Confesso di aver comprato Il cottage sull’Oceano perché in quarta di copertina comparivano due frasi irresistibili:
«Un romanzo che raccoglie in sé la grande produzione gotica inglese» (L’Indice)
«… una storia di passioni e presenze alla Giro di Vite di Henry James…» (La Repubblica)
Due citazioni che condivido solo in parte ma che ringrazio di aver letto, altrimenti chissà, forse non avrei incontrato l’autrice australiana Dorothy Hewett.
Dedicato a Max Williams – poeta e scrittore la cui vita travagliata, trascorsa per lunghi anni in carcere, si riflette nelle storie di alcuni personaggi del romanzo – Il cottage sull’oceano è un’opera sfaccettata e peculiare che sarebbe riduttivo confinare nel genere gotico. D’altra parte, benché la protagonista condivida alcune esperienze con l’autrice, non è nemmeno possibile interpretarne il contenuto in pura chiave autobiografica.
Jessica Sorensen, docente universitaria di letteratura, intende trascorrere un anno sabbatico sulla costa del Nuovo Galles del Sud. È reduce da un divorzio doloroso e spera di riuscire a terminare un libro sul movimento romantico nella poesia australiana. Affitta quindi per l’inverno un piccolo cottage che, da un’altura, si affaccia sull’oceano. Spartana e solitaria, la casa ha solo l’indispensabile per sopravvivere, ma anche:
… cielo, nuvole, granito e acqua, tutti gli elementi al loro posto, nulla a interrompere l’orizzonte tranne qualche gabbino che planava nel vento.
Non lontano dal cottage sorge Zane, una cittadina punto di riferimento di una variegata comunità: alcuni scrittori con le famiglie e qualche tresca più o meno nascosta, un aborigeno colto e ambientalista che si batte per i diritti dei nativi, un pugno di giovani “selvatici” strafatti che campano parassitando il gruppo, un apicoltore dal passato complicato e i lavoratori del posto: pescatori, allevatori di cavalli, taglialegna. Mescolati agli intellettuali e spesso scrittori a loro volta, pochi ex detenuti.
La prima sera, stanca per il viaggio, Jessica viene risvegliata da una voce, forse solo quella del vento impetuoso o della pioggia, e si avventura sui gradini che dal promontorio portano alla baia. E lì, dove gli scogli toccano la spiaggia, scopre un cadavere femminile che gli abiti fradici e appesantiti trattengono contro le rocce. Si fa festa in una casa poco lontana… I padroni di casa accolgono e riscaldano la straniera bagnata e intirizzita. Alla luce delle loro torce, il cadavere si rivela una povera foca, forse uccisa da un pescatore per difendere le proprie reti.
Jessica, saggista ed ex moglie di un illustre professore, entra di diritto a far parte del piccolo gruppo di scrittori e presto ne conosce pregi e difetti, problemi e segreti:
«Ascolta» disse, « non idealizzare questo posto, non credere che sia il paradiso. La terra è povera e i pesci stanno scomparendo. È dura per le famiglie. Non c’è un ospedale nella zona e la scuola non è un granché. I nostri figli vanno a studiare e a vivere a Canberra. C’è violenza, morte e pazzia, adulterio, matrimoni falliti e droga, tutto in abbondanza, e poi tutti sanno tutto di tutti…
Questo le dice Max, uno degli autori, e Jessica imparerà presto che ha ragione. La speranza della donna: stare lontana da passioni e sentimenti, vivere per se stessa, usando il lato razionale della mente, sarà delusa, ma la vita è piena di sorprese e le farà reincontrare Tom, il fratello tossico e gay cacciato più di trent’anni prima dal loro padre, sperimentare ancora desiderio, stima e una specie di amore.
Ma la comunità di Zane è come un iceberg, ciò che Jessica conosce è ciò che galleggia: buona creanza, senso dell’accoglienza, inviti a cena… In verità la gente forma una società chiusa e sulla difensiva, divisa al suo interno da gelosie, pettegolezzi e rivalità e, ben nascosta sotto la superficie, da una linea di confine tra uomini e donne. Il rapporto di complicità fra uomini è altrettanto forte – se non di più – della passione e dell’amore che li lega alle loro compagne, tanto da sconfinare in qualcosa di più profondo, oscuro e difficile da ammettere.
In questo senso Neap Tide (Marea di quadratura, questo il titolo originale) è una storia di passioni che si intersecano, altrettanto fantasmatiche delle presenze che percorrono il romanzo. La violenza terribile compiuta da un gruppo di maschi su una ragazza selvatica nelle ultime pagine del libro è solo il culmine della misoginia e del separatismo che percorre la vicenda.
[…] c’era questo ethos maschile che esclude le donne dalle loro vite e le lascia più povere, mi sembra. […]
Esiste ancora. Sai, la sindrome dell’amicizia nei pub. L’amicizia nel calcio – tutta quella roba. Una strana ambivalenza che per me rende molto interessante l’intera situazione tra uomini e donne in quel tipo di ambiente1.
D’altra parte, il romanzo è anche pieno di ironia (e autoironia), basti pensare alla epica lotta per la difesa della foresta di Eden:
Gli intellettuali in pensione, tutti ambientalisti che vivevano nel cuore del bush, fecero da catalizzatori. Non si guadagnavano da vivere con gli alberi, come l’industria del legname, i boscaioli e i funzionari della forestale. Per loro, la prospettiva che un giorno le foreste sarebbero scomparse e non ci sarebbe più stato lavoro per nessuno era troppo lontana nel tempo per preoccuparsene. Era adesso che dovevano vivere. La disoccupazione saliva alle stelle e il loro lavoro era tagliare alberi.
La contrapposizione tra ambientalisti, hippy, selvatici e aborigeni accorsi a difendere la loro terra sacra da una parte e, dall’altra, affaristi, polizia, e taglialegna provoca in chi legge un brivido di riconoscimento: anche qui, come tante altre volte, non ci sono buoni e cattivi, semmai due gruppi di persone che gli interessi economici hanno giocato gli uni contro gli altri. Stare alla parte “giusta” è un lusso che pochi possono permettersi. Si ride per le manovre buffe degli intellettuali che si arrampicano sugli alberi, ma con l’imbarazzo di chi forse avrebbe fatto lo stesso ben sapendo di aver già perduto.
I fantasmi di Zane forse esistono davvero – almeno per chi ha il dono di vederli – o forse sono soltanto la personificazione di un malessere collettivo, un legame che tiene insieme (ma ancora per poco) un mondo destinato ad arrendersi al turismo di massa.
Dorothy Hewett (1923-2002), autrice colta ed eclettica, ha esplorato tanti generi: la poesia, il teatro, la biografia, la critica, il racconto e il romanzo. Ha spesso suscitato scandalo per le proprie scelte politiche e private, ha avuto tre mariti e sei figli. È stata attivista del Partito Comunista australiano dal 1942 al 1968, uscendone in seguito all’invasione sovietica della Cecoslovacchia. La sua militanza non è mai stata acritica:
Ricordo che quando vivevo a Redfern, uno dei miei compiti [nel Partito] era quello di organizzare le donne, così ho pensato, oh bene, le persone ovvie con cui iniziare sono le mogli degli attivisti del Partito Comunista, così ho iniziato a fare appello a tutte loro. E i loro mariti erano furiosi, assolutamente furiosi! Come osa venire ad interrompere le nostre vite domestiche pacifiche dove la moglie fa tutto e io vado alle mie riunioni…1
Il cottage sull’Oceano (1999) è un romanzo scritto con raffinata partecipazione, percorso da temi sociali e politici e da una profonda riflessione sul senso della scrittura e sulla figura autoriale (in particolare maschile), che declina nei vari personaggi:
Ho perso interesse nella genialità eccentrica. Mi sembra sia troppo dannosa.
Dichiara Jessica nelle pagine finali ed effettivamente – nella sua vita, come nel suo lavoro di critica e nelle presenze che affollano Zane – il mito della genialità (qualunque cosa sia veramente, oltre che un’illusione rivenduta troppe volte) è ormai davvero frusto e tossico.
Neap Tide, ultimo libro di Hewett, finalmente un romanzo, come si compiace di sottolineare nell’intervista a Nicole Moore, è davvero degno di lei: un’opera sovversiva che mina alle fondamenta la figura dell’artista romantico, ribelle e autodistruttivo.
Meritevole di lettura da cima a fondo l’intervista citata in nota.
Vi lascio con due versi tratti dai Selected Poems dell’autrice
my subconscious so full / it must spill over
1. Dorothy Hewett in conversation with Nicole Moore, in Back to jackets, October 1999.
http://jacketmagazine.com/09/moor-iv-hewe.html
Dorothy Hewett, Il cottage sull’oceano, Neri Pozza, «I narratori delle Tavole» 2009, ed or 1999, pp. 237, € 16,00, Trad. Giovanna Scocchera
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