Un padre morto che ritorna periodicamente in vita per lavorare, insieme al figlio, alla progettazione di un videogioco fedele trasposizione dell’inferno che egli vive mentre è nel mondo dei trapassati. Un giocatore di basket del futuro le cui abilità sono in realtà clonate dai grandi nomi del passato dell’Nba. Un edificio carcerario le cui mura sono costituite dai corpi dei detenuti, immobilizzati e pietrificati ma ancora viventi. Non sono le allucinazioni di un pazzo, ma i prodotti della fantasia visionaria di Jonathan
Lethem, autore che forse vorrete – almeno un poco – imparare a conoscere tramite l’intervista che pubblicherò, e del quale caldamente consigliamo questo L’inferno comincia dal giardino or ora uscito per Minimum Fax.
Lethem dipinge ambientazioni surreali, impossibili, al limite dell’inimmaginabile: e le popola di personaggi consoni. Racconti come microromanzi, frutto di un patchwork di generi letterari e non, frutto di mille diversissime influenze (cinema? fumetto? mondi-allucinati-psicotropi-da-elucubrazione- rock-hippie? perché no, tutto è possibile nella concreta irrealtà dell’Inferno) filtrate da un talento ingombrante ed eccessivo, fondamentalmente – e orgogliosamente – incatalogabile come quello di Lethem. Incatalogabile al punto che in Testadipazzo, parallelamente uscito nel mercato italiano per Marco Tropea (ma che è in realtà di quattro anni più recente della precedente raccolta di racconti) Lethem cambia completamente registro ancorandosi, almeno apparentemente, a coordinate stilistiche più tradizionali. Ambientato nella Brooklyn dei giorni nostri, Testadipazzo è infatti solo superficialmente un giallo. Del giallo, del poliziesco, ha l’ossatura: il protagonista, Lionel Essrog deve trovare gli assassini del suo ex capo e mentore, piccolo boss in odore di mafia ucciso con l’inganno. Ma Lionel, voce narrante, soffre della sindrome di Tourette, malattia nervosa che porta ad atteggiamenti – parole, azioni, tic – irrefrenabili, improvvisi e compulsivi. Ne risulta che la stessa narrazione sia una “narrazione Tourette”, inframezzata com’è da impossibili ma inevitabili giochi di parole – meglio, giochi con le parole; e la stessa vicenda, che in realtà copre – salvo i frequenti flashbacks – solo un arco di ventiquattro ore, diventi, anch’essa, una vicenda Tourette. Un plot intricato, dunque, confuso e squisitamente irrazionale al punto da richiedere la massima concentrazione per poter seguire gli spostamenti di Lionel per questa “motherless Brooklyn” (titolo originale del romanzo) fumosa e malavitosa.
L’elemento di principale interesse è, ancora una volta, quello surreale: più esplicito nella raccolta L’inferno comincia dal giardino, più sotterraneo e camuffato – ma ovviamente ben presente – in un romanzo come Testadipazzo. Ma sebbene la prova sulla lunga distanza si possa dire ampiamente superata – e d’altra parte proprio a quest’ultimo libro Lethem deve buona parte della sua fama – trovo che il racconto breve rimanga la dimensione congeniale a questo giovane e talentusoso scrittore americano: una dimensione in cui la sua lucida e immaginifica follia non debba necessariamente diluirsi nei tempi e negli spazi lunghi che un romanzo forzatamente abbisogna.
Jonathan Lethem
L’inferno comincia dal giardino
Minimum Fax, 2001,
pp. 263, € 13,50
trad. Martina Testa
Testadipazzo
Marco Tropea, 2001,
pp. 320, € 14,98,
trad. Laura Grimaldi