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    La donna del Tribuno di Alberto Costantini

    • di Silvia Treves
    • Ottobre 19, 2020 a 6:44 pm

    La storia che ci racconta Alberto Costantini si svolge in un periodo storico estremamente complesso dell’Impero romano, la cosiddetta «Anarchia militare»(235 – 284): un cinquantennio che pare la realizzazione della maledizione cinese «che tu possa vivere in tempi interessanti».

    A differenza di altri periodi di guerra civile attraversati da Roma, in questo confluiscono la crisi istituzionale, numerose invasioni barbariche, epidemie di peste, carestie, tensioni religiose e crisi economiche. E proprio intorno alla metà del terzo secolo si colloca la storia dei due protagonisti, che vivono in luoghi per l’epoca molto lontani.

    Lui è il tribuno Livio Aureliano, di stanza ai confini con la Caledonia: dodici anni trascorsi a guardia del Vallo nella vana attesa di un’invasione dei Picti

    …Il Vallo si perdeva alla vista, infilandosi tra le nuvole basse, per poi riemergere con i merli di una torre piantata sulla cima di una collina o di una cresta, salvo sparire subito dopo, nel nulla lattiginoso.

    Lei è Waldrada, una giovane sposa e madre semibarbara che vive al di qua del limes, in una remota provincia romana dell’alto Reno.

    … quando la sua tribù era stata accolta da questa parte del limes, i patti con l’Impero erano stati duri ma chiari: gli immigrati barbari, sulle terre dei romani sarebbero diventati coloni, ossia praticamente mezzi schiavi, e i loro generali avrebbero attinto a mano libera nuove reclute per l’esercito di Roma. Chi non era maschio o abbastanza robusto, finiva a coltivare la terra; gli altri indossavano l’uniforme.

    L’astio nutrito dalla popolazione per i romani avrebbe continuato a covare sotto la cenere se i Fratelli dell’altra sponda, una confusa alleanza di varie tribù germaniche, non fosse piombata nella provincia, spingendo i coloni a scatenare vendette efferate sui loro padroni. Liberatisi temporaneamente del giogo romano, i Germani di entrambe le sponde si illudono di poter addirittura marciare su Roma, approfittando della crisi imperiale.

    Nel tentativo di mantenere integri i confini, Roma decide di sguarnire la frontiera con la Caledonia inviando truppe, comunque insufficienti, al comando di Livio, con regole di ingaggio impossibili da soddisfare: riportare l’ordine anche in modo brutale, ma senza danneggiare colture e infrastrutture, rispettare le proprietà dei cittadini romani ma essere inflessibili.

    Quando Livio arriva sul Meno la situazione è ormai precipitata. Ma il tribuno agirà in maniera decisamente inconsueta, con un miscela assai personale di pugno di ferro e sorprendente umanità…

    Anche Waldrada è una donna singolare, che parla il latino abbastanza bene da diventare preziosa per Livio ed è dotata di forte personalità. Tuttavia, Costantini non ne fa una moderna eroina ma una donna dell’epoca, che vuole ritagliarsi un po’ di felicità, ma prima di tutto salvare la figlia e aiutare la propria gente. Waldrada è realista e non si illude sul conto del marito:

    …Winfried era un uomo meschino in tutto, tranne nella statura.

    un uomo incolto, che vale poco e che, per tenere la moglie sottomessa, fa leva sul senso del dovere di lei, proprio ciò che la rende migliore. Una tipica relazione iniqua, diffusa purtroppo ancora oggi.

    La storia è scritta con brio e competenza storica, le tante astuzie di Livio fanno appassionare i lettori agli aspetti militari tanto quanto ai suoi tentativi di fare del villaggio una città ben difesa e dove la vita dei coloni e dei legionari sia più degna.

    La donna del Tribuno si legge d’un fiato, ci si commuove, si spera che la sorte non sia avversa ai personaggi e, soprattutto, si scopre la complessità di un impero abitato da una quantità di popoli solo vagamente studiati a scuola, con lingue, usanze, culture e religioni molto differenti. E si comprende che sotto le insegne romane cose come il colore della pelle e le tante fedi religiose alla fine erano dettagli: l’immenso e variegato impero in cui vissero molti dei nostri antenati era un mondo multietnico. Ricordarselo più spesso potrebbe essere utile?

    Costantini, Alberto. La donna del tribuno: L’avvincente storia di una donna ai confini dell’Impero Romano (ANUNNAKI – Narrativa Vol. 138) Gilgamesh Edizioni.

    Due parole con l’autore.

    Alberto Costantini

    Alberto Costantini è un appassionato di storia, che ha insegnato per molti anni, e che spesso visita anche quando scrive storie collocabili nell’ambito del genere fantastico. Per situare al meglio questo romanzo l’ho intervistato,ne è venuta fuori una delle nostre piacevoli chiacchierate, di cui riporto i punti salienti.

    Silvia. Alberto, ma come hai cominciato a mescolare la storia con le tue storie?

    Alberto. Il mio primo romanzo, in parallelo con Terre accanto di fantascienza, è stato A ovest di Thule, la storia – di fantasia ma non ucronica – di un viaggio involontario di marinai romani fino alle coste dell’America. Puoi immaginarti il gusto che provavo nel descrivere il contatto fra uomini provenienti dalle civiltà classiche e le popolazioni mesoamericane e non solo. Questo per dire che agli intrighi di palazzo e ai gladiatori palestrati preferisco i luoghi dove il mondo romano finisce e comincia «qualcosa di diverso», e questo luogo per eccellenza è il confine, il limes, che divideva la l’orbe romano dalla barbarie.

    S. qualcosa tipo il vallo di Adriano, che compare nelle prime pagine di La donna del tribuno e che teneva lontano i picti e altri popoli?

    A. Qui però ci si deve intendere: il confine fatto di mura e grandi fiumi o, come nel Sahara, di muretti a secco, non serviva a escludere il mondo esterno, ma a filtrarlo, tant’è che spesso proprio lungo le frontiere nascevano quei contatti quotidiani che favorivano i rapporti pacifici: scambi commerciali, prestazioni di servizi, convivenze che sfociavano in matrimoni misti. Il muro pone un alt al pastore nomade che vorrebbe far brucare le sue capre nei magri orticelli dei sudditi di Roma, così come impedisce ai predoni di entrare e uscire indisturbati dai confini dell’Impero trascinandosi appresso il bestiame, gli schiavi e il bottino razziati. E dietro il muro, c’erano loro, gli uomini che lo difendevano, ma anche le donne.

    S. Giusto. A scuola, nelle ore dedicate alla storia antica, si parlava solo di quelle poche donne illustri, o perché imparentate con grandi personaggi o perché talmente peculiari da essersi ritagliate un ruolo nella storia.

    A. È vero, ma anche nelle fonti se ne parla raramente e solo di sfuggita. Nei romanzi storici, poi, compaiono spesso figure femminili eccezionali, le famigerate «bellezze statuarie», ma io preferisco puntare l’attenzione su donne normali: mogli e concubine di ufficiali, schiave e liberte, ostesse e contadine, romane e barbare. Di queste donne ho tentato di scrivere le storie, attingendo alle scarse testimonianze letterarie e cercando di integrarle con altre fonti e naturalmente dando spazio alla fantasia.

    S. Mi faresti un esempio di queste «scarse testimonianze»?

    A. Uno dei pochi documenti rimasti di questa presenza femminile è una lettera uscita dagli scavi dell’ex accampamento romano di Vindolanda, in Britannia, in cui una donna, Claudia Severa, la moglie del Comandante, invitava una carissima amica (lei scrive proprio «soror karissima», e la chiama addirittura «anima mea desideratissima»), sposa anch’essa di un ufficiale, alla festa del suo compleanno. Per la cronaca, è il primo documento della storia umana di una missiva scritta da una mano femminile.

    S. La prima! È una storia bellissima, ma è anche una testimonianza terribile del vuoto storico che ha circondato le donne per secoli.

    A. È vero, e proprio da queste considerazioni è nata l’idea di una serie di romanzi su questo tema, che presentino donne diverse, con ruoli diversi, in contesti e periodi differenti, ma legati dal tema comune della frontiera.

    S. Un progetto, quindi, di cui La donna del tribuno è il primo passo.

    A.: Sì. Dopo La donna del tribuno, vedremo:

    1) Un romanzo per il quale non ho ancora deciso il titolo, che presenta Velia, donna di una certa cultura e abituata alle raffinatezze della Capitale, costretta a seguire il marito prima sul fronte del basso Danubio, poi alla frontiera con i persiani (IV secolo d. C.).

    2) Il terzo capitolo di questa saga, La schiava dei libri, ci porterà in un mondo poco esplorato: quello dei copisti, anzi, delle copiste, schiave incaricate di trascrivere i manoscritti (inizio V secolo d. C.).

    3) Ci trasferiremo poi alla vigilia del fatidico 476 d. C. con L’ultima amazzone, la vicenda di una donna-guerriera scesa dalle lontane terre del Caucaso per recarsi con i suoi cinque fratelli in pellegrinaggio a Roma, e che dovrà suo malgrado occuparsi di gestire la vita di una valle alpina.

    4) Destinato ad un pubblico di ragazzi, è Ghismonda e l’Uomo Nero; siamo ormai nell’alto medioevo, ma resiste ancora una linea difensiva tra l’Italia longobarda e quella romano-bizantina. Ghismonda è una ragazzina longobarda destinata alle nozze, ma durante il viaggio  si ritrova nel fitto del bosco padano, dove, secondo le leggende locali, si aggirerebbe il terrificante «uomo nero».

    5) Infine, ci sarebbe un quinto romanzo, Oltre l’ultimo limes, completato, ma per il quale non ho ancora scelto se dare un taglio umoristico o serio.

    Lettere da Vindolanda

    S. Dovresti dare un nome a questa saga, come l’hai definita, per consentire ai lettori di situare i nuovi titoli più facilmente. Scommetto che immagini già quale, fra questi prossimi libri, attenderò con maggiore curiosità…

    Ma questa è un’altra storia.

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