Kurt Vonnegut è stato uno degli scrittori più interessanti degli USA anni ’70. Mattatoio 5 è uno dei tre o quattro romanzi americani di quel decennio che merita davvero leggere. Dopodiché, assurto agli onori della critica statunitense, Kurt Vonnegut è divenuto ciò che abitualmente si definisce un trombone, ovvero un oggetto oblungo atto a emettere note basse ripetitive e soporifere.
Ma siccome la classe non è acqua e anche un Maradona cinquantenne saprà giocare a calcio comunque molto meglio di numerosi altri calciatori tesserati in Italia, anche questo Cronosisma, pur pieno di riferimenti dell’autore a se stesso e alla sua mirabile opera, si lascia bene o male leggere.
Spunto del romanzo – non proprio romanzo ma «bizzarro mix di fiction e memoria» come affermerebbe (a ragione) il «San Francisco Chronicle» (definizione comunque non necessariamente esaltante) – è un cronosisma, ovvero un evento cosmico che interrompe il normale flusso temporale obbligando l’umanità a rivivere integralmente il decennio compreso tra il 1991 e il 2001, senza, tuttavia, alcuna possibilità di modificare gli eventi già vissuti.
Con ciò, ossia con l’idea di questa cosmica ripetizione, Vonnegut desidera chiaramente esprimerci tutto il suo disgusto per il decennio che vivemmo, figlio scemo dei banali anni ’80. E l’idea della circolarità, dell’impossibilità di modificare ciò che è stato è alla base della narrazione, tanto da assumere i contorni di una specie di rimorso d’aver vissuto.
Come è sua abitudine Vonnegut nasconde il grande tema sotto un fitto cicaleccio di dialoghi, minuti episodi, ricordi irrilevanti, eventi poco significativi, insomma nasconde il diamante in fondo al cassonetto, certo che gli intellettuali left & liberal non mancheranno di trovarlo.
E forse l’hanno trovato, sempre a voler credere alle frasi riportate in ultima di copertina. Se poi volete prendere in considerazione l’intento arguto del romanzo nel satireggiare il libero arbitrio, fondamento dell’American Way of Life, e lo stile dell’autore, come sempre lucido, paradossale e accuratissimo, vi sarete fatti un’idea del perché Vonnegut, autore originariamente di sf, sia divenuto un mito per i Village People della East Coast.
E allora perché Cronosisma non convince, non solo, ma lascia anche una sottile sensazione di fastidio?
Probabilmente perché tutto questo armeggiare con il passato e il tempo circolare non è altro che una forma di nausea, un interrogarsi divenuto sterile su una realtà che non rispetta le regole del pensiero alternativo anni ’70. Ciò che si coglie davvero nel testo è un’allucinata nostalgia per gli USA della gioventù, che l’autore sapeva sistemare ben benino. Ciò che Vonnegut rimuove con instancabile impegno è il salto di paradigma avvenuto, la rottura grazie alla quale gli USA non erano e non sono la ripetizione sempre più stanca, feroce e disperata di quelli del dopoguerra. E se questa interpretazione è almeno parzialmente giusta, Cronosisma diventa la testimonianza involontaria di una crisi senza uscita, il manifesto dello scacco della sinistra intellettuale statunitense.
E allora forse la sensazione di essere di fronte a un romanzo stanco di un autore altrettanto stanco e, scusate la parola, intensamente scazzato da tutto e tutti, non parrà più tanto gratuita.
Kurt Vonnegut, Cronosisma
Bompiani, 2000 (ed. or. 1997), pp. 219, trad. S.C.Perroni
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