattutto, è rammentato quale erudito autore di opere grammaticali, teologiche, astrologiche e di scienze naturali.
Kornmüller non ha però interrotto le ricerche: e come Apuleio, mago & avvocato, attraverso anni di traduzioni e studi ha puntato dritto verso il cuore occulto dell’esoterismo, presentando ora per Mediterranee Magica incantamenta. Manuale teorico-pratico di magia romana (Biblioteca magica, Roma 2013), che di Etrusca disciplina ripropone proprio la formula “operativa”.
Dopo una prima parte di inquadramento generale della magia nell’Urbe (con tutte le ibridazioni del caso), dal carattere insieme introduttivo e divulgativo, sono in particolare i capitoli 5-8 quelli che spalancano lo specifico dello studio e rendono conto di una sua estrema originalità. All’esame di teoria, pratica e tipologia dei mezzi magici romani (capp. 5 e 6) – con un attento esame di elementi come il carmen, “proposizione ritmica costituita da più parole”, dal peculiare ritmo ternario, le tabellae defixionis, di carattere maledicente o cogente, le imagines sulle quali concentrare il rito, e magari la trottola magica Jynx – l’Autore fa così seguire l’analisi puntuale di una cerimonia-tipo (cap. 7): e quale esempio attinge a quella descritta nella virgiliana Egloga VIII, decrittando la scena misteriosa del rito di Amarilli. Una vaga ironia sottotesto accompagna l’intensità erudita e la suggestione di analisi che illuminano aspetti impliciti o taciuti dal poeta mantovano; e in effetti uno dei caratteri più affascinanti del testo sta proprio in quel cogliere sussurri, schiudere nozioni velate, chiarire termini troppo genericamente tradotti sui vocabolari.
A concludere il tutto è poi un ricco formulario (cap. 8) da fonti come il Kiranides di Harpocration di Alessandria, il De medicamentis liber di Marcello Empirico e la più ampia raccolta Papyri Grecae Magicae. Dove accanto alle classiche formule per favorire amori o affari ne troviamo altre per aprire porte, vincere in tribunale o evitare gravidanze indesiderate (con mezzi che beninteso non mi sentirei di consigliare); per curare lussazioni, emorroidi o coliche, trattare morsi umani o di scimmia, bruciori di stomaco o fuscelli negli occhi; per intercettare suoni lontani. Forte poi della propria abilità artistica, l’Autore riproduce un ampio corpo d’immagini: dove il tratto riesce a conservare qualcosa del carattere insieme inquietante e grottesco delle suggestioni.
Se non possiamo giurare sulla veridicità del sistema mantico etrusco, certo i paradossi della previsione del futuro, col loro sapore insieme catastrofistico ed esilarante, dicono molto di più su categorie e paradigmi del presente del compilatore Nigidio – e in fondo del nostro. Come, in modo parallelo, il bizzarro corteo evocato in papiri magici e tavole di defissione ma anche in encausti e acqueforti di Kornmüller non si consuma in echi del passato ma riflette un oggi che conosciamo: uno sguardo (ironico, perplesso, inquieto) su maschere e demoni della realtà che ci circonda, e delle nostre plaghe interiori. E proprio in questo sguardo visionario, implacabile e insieme consolante, sta la spiazzante potenza del fantastico.
Eudocia Augusta, Storia di San Cipriano, Adelphi (Piccola Biblioteca Adelphi), Milano 2006, a cura di Claudio Bevegni con un saggio di Nigel Wilson, pagg. 207
Massimiliano Kornmüller, Minimi. Poeti latini minori – Poetae latini minores, cura, introduzione e traduzione di M. Kornmüller (con testo originale latino), Semar, Roma-L’Aja 2006, pagg. XVI (Presentazione) e 106 (testo)
Massimiliano Kornmüller, Etrusca Disciplina. Manuale teorico-pratico di divinazione etrusca con il calendario per interpretare i tuoni di Nigidio Figulo per la prima volta tradotti in lingua moderna, introduzione, traduzione, note e illustrazioni a cura dell’autore, Irradiazioni, Roma 2006, pagg. 138
Massimiliano Kornmüller, Magica incantamenta. Manuale teorico-pratico di magia romana, con illustrazioni dell’autore, Edizioni Mediterranee (Biblioteca magica), Roma 2013, pagg. 173
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