Si può definire Diaspora di Greg Egan come un romanzo vertiginosamente ambizioso, un metodico delirio fisico/cosmologico/matematico che lo rende più simile a saggi come Gli ultimi tre minuti di Paul Davies o Dal Big Bang ai buchi neri di Stephen Hawking che a qualsiasi romanzo di fantascienza. E di questo genere di saggi – che restituiscono al nostro pianeta e alla nostra specie dimensioni e «peso» reali – Diaspora ha tutto il fascino e la potenza evocativa.Nei romanzi di Egan non si devono cercare personaggi memorabili o complessi intrecci – non esistono, se non in misura minima, né uni gli né gli altri –, ma è giusto attendersi (e si viene perfettamente soddisfatti) la vertigine del tempo e dello spazio infinito, il brivido della percezione profonda della fragilità e della brevità non solo dell’esistenza della nostra specie, ma anche di quella del nostro sole e del nostro universo.
Un genere di emozione che fa rivivere (in chi l’ha provato) il piacere di certi goffi e generosi romanzi di fantascienza degli anni quaranta: tanto meravigliosi e temerari da raccontare in grandiosa saghe il lontanissimo futuro della nostra specie e dell’universo. Certo, poi questo genere di fantascienza ha lasciato il posto a narrazioni più complesse e problematiche, a personaggi e vicende più vicini al lettore, ma uno dei modi di essere della fantascienza è proprio questo narrare scientificamente di universi alternativi, di tempo ortogonale, di spazi n-dimensionali, del brivido di riuscire a cogliere, anche solo per un attimo, le vere dimensioni del cosmo.
Greg Egan, Diaspora, Mondadori «Urania» 2003, n° 1460, pp. 329, euro 3,55, trad. Riccardo Valla, ed. or. 1997
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