Le case di Iszm (1954) non è uno dei romanzi più noti di Jack Vance, inoltre è breve, più racconto lungo che romanzo, e apparentemente povero di sense of wonder, poiché si svolge su un pianeta descritto solo ad ampie pennellate,
La spiaggia si stendeva ampia, battuta dai marosi, e gli scogli di basalto erano chiazzati di vegetazione verde, azzurra e nera. Uno spettacolo incredibilmente pieno di pace e di bellezza. [p. 18]
e su una Terra del lontano futuro, afflitta non dal cambiamento climatico e dalla minaccia delle pandemie ma da altre crisi.
Un miliardo almeno di terrestri non aveva casa… [p. 117]
Sulla “nostra” Terra, nella nostra linea temporale, il Migration and Climate Change della IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), prevede 200 milioni di migranti climatici entro il 2050. Altro che non avere la casa! Ma, nel 1954, l’autore non poteva prevedere un simile disastro.
Tuttavia Le case di Iszm è un’opera di John Holbrook Vance, un appassionato di speculazioni sociali: i suoi mondi ruotano attorno a novum singolari che penetrano a fondo nella narrazione, e con i quali i protagonisti devono confrontarsi. Pescando a caso fra le tante sue opere, il novum dell’affascinante I linguaggi di Pao (1957) è l’ipotesi che sia il linguaggio a creare la percezione, nel ciclo di Tschai (1968-1970), ognuno dei quattro volumi è dedicato alle società di una delle specie che vivono sul pianeta, in Marune Alastor 933 (1975), il novum è il momento del mirk, quando i quattro soli che illuminano il pianeta tramontano contemporaneamente e cala la notte… In un altro romanzo abbastanza breve e percorso dalla tipica ironia dell’autore come Mondo d’acqua (1964), il novum è la mancanza assoluta di metalli che spinge i discendenti di un gruppo di naufraghi spaziali molto particolare a trovare brillanti soluzioni per sopravvivere.
Il novum di Le case di Iszm è una crisi generalizzata degli alloggi. Tutte le civiltà galattiche ne sono afflitte, quella umana in primis, tranne quella di Iszm, un pianeta che ruota attorno all’undicesima stella della costellazione dell’Auriga.
Neanche per gli iszici, però, la vita è semplice perché devono difendere la loro unica ricchezza: particolari piante femmina che, opportunamente coltivate dai migliori piantatori grazie a un’arte sviluppata nella notte dei tempi, vengono trasformate in strutture abitabili e perfino collaborative. Case semplici, che noi definiremmo di “civile abitazione”, appartamenti lussuosi a più piani per i ricchi, alberghi, uffici, edifici pubblici, navi. Prigioni e manicomi, anche, dove vengono rinchiusi i pochi Iszici che si macchiano di qualche crimine e i numerosi stranieri che, ossessionati dalla prospettiva di un facile guadagno, tentano di rubare i germogli di una casa femmina.
Approfittando della cronica carenza galattica di abitazioni, gli Iszici dettano le loro condizioni, autorizzando un solo venditore per mondo e proteggono con ogni mezzo il loro tesoro, ben consapevoli che, prima o poi, qualche delinquente riuscirà a contrabbandare un germoglio femmina. Basta pochissimo per attirare l’attenzione della Sicurezza di Iszm: qualunque straniero è sospettato a priori.
Ed ecco che sbarca su Iszm un botanico in anno sabbatico. Aile Farr non ha intenzioni disoneste, ma la ragione del suo viaggio:
Sto visitando i pianeti in cui le piante contribuiscono in modo determinante al benessere dell’uomo [p.9]
insospettisce immediatamente gli occhiuti ma cortesissimi Szecr, gli agenti della Sicurezza. Continuamente seguito, Farr comincia il suo giro dalla capitale, Jhespiano. Nei quartieri della caste più basse, ci sono
modeste case a tre baccelli che crescevano in lunghe file lungo i viali di sabbia infuocata […] Non era possibile esportare case di quel tipo […] Era una vergogna che simili case non potessero essere offerte ai miliardi di sottoabitati terrestri! [p. 14]
testimone per puro caso di una scorreria compiuta dai Thord, una specie umanoide e bellicosa, per rubare germogli femmina, Farr attira sempre più i sospetti degli Szecr… Fortunatamente un ricchissimo piantatore di case lo ospita e garantisce per lui, mostrandogli alcuni segreti dei coltivatori di case, perché non basta piantare i germogli per ottenere delle case, coltivarle è un’arte e forse ci vuole anche un pizzico di magia:
Per esempio noi cantiamo incantesimi ai semi che germogliano. E i semi crescono […] Perché? Chi lo sa. Lo ignoriamo anche noi. [p. 41]
Lo capite, vero? Un’abitazione dev’essere un cosa omogenea, unitaria: pareti, decorazioni murali, arredo, devono essere una cosa sola! […] Qualunque ignorante è capace di di impastare muschio su un muro, ma solo un iszico è capace di farcelo crescere! [p. 42]
E se voi rubaste una casa femmina, e riusciste ad allevare una casa da cinque baccelli, sareste solo agli inizi. Bisogna educarla, adattarla, bisogna eliminare le parti superflue […] Senza un addestramento adeguato, una casa diventerebbe un inimmaginabile fastidio… una minaccia. [p. 42]
Continuamente pedinato dalla Sicurezza iszica, Farr decide di tornare in patria e trascorre i giorni precedenti la partenza dell’astronave nell’albergo dello spazioporto di Jhespiano, un “fitto groviglio di parecchi alberi” dove soggiornano viaggiatori provenienti da ogni dove: missionari pellegrini, ingegneri terrestri, insegnanti in gita turistica, viaggiatori di commercio e un “agente generale degli allevatori di case” iszico da poco conosciuto.
Durante il viaggio di ritorno Farr scoprirà che gli Szecr non sono soltanto ciò che appaiono e che nemici insospettabili lo marcano da vicino. Tornare su Terra non risolverà i suoi problemi, anzi qualcosa, nella sua mente, lo farà sentire sempre meno sicuro di se stesso.
Negli ultimi capitoli la fantascienza lascia il posto a una complessa storia di spionaggio industriale, ma non c’è da stupirsi, Vance fu anche autore di mistery, tra i quali tre libri pubblicati sotto lo pseudonimo di Ellery Queen.
Benché breve e quasi privo di caratteri rilevanti – Farr è più vittima delle circostanze che protagonista e i personaggi femminili sono poco più che comparse – il racconto ha alcuni elementi interessanti, ad esempio una chiara allusione alla politica commerciale americana, rappresentata come “a scopo di lucro o non se ne fa nulla”.
A sollevare la questione con Farr è Omon Bozhd, l’agente commerciale iszico:
Voi dichiarate che sulla Terra c’è bisogno di case. Sulla Terra c’è anche un eccesso di ricchezze […] queste ricchezze potrebbero risolvere il problema delle abitazioni in un batter d’occhio, purché lo volessero i possessori delle ricchezze. Ma essendo la cosa, a quanto voi dite, molto improbabile, avete posto lo sguardo su noi Iszici, che al confronto siamo relativamente poveri, nella speranza che finiamo col dimostrarci più aperti comprensivi dei vostri plutocrati. [p. 47]
Un’ osservazione piuttosto interessante, che purtroppo, settant’anni dopo la pubblicazione del romanzo, non tutti gli umani sono disposti a condurre fino in fondo, nemmeno adesso che i “plutocrati” – ai quali affibbierei il nome collettivo e più centrato di capitalismo – ci hanno trascinati ad affrontare la catastrofe climatica.
Non intendo affermare che John Holbrook Vance fosse “di sinistra”, era il suo gusto del paradosso a spingerlo a certe affermazioni, nonché la serietà con la quale conduceva i suoi “esperimenti sociali”.
In conclusione Le case di Iszm, che molti lettori direbbero scritto con la mano sinistra, è una dimostrazione, sia pure minore dell’inventiva di Jack Vance. Le sue piante femmina capaci di generare abitazioni sono un bell’esempio di collaborazione naturale tra specie nonché l’anticipazione lontana di biotecnologie sostenibili immaginate nella narrativa degli ultimi anni.
Jack Vance [J.Holbrook Vance], Le case di Iszm, Mondadori Classici Urania 1985, Urania 1965, [ed. or.1954], pp. 133, trad. Beata Della Frattina.
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