Tutt’altro discorso a proposito di Constance Fenimore Woolson. Due racconti raccolti sotto il titolo del primo, Via del Giacinto, sono l’unica cosa che ho letto di suo ma mi hanno davvero colpita e mi hanno fatto venire voglia di saperne di più. Nata nel 1840 nel New Hampshire, pronipote di James Fenimore Cooper, ebbe un’infanzia e una giovinezza costellate di lutti familiari, visse sui Grandi Laghi e nel sud degli Stati Uniti durante il periodo della Ricostruzione, poi si trasferì con la madre in Europa dove rimase fino alla morte nel 1894. Viaggiò molto, in Francia, Svizzera, Germania, Egitto, Grecia, Inghilterra, ma soprattutto in Italia. Ebbe una lunga, tormentata e poco chiara relazione con Henry James (le loro lettere furono distrutte), pubblicò molti libri e ebbe molto successo, ebbe molti interessi, fu indipendente, forte, attivissima. Eppure la sua morte, avvenuta a Venezia per una caduta dal secondo piano di un palazzo sul Canal Grande, fu considerata subito un suicidio. E tuttavia è caduta nell’oblio come scrittrice, e viene ricordata per lo più per la sua relazione con James. Nelle sue opere cercò sempre di oltrepassare i limiti, andare un po’ più in là di quanto ci si potesse aspettare da una scrittrice. Scrisse della frontiera quando era nel Nord, poi della vita negli stati del profondo sud, in Europa storie di espatriati. I due racconti che ho letto sono veramente straordinari, soprattutto il secondo, Miss Grief, e rappresentano una riflessione sulla frase del Vangelo di Matteo “Molti sono i chiamati ma pochi gli eletti”. In Via del Giacinto si assiste al progressivo addomesticamento, o normalizzazione, speculare dei due personaggi principali, due americani a Roma: una ragazza indipendente e anticonformista che vorrebbe dipingere ma non ha talento (o così pensano i critici che paternalisticamente la spingono a intraprendere un’attività più consona a una donna, come la governante) e uno scrittore brillante e ben introdotto nel bel mondo, che a poco a poco viene preso dal desiderio prima di trasformarla poi di proteggerla, supera le barriere sociali e la sfinisce fino a convincerla a sposarlo. Un racconto senza sentimentalismi né emozioni, con personaggi magistralmente costruiti, scritto una prosa limpida e molto moderna, efficacemente tradotta da Edoarda Grego.
Ma è Miss Grief che mi ha colpita al cuore. Secondo me dovrebbero leggerlo obbligatoriamente tutti gli aspiranti scrittori pronti a vendersi l’anima pur di pubblicare, quelli che scrivono pensando al piacere del pubblico, gli editor che riscrivono i libri per adattarli al mercato, tutti coloro insomma che non scrivono per amore della scrittura, ma per amore di se stessi, della fama e del successo. Siamo di nuovo a Roma, a casa di uno scrittore americano giovane, sano e forte, di aspetto abbastanza piacevole, con del denaro […] complessivamente sufficiente a rendere la vita gradevole, cosciente della sua fortuna e di essere presuntuoso, anche grazie alla soddisfazione per la mia piccola fama […]. So che di me si parla come “di quel tranquillo giovanotto che scrive dei deliziosi bozzetti di società”, e capace di godersi la vita. A casa di costui si presenta una certa Miss Grief, che malgrado venga sempre fermata sulla porta da un cortese cameriere, insiste finché un giorno lo scrittore, in un momento di inquieto nervosismo, la accoglie. La donna si chiama in realtà Aaronna Crief, è oltre la mezza età, magra, pallida e chiaramente debilitata dalle privazioni. Ha lasciato gli Stati Uniti con una vecchia zia, vive di stenti a Roma. Ma conosce a memoria tutte le opere dello scrittore, gliele recita con forza e passione, infine gli lascia un suo manoscritto di un dramma, Armatura, pregandolo di leggerlo e darle un giudizio. Il dramma rivela una forza, un’originalità, assolutamente straordinarie. Ha però errori e squilibri che vanno corretti: un personaggio da eliminare; insomma, si direbbe oggi, ha bisogno di un drastico editing. Ci prova lo scrittore, che però alla fine si rende conto che l’opera non può essere riportata alla normalità letteraria Ma la donna oppone un assoluto, adamantino rifiuto a cambiare alcunché nelle proprie parole. Ostinata e distrutta nel fisico dalle privazioni vissute per scrivere le sue opere, muore consunta dalla fatica e vuole che le altre sue produzioni vengano seppellite con lei; solo il dramma lo lascia allo scrittore, pregandolo di aiutare la zia a tornare in America. Il dramma pagherà le spese, dice. Ma non sa che Armatura non potrà mai essere pubblicato.
Io lo conservo, dice lo scrittore, ogni tanto lo rileggo – non tanto come memento mori, ma piuttosto come memento della mia buona fortuna, per la quale dovrei sempre continuare a dire grazie. La mancanza di un granello rese il suo lavoro vano e quell’unico granello fu dato a me. Lei, dotata di maggior forza, fallì; io, meno dotato, ebbi successo.
Queste parole possono anche essere lette a parziale consolazione dei molto scrittori che pur consci del proprio talento, mancano della capacità di adattarsi al mondo. Comunque, Constance Fenimore Woolson è una scrittrice notevolissima e Aaronna Moncrief (questo è il nome completo, che il narratore scopre solo dal necrologio), la povera, brutta, affamata Miss Grief, ardente vestale dell’arte, divorata dal fuoco della passione creatrice, è un personaggio indimenticabile. Mi darò da fare per trovare altre sue opere di questa scrittrice.
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